appunti di una eterosessuale

dicembre 1973

«Abbiamo pensato di avere l’occasione di trovarci qui tutti riuniti per fare una grande festa. Mesi fa ci eravamo detti bisogna vederci tutti… tutti sì, quelli che hanno voluto venire. Il primo Congresso di contro-informazione sulla sessualità è aperto a tutte le persone che vogliono parlare. Qui c’è il microfono e chi vuole può avvicinarsi a parlare».

Così è iniziato il Congresso di contro-informazione sessuale, organizzato dal FUORI! (Fronte Unitario Omosessuale Italiano) con adesione di altri gruppi quali l’M.L.D., il FILF, gruppi di azione sociale, Radicali, ecc.; aperto a tutti coloro che intendono portare un contributo, un’analisi, una testimonianza. Due giorni di dibattito, di confronto. La società fallocratica-patriarcale-capitalista è messa sotto accusa. Si denuncia la discriminazione dei ruoli, la repressione sessuale, la famiglia autoritaria, la eterosessualità finalizzata alla riproduzione della specie, l’oppressione degli omosessuali. Lo sfruttamento nell’ambito lavorativo non è scisso da tutta una struttura sociale repressiva che tiene i corpi e la sessualità degli individui sotto controlli e divieti che disumanizzano. Sessualità è ricerca, piacere, conoscenza. È comunicazione vitale. Le istituzioni e i «doveri» a chi servono? Nella prima giornata del congresso sono quasi assenti gli interventi femminili. Perché? Forse «inconsciamente» si delegano ancora gli uomini a parlare della sessualità? O forse perché gli attacchi alla società del dominio del maschio vanno «abbastanza bene» a tutte le persone presenti in sala? «No alle etichette, No all’eterosessualità, No all’omosessualità, Sì alla sessualità libera». Dice un omosessuale del FUORI. Sessualità libera; ma quali le lotte, le possibilità, gli spazi? Cosa significa partire da «noi», dai propri problemi e dalle proprie contraddizioni? È valido per tutti fare del «personale» un fatto politico? I problemi vengono posti — molte sono le testimonianze in prima persona: gli orno-sessuali portano la loro esperienza affermando il diritto ad esprimere |g loro sessualità e la loro volontà di lotta contro la repressione. La sessualità femminile trova spazio nella seconda giornata del congresso. Il dibattito è ampliato. Una donna omosessuale del FUORI dice che non sente l’esigenza di lottare nel movimento femminista in quanto donna. La sua lotta è in quanto omosessuale; il suo posto è nel FUORI. Alcune donne, anche ponendosi come omosessuali non sono d’accordo: la sessualità femminile è altra cosa da quella maschile. La donna è oppressa in maniera diversa anche nella omosessualità: persino nei gruppi misti omosessuali sì ripropone il conflitto di potere uomo-donna. Negli interventi delle donne (omosessuali e non) l’accusa alla società maschile è ora più «vissuta», la repressione per loro è stata totale, costrette a subire una non sessualità impostale dal maschio. Le donne omosessuali affermano che la loro lotta al potere maschile è più radicale di quella condotta dalle donne eterosessuali. Non hanno necessità di scendere a compromessi col maschio. Quelle di loro che si pongono all’interno del movimento femminista riconoscono invece la totalità dell’oppressione specifica che discrimina tutte le donne nel sesso, nel lavoro, nello studio, nella politica, ecc. Una femminista parla del suo rapporto col maschio: «Ti ritrovi a letto con un uomo che non conosci, che ignora il tuo corpo. Ti rendi sempre più conto come è poco erotico quest’uomo che ha identificato la sessualità con il suo pene. E mentre tu cerchi con il corpo dell’altro un contatto erotico di pelle, di emozione, lui è indaffarato: tenta disperatamente di ficcarti T’organo’ da qualche parte. Il mito dell’efficienza anche a letto. È potente? Quante ne fa? Ti prende, ti possiede e ti stupra». È vero, la donna è riuscita — nonostante l’emarginazione e le violenze subite — a conservare un erotismo autentico attraverso un contatto umano, fisico, con i bambini ad esempio. Per questo la donna oggi dice «voglio veramente amare, perché ne sono capace. Ne sono sempre stata capace, anche se me lo hanno oggettivamente impedito. Ma voglio essere finalmente amata. Il ‘ maschio ‘ si è sempre preso quanto ha voluto e ha lottato per prenderselo. Non si è negato un suo orgasmo, né con la concubina, né con il discepolo prediletto. Il risultato: una società monosessuale maschile». «Ma questa è la società che combattiamo anche noi» dicono i militanti del FUORI. D’accordo, ma può, o vuole, l’omosessuale del FUORI fare un discorso nuovo nei confronti della donna e del suo corpo in particolare? Accettarne la realtà sessuale, visto che l’ha sempre esclusa proprio come corpo? Un omosessuale di Torino interviene. Racconta che per la prima volta, poco tempo fa, ha conosciuto il corpo di una donna. Il rapporto con questa donna, lesbica, gli ha fatto perdere la sua paura del corpo femminile. Ha scoperto che questo corpo non è affatto «quel coso con buchi, mostruoso…» Si è reso conto che è… altrettanto bello come quello maschile al quale era abituato. Continua dicendo che il FUORI di Torino ha sempre cercato di avere contatti con i gruppi femministi per un lavoro comune, ma sono rimasti sempre dei tentativi. Partecipando al congresso si è reso conto del divario che esiste tra i maschi del FUORI e le femministe ed è convinto che i discorsi delle «alleanze» sono stati fatti in astratto su problemi non concreti che passavano sopra le teste di entrambi. «Bisogna partire dalla nostra corporalità», afferma.

«Solo nella reale conoscenza di noi, del nostro corpo e della nostra sessualità, di noi come persone vere e intere può scaturire la comprensione delle nostre esigenze. Propongo ai maschi del FUORI di parlarne in prima persona». L’appello è caduto nel vuoto: solo le donne hanno applaudito. Questo dovrebbe essere valido per le donne e per gli uomini (che senso avrebbero, ora, le etichette?). Il discorso è aperto. La conoscenza continua. In questo contesto la donna porta il suo contributo. Sta riscoprendo il proprio corpo e la propria complessa sessualità. Difatti viene fuori un’affermazione di questo genere: «Sono contenta anche delle mie mestruazioni, perché fanno parte del mio ‘essere femminile’». Le donne in sala ridono: sono d’accordo. È bello ridere delle mestruazioni (essere, una volta tanto… «ben disposte»).

All’uscita del congresso si riprende il discorso. C’è chi dice: «Quando ero ragazzina e chiedevo timidamente spiegazioni sui fatti naturali riguardanti il sesso, mi dicevano che io avevo le mestruazioni, mentre il maschio aveva la barba». Questa la differenza. «Ma non mi rendevo conto del perché io mi vergognavo tanto del mio ‘fatto naturale’ al punto che facevo di tutto per non fare accorgere agli altri quando avevo le mestruazioni, mentre II maschio ostentava il suo ‘fatto naturale’ con tanto orgoglio. La rasatura della barba è addirittura un rito (Carosello insegna), mentre le barbe, più sono lunghe, più sono ostentate come manifestazione di genialità. Che dire, poi, di quelle dei nostri rivoluzionari? E dei petti pelosi che, volutamente, in estate sono esposti come conferma di grande virilità sotto camicie sbottonate fino all’ombelico? ‘ Più sono peloso, più sono virile ‘, sembra lo slogan della mostra. Però io di fronte al libro di Morris, ‘La scimmia nuda’ mi sono sorpresa a pensare: ‘ Non è poi tanto vero ‘ (né che siamo nudi, né che non siamo scimmie)». Le immagini del virile e del femminile alle quali ci siamo dovuti adeguare finora e che ci hanno imposto lo svolgimento dei ruoli (il forte e il debole, l’attivo e il passivo), ruoli che ritroviamo allo stesso modo nel rapporto etera, come in quello omosessuale, sono tutte da rimettere in discussione.

Se abbiamo il coraggio di guardare attentamente come questi ruoli frustrano le nostre esigenze di esprimerci e di comunicare con gli altri (anche al di là della sfera sessuale), ci dobbiamo chiedere: «cosa è veramente la ‘devianza’?».