i punti sulle i

(a proposito di benelux)

giugno 1974

Dopo avere incontrato tante donne — durante la campagna-referendum — donne abruzzesi, calabresi, siciliane, tutte o quasi per il NO alla abrogazione del divorzio, dopo avere incontrato più uomini titubanti che donne, come si fa a non indispettirsi constatando che se un Benelux deve fare l’esempio di qualcuno che purtuttavia ha votato sì, nella stragrande maggioranza di NO, per far l’esempio sceglie, ancora una volta, una donna? Infatti scrive su Paese Sera del 14 maggio scorso: “…Se abbiamo una parola da aggiungere, sarà per la nostra vicina che ha votato e che adesso forse sarà spaventatissima…”. E, rassicurante e paternalistico, conclude: “Venga, signora, c’è un bicchierino anche per lei». Ora nessuno di noi vuol sostenere che non ci siano donne che hanno votato sì, ma questo Benelux deve essere proprio sfortunato: infatti io ho voluto provare a chiedere alla mia vicina, che cosa aveva votato, e il dialogo che segue rappresenta la sua risposta: D. Rosa, cosa ne pensa lei del referendum e del voto delle donne? R. Hanno votato benissimo. Cioè hanno votato NO. Io ho votato NO e ho fatto pure la mia campagna elettorale. Parlavo nei negozi, dove potevo. Ho avuto un pò di difficoltà con certe persone anziane che dicevano che avevano paura che poi veniva la droga, se si approvava il divorzio. D. Ma lei ha votato NO perché è iscritta o simpatizzante di un partito che si è schierato per il NO? R. Io ho votato NO perché volevo dire NO. Perché io di questi uomini sporchi, luridi… Non mi faccia dire. Pensare che tutta la vita una donna deve essere schiava dell’uomo. Quando a noi ci serve libertà: libertà di parola, di pensiero, di tutto. Io avrei sempre votato NO, pure se fossi stata in fasce, senza sapere di partiti né di altro. Tutti opprimono la donna. Gli uomini vogliono essere serviti. Non solo una lavora fuori casa, e in casa, ma deve essere schiava anche a letto. Loro, i mariti, vanno fuori, al bar, all’osteria, a giocare a carte, e a casa hanno la servetta, la cenerentola.

Sono andata a un dibattito a cui c’era un onorevole dicci, un assessore. Ho parlato io a favore del divorzio, contro di lui, e lui mi fa che si capisce che io voglio risposarmi.

E io: Lei si faccia gli affari suoi, non lo sa quanti mariti bevono e maltrattano le mogli?

A un altro dibattito ho proprio detto: Io so’ femminista e mo’ vi spiego che è proprio ora di finirla, un padrone sopra di me non ce lo voglio. Anche quando dici che hai mal di testa ti prendono con la violenza e ci devi stare eccome, altrimenti ti prendi ceffoni e altro… Gli uomini si devono rendere conto che la donna ha una coscienza. Che ha più intelligenza degli uomini. D. Lei ha detto che è femminista? R. Sì, io sono una poveretta, con una vita di stenti, ma sono femminista perché ad essere sfruttata non ci sto più. Mi dispiace, non ci sto più. Persino al seggio ho fatto una discussione con un uomo per il NO. Lui diceva che se avesse preso come donna una come me, così battagliera, la avrebbe menata. Io gli ho risposto che non è più l’era di checca e nino, quando gli antenati avevano relegato la donna in casa mentre loro andavano a fare i guerrieri, e che lui andava ancora con le idee arretrate. Lui si è arrabbiato: ma lo sa, mi ha detto, che noi uomini siamo superiori? Beh, sa che gli ho risposto? Voi uomini siete superiori solo di lingua e di cazzo. Gli ho pure detto che il divorzio è la società che lo vuole, quando costringe le famiglie a vivere come vivono. Io abito in un buco di casa con il cesso in camera da letto, con una stanzetta per il ragazzino e una cucina-ingresso. Ci sono le sbarre come i carcerati. E’ umido, buio. Mi dica lei questo ragazzino cosa può fare, sta sempre per la strada e anche se io gli ho fatto vedere i lati brutti e i lati belli della società, che riuscita mi farà un domani? Questo in casa non ci sta dice che gli sembra una galera. In casa ci stiamo noi donne. Gli uomini portano quei quattro soldi, e noi dobbiamo servire la famiglia a puntino. Noi siamo le serve non pagate. Siamo sfruttate tre volte. Fuori, in casa e la notte, a letto. Perché l’uomo se ne frega, è peggio di una bestia. La bestia almeno ha il suo ciclo, ma l’uomo no, è sempre lì, sempre pronto. E quando non c’è più l’amore è un bello schifo. Il mio NO è stato un NO vero, mi è venuto da qua dentro, un NO per ‘andare avanti, e di corsa.

L.F.

 

(a proposito del manifesto)

In un recente dibattito all’Università di Roma, ci sembra quasi che il manifesto, promotore della manifestazione abbia gettato la maschera per mostrare il suo volto solo “progressista” rispetto alla problematica che il movimento di liberazione della donna va elaborando.

Dal giudizio poco responsabile, paternalistico e inverosimilmente rozzo e qualunquista che un dirigente del Manifesto (Magri) ha formulato sul movimento femminista, abbiamo preso atto che, nell’arco della sinistra di classe neppure il Manifesto ha colto il rapporto che esiste tra lotta di classe e lotta degli oppressi. Di qui l’apertura solo intellettuale per quella che è l’oppressione specifica della donna. Di qui l’analisi solo “storica” della famiglia che fa il Manifesto perché non riesce a cogliere il nodo strutturale donna famiglia specifico della società capitalista e che spiega anche il suo permanere nei paesi cosiddetti socialisti, dove esiste una scissione tra famiglia e proprietà privata.

Su questa analisi, la nostra, e su quella del Manifesto, torneremo nelle pagine di Effe quando avremo più spazio. Il confronto ci interessa in nome della “maturità del comunismo” che per noi sta a significare la rivoluzione dei contenuti della lotta di classe. Non ci interessano, viceversa, le amenità che il dirigente del Manifesto ha profuso a piene mani contro di noi, speculando sulla subordinazione mentale di alcuni compagni che in lui hanno visceralmente applaudito un nuovo modello di femminologo. A questo dirigente del Manifesto diciamo solo che se egli continua a vagheggiare l’amore nei rapporti interpersonali senza specificare che in questa società, le donne non sono “persone” e gli “individui” sono solo di sesso (biologico o culturale) maschile, non farà altro che avallare quell’eterna ipotesi mitica (che ha sempre fregato l’umanità) di un desiderio di amare superiore ad ogni altra inclinazione sociale. A parte poi l’inopportuna e strumentale citazione della famiglia Cervi, questo dirigente del Manifesto è arrivato persino a indicare come modello di famiglia “libera” quella “nucleare” di Gesù (bambino!). Troviamo questo esempio molto pertinente: quella di Gesù bambino è una famiglia dove con il padre putativo e salvo anche ogni diritto civile e giù11‘ dico: si può divorziare.

Lucianna Di Lello