donna operaia parola redentrice

Intervista a Nora Federici

gennaio 1976

Turone: Nel nostro paese si richiedono sempre le strutture sociali per le donne che lavorano e non per la socializzazione dei servizi. Non esiste quindi il pericolo che in un periodo di recessione come quello attuale venga vanificata la battaglia per le strutture sociali?

Cioè: da una parte la disoccupazione femminile, dall’altra la mancata realizzazione di asili-nidi, eccetera. Tutto sembra spingere la donna a tornare a casa.

Federici: Io ho l’impressione che più che una crisi acuta di disoccupazione che s’inserisce nella crisi globale ci si trovi davanti ad una crisi di sottoccupazione delle donne. Infatti questo fenomeno si produce tutte le volte che il sistema entra in crisi. La crisi significa licenziamenti ma parte della mancata produzione si trasforma in produzione marginale, occasionale. E cioè si riforma l’espansione del lavoro a domicilio delle donne. Abbiamo delle leggi che riguardano il lavoro a domicilio ma momenti come questi non sono certo propizi al rispetto di leggi e portano anzi all’elusione continua.

Turone: In un recente convegno sulla questione femminile, un economista della sinistra socialista, Paolo Leon, ha sottolineato come esista una fascia maschile di lavoratori dai 25 ai 40 anni che difendono il loro lavoro anche contro le lavoratrici e ha proposto come unica alternativa a questo «monopolio» la richiesta da parte femminile di una aliquota fissa femminile obbligatoria da imporre al momento delle assunzioni.

Federici: Sono contraria a simili proposte perché pongono operaie e operai, lavoratosi e lavoratrici in antagonismo, mentre si dovrebbe trattare di una lotta comune. Dovrebbe essere necessario per la stessa classe lavoratrice non escludere il lavoro femminile.

Turone: Dovrebbe. Ma non lo è?

Federici: L’uomo prevarica la donna nel lavoro, non ci sono dubbi. Ma anche la proposta di una aliquota si mette sullo stesso piano: in un domani si potrebbe arrivare con una simile logica al licenziamento degli uomini. Il problema è un altro. I sindacati dovrebbero garantire che non ci fosse selezione di sesso. Ciò dovrebbe entrare nella coscienza dei dirigenti — e sta entrando — ma dovrebbe entrare anche nella coscienza delle masse.

Turone: Anna Kuliscioff scriveva nel 1890: «Io direi: ” donna-operaia parola redentrice ” poiché è appunto l’industrialismo moderno con tutti i suoi mali che renderà la donna povera uguale all’uomo e la sottrarrà alla sua dipendenza dall’altro sesso». Ottantacinque anni dopo è triste riconoscere che la dipendenza esiste ancora e che anche se lo sfruttamento della donna da parte dell’industria è rigoglioso come non mai, il lavoro della donna viene considerato ancora sussidiario.

Federici: Occorre cambiare la mentalità. Occorre superare la divisione dei ruoli come sono oggi e questo è un problema a lungo termine. A breve termine si può solo chiedere che non siano fatte discriminazioni.

Turone: Parliamo ora dei dati attuali.

Federici: Diamo una scorsa ai dati di questi ultimi anni. Il periodo di massima occupazione femminile è stato nel ’59-60. Poi si è avuta una lenta diminuzione che si è accentuata nel ’72. In questi ultimi tre anni invece c’è stata una ripresa che è ancora tutta da spiegare.

Ora noi dobbiamo considerare un fatto: la diminuzione di lavoro — non parlo degli ultimi tre anni — per quanto riguarda gli uomini può interpretarsi come fatto socialmente positivo. Ossia si è verificata una riduzione del tasso di attività nelle età molto giovani e fra gli anziani, mentre il tasso di attività è rimasto invariato fra i 25 e i 40 anni, semmai è aumentato. Si è assistito cioè ad un prolungamento scolastico da una parte e ad un anticipato ritiro dal lavoro per gli anziani. Per le donne invece c’è una caratteristica che differenzia la dinamica da quella maschile? La riduzione del tasso di attività ha toccato pesantemente le classi produttive, cioè le classi di età centrale.

Qui, ai fattori positivi si è aggiunto un fattore negativo che si può presumibilmente interpretare col fatto che la progressiva contrazione dell’occupazione agricola ha inciso sulle donne in modo diverso e in modo più grave che per l’occupazione maschile.

Gli uomini che hanno lasciato l’agricoltura si sono reinseriti in altri settori produttivi. Le donne no. E lo conferma il fatto che l’occupazione maschile nell’industria e nel terziario è aumentata; l’occupazione femminile invece è aumentata solo un po’ nel terziario mentre è diminuita nell’industria.

Turone: Questo lascierebbe supporre che le donne abbiano dovuto lasciare il posto agli uomini nell’industria. Federici; Si, effettivamente c’è stata una sostituzione ma non si può sapere se è stata voluta o subita dalle donne. È anche probabile che parte di queste donne lavorino ancora ma come sottoccupate. Il lavoro nero è infatti sempre più massiccio e risulta poco o male nei rilevamenti statistici. E’ possibile che molte donne sfuggano alle rilevazioni a causa della clandestinità del loro lavoro e del timore di perdere il lavoro se lo dichiarano come tale. Turone: Cosa accade invece dopo il 1972?

Federici: Dopo c’è questo fenomeno strano e difficile da spiegare. Mentre l’occupazione maschile continua a diminuire, quello femminile, nei dati statistici, riprende. E possiamo dare varie spiegazioni al fenomeno. 1) Un diverso modo di dichiararsi? Ossia di fronte ad un rilevamento statistico donne che

lavoravano in casa si dichiaravano finora come casalinghe. E ora, col diffondersi della coscienza, potrebbero invece dichiararsi lavoratrici. 2) Si potrebbe trattare del decentramento aziendale e che, invece di trovarsi di fronte ad una apparente ripresa ci fosse la manifestazione del decentramento dell’industria da lavoro in fabbrica a lavoro a domicilio.

Turone: Ci troviamo di fronte alla solita storia: il capitalismo non ci rimette mai, si limita, in periodo di crisi a decentrare lo sfruttamento. Gli operai costano troppo? Scatta la cassa integrazione per gli uomini e il lavoro, il medesimo lavoro, viene affidato alle donne a domicilio. Un’altra dimostrazione di come sia il capitale a discriminare i sessi e non l’offerta di lavoro. Su questo la classe operaia maschile dovrebbe riflettere quando le donne rivendicano il loro diritto al lavoro. Solo uniti si sconfigge lo sfruttamento.

Federici: E infatti la classe operaia deve rendersi conto che solo l’unione e la non discriminazione può vincere lo sfruttamento.

1960 donne 25%  uomini 61,7%

1972 »18,6% »  53,3%

1974 » 19,4% »  52,8%

 

Turone: Per molti anni la politica femminile ha teso a perfezionare leggi pròtettive nei confronti della donna: la legge sul lavoro notturno, la legge sulla maternità, gli asili nido in fabbrica. Le motivazioni erano giuste se si pensa allo sfruttamento orrendo che le donne hanno dovuto subire durante tutto il periodo dell’industrializzazione, ma si sono ritorte alla fine contro lo stesso lavoro femminile. Come dobbiamo porci oggi di fronte a queste leggi protettive?

Federici: Secondo me non bisogna iperproteggere la donna. Bisogna proteggere tutti i lavoratori ma non escludere le donne da nessun lavoro. Sono contraria a leggi notturne. Non vedo perché la donna debba essere esclusa perché perpetua l’immagine della donna fragile.

Per quanto riguarda la maternità invece il discorso è diverso: va protetta se il lavoro può provocare danni sulla donna o sul nascituro.

Turone: Uno studio del CNR sulla nocività ha messo in rilievo come il pericolo di malformazioni fetali avvenga nei primi mesi della gravidanza. Quindi una legge come la nostra, che prevede l’assenza dal lavoro negli ultimi due mesi di gravidanza, è una legge che non va più di pari passo con la scienza. Dobbiamo riconsiderare la legge sulla maternità?

Federici: Non è che la tutela sia insufficiente ma è male impostata. Più che richiedere di più, occorre chiedere una protezione diversa della maternità. Si assentino nei primi tre mesi dove c’è nocività. La legge non è insufficiente, va rivista alla luce dei dati acquisiti.

Turone: Molte compagne femministe hanno proposto il salario alle casalinghe. Anche la Kuliscioff, nel «Monopolio dell’uomo» diceva «e se fosse ritenuto che la donna, essendo madre, può ben guadagnarsi con questo solo stato la sua indipendenza materiale, ricevendo dal marito un compenso equivalente al suo lavoro». Oggi, chi parla di salario alle casalinghe, non pensa al marito, ma allo Stato. Come va intesa una simile richiesta alla luce dell’attuale disoccupazione femminile?

Federici: È un problema complesso che va visto sotto diversi punti di vista. Non c’è dubbio che il lavoro domestico debba essere considerato come un lavoro produttivo.

Si è tentato di fare un calcolo del reddito prodotto dal lavoro casalingo e nel ’71 è risultato da nostre ricerche pari a 17 mila miliardi il reddito prodotto dalle donne casalinghe. Ora se si tiene conto che il reddito nazionale è di 50 mila miliardi, escluso il lavoro casalingo, ci si rende conto di quale notevole quota si dovrebbe aggiungere. Il lavoro casalingo deve essere visto come lavoro produttivo e quindi come sfruttamento. Più discutibile è invece proporre un compenso per questo lavoro perché sarebbe il modo di perpetuare questa condanna. La soluzione proposta non risolverebbe il problema delle donne. Le valorizzerebbe e sarebbe un riconoscimento ma sarebbe un elemento ulteriore per dividere il lavoro e che cioè spetti alla donna il lavoro domestico sempre e per sempre mentre va diviso fra i componenti della famiglia in parti uguali.

Turone: Però un bel salario casalingo forse spingerebbe gli uomini finalmente a lavorare in casa.

Federici: Non credo perché non lo considererebbero mai: non sarebbe abbastanza ‘ competitivo e troppo poco pagato. Comunque riconosco valido lo obiettivo ma non la strada seguita. Comunque la rottura va fatta anche a livello di costume. Ci sono elementi sovrastrutturali che mantengono il dominio qual’è oggi. Non è sufficiente cambiare organizzazione capitalista in organizzazione socialista per eliminare automaticamente — come Bebel pensava — e non è sufficiente perché ci sono alcune condizioni di tradizione e di costume legate alla contrapposizione di classe uomini-donne che non spariscono automaticamente. Secondo me occorre puntare sulla richiesta del lavoro da parte delle donne e la richiesta che il lavoro casalingo siano uomini e donne a dividerselo. In caso contrario non si fa altro che perpetuare i ruoli. E oggi è più facile dare il salario alle casalinghe che introdurre le donne nella produzione.

Turone: Ma dove ci inseriranno se non c’è lavoro?

Federici: Si tratta di modificare l’orientamento della produzione che non va bene neppure per la sola occupazione maschile.

Turone: Per esempio prendendo in considerazione la proposta di una riduzione dell’orario per tutti?

Federici: Sono favorevole alla diminuzione dell’orario di lavoro per tutti. Intendiamoci: non il part-time perché di fatto è servito solo per diminuire l’orario della manodopera femminile mentre la riduzione dell’orario e l’abolizione dello straordinario per tutti potrebbe essere la soluzione.