dalla parte delle bambine

novembre 1973

«Sono in lutto per la non-distinzione, ma anche per un eccesso di distinzioni», scrive David Cooper nella «Morte della famiglia», ed è lo stesso lutto che porta la Bellotti descrivendoci dei piccoli fantasmi ingrembiulati e diafani, ai quali è negato qualsiasi spessore e diritto alla diversità, tranne quell’unica coatta e inesorabile, rappresentata dai ruoli sessuali. «Nessuno può dire quante energie, quante qualità vadano distrutte nel processo di immissione forzata dei bambini d’ambo i sessi negli schemi maschile-femminile così come sono concepiti dalla nostra cultura, nessuno ci saprà mai dire che cosa sarebbe potuta diventare una bambina se non avesse trovato sul cammino del suo sviluppo tanti insormontabili ostacoli posti lì esclusivamente a causa del suo sesso».

Non vi è dubbio, infatti, che anche per il bambino l’adeguamento alle aspettative sociali rappresenti una profonda mutilazione del proprio io: accettare il modello dell’aggressività inesauribile, dell’irruenza, del ferreo disciplinamento della propria emotività, significa uccidere una parte di sé. Paolo che non sa o non vuole trattenere le lacrime, Giacomo che vuole giocare con le bambine, con i loro drammi di esseri «devianti» e non accettati (neanche dall’oppressa, che ridicolizza l’oppressore che si spoglia del proprio ruolo chiedendogli conto della sua follia di maschio che disprezza il privilegio concessogli) ci ricordano Franz Kafka nella sua «Lettera al padre» quando tormentosamente .rivendica la propria diversità, eppure invidia la «corposità maschia dei Kafka». Eppure queste mutilazioni sono compensate così generosamente da meritare ogni sacrificio: sono riti di iniziazione che consentono di accedere all’empireo del privilegio, di trascendere il vile mondo «femminile» della immanenza e della ripetizione, di pervenire alla stima di sé, alla conoscenza e all’autonomia.

La storia della bambina, invece è la storia della lunga marcia che famiglia, scuola e istituzioni compiono per farle accettare fino in fondo il suo ruolo di subordinata. Fin dalla nascita una femmina non è mai una persona: è ciò che darà ai genitori, è il suo aspetto fisico, è ciò che porta addosso. Il primo rapporto con la madre, tramite con la realtà esterna, si sviluppa attraverso l’allattamento: il seno materno è fondamentale perché non solo è fonte di sostentamento, ma anche di piacere orale, che si identifica con il piacere in generale, con la certezza, ohe il bambino può avere o non avere, che il suo corpo venga accettato dalla madre. Questo momento chiave è spesso per la bambina drammatico e frustrante: essa sperimenta per la prima volta la non accettazione di sé da parte degli altri e, di conseguenza, anche da parte di se stessa. La Bellotti cita a questo proposito una ricerca che rivelò come solo il 66% delle madri di bambine accettava l’allattamento al seno contro il 99% delle madri di maschi.

Ma alla bambina non si nega solo il piacere, si nega la parola, come espressione libera e creativa di sé: deve rispondere a comando come un burattino e imparare al più presto l’ignobile minuetto delle conversazioni «femminili». Questo mostriciattolo muto e infiocchettato sarà poi affidato a una maestra ignorante e insensibile che si lacca le unghie nell’attesa che il fidanzato le regali una prigione dorata dove morire di noia, vittima anche lei, eppure fino in fondo contro se stessa e contro la piccola vittima affidatale, E così la piccola schiava, priva della minima fiducia in se stessa, conoscerà il sorriso accattivante dei servi, l’ordine meticoloso dei morti viventi, l’in– significante brusio di chi non ha più diritto ad un cervello: sarà disposta a tutto per l’elemosina di un’approvazione.

L’uscita dal vicolo cieco dell’educazione repressiva viene intravista dalla Bei-lotti in un processo che permetta lo sviluppo delle attitudini creative del bambino: il concetto di «creatività» offre un importante terreno di riflessione e di applicazioni concrete in sede pedagogica. La Bellotti ritiene che la creatività, cioè la capacità di porsi in modo autonomo e articolato sia a livello di critica che di progettazione rispetto al contesto socio-culturale in cui siamo inseriti, sia frutto della sintesi tra autonomia e sensibilità. Su questa base possiamo allora dire che la nascita della «donna nuova» non passa attraverso la passiva scimmiottatura dello stereotipo maschile,’autonomo sì, ma in maniera tetramente efficientistica, bensì attraverso la costruzione di una identità nuova, più ricca di sfaccettature, più pienamente umana.

Elena Bellotti Giannini, «Dalla parte delle bambine», Ed. Feltrinelli.