internista «Donna Woman Femme»

gennaio 1976

EFFE — Già due volte abbiamo dato l’annuncio della vostra Rivista, DWF Donna Woman Femme, e molte compagne ci hanno scritto chiedendo maggiori dettagli sull’iniziativa: chi la fa, come, dove si trova ecc. Forse sarà il caso che questa volta siate voi a dare qualche spiegazione.

DWF — Finora abbiamo risposto singolarmente a chi ci ha scritto in modo piuttosto sintetico; perciò siamo felici che ci offriate l’opportunità di dire qualcosa in più. In un certo senso DWF è nata perché i tempi lo richiedevano e se non l’avessimo fatta noi l’avrebbe fatta qualche altro gruppo di donne che lavorano nell’università, negli istituti di ricerca, e luoghi affini perché è troppo evidente l’assenza di studi scientifici sulla donna nelle varie discipline (dalla storia, alla economia, alla letteratura, alla filosofia, all’arte ecc.), troppo evidente la distorsione apportata dall’ottica maschile quando il problema donna viene affrontato, ed è ormai inaccettabile il silenzio delle donne, che pure lavorano nell’ambito della ricerca scientifica, sui temi che le riguardano e sui quali sono bene in grado di dare contributi più nuovi e significativi. Ma il problema non è solo di ottenere che le donne operanti nei diversi settori della ricerca scientifica si occupino in prima persona dei problemi femminili senza più deleghe all’uomo; il problema è che tutta la scienza fino ad oggi prodotto esclusivo della mente maschile, venga ripensata anche secondo l’ottica della donna, per farsi pienamente umana.

EFFE — Voi intendete fare un discorso solo di ordine teorico…

DWF — Il nostro è un discorso di ordine teorico, ma teorico non vuol dire astratto e senza conseguenze per la realtà sociale, anche se si tratta di conseguenze i cui effetti si vedranno a lungo termine. Fino ad oggi troppe leggi, troppe istituzioni, troppe iniziative di ordine sociale sono state prese per conto delle donne fondandosi sul falso presupposto che la donna fosse per «natura» portata a svolgere determinate attività e sempre per «natura» negata ad altre e, guarda caso, la pretesa «predisposizione» femminile era sempre per l’ambito privato, per le attività riproduttive e ripetitive, che si svolgono lontane dai luoghi e dai momenti in cui si prendono le decisioni fondamentali per la vita di una società. L’analisi che noi vogliamo fare, e per la quale la chiave storico-antropologica è fondamentale, è volta a dimostrare che questa pretesa «predisposizione» femminile (della quale molte donne sono ancora convinte), lungi dall’essere un dato di natura, è un fatto di cultura, è il prodotto di un lungo processo di adattamento a cui il potere maschile ha portato la donna. È un fatto che ormai le femministe di tutti i movimenti hanno avvertito e di cui vanno discutendo, ma che noi intendiamo portare avanti e documentare con sistematicità e con rigore metodologico.

EFFE — La vostra rivista ha una redazione composta tutta di donne, però avete anche collaboratori uomini: questo non è in contraddizione con la volontà di ripensamento secondo un’ottica femminista?

DWF — Innanzitutto siamo noi a decidere sul programma e sulla qualità dei contributi e questo non è poco. In secondo luogo noi vogliamo che DWF oltre che espressione di una ricerca che le donne fanno, sia anche un luogo di dibattito: non basta più che le donne contestino la cultura maschile, devono poter entrare nel merito specifico di determinate analisi e poter dire, con cognizione di causa, ciò che vi è di accettabile e ciò che è rivedibile e questo non si fa col semplice rifiuto, si fa appunto col dibattito. Infine non è detto che tutti gli uomini siano incapaci di un ripensamento critico dei risultati della scienza, La discriminante non passa in assoluto tra maschi e femmine, ma tra persone perfettamente acculturate alla cultura maschile dominante (e di questa, ahimè, fanno parte ancora troppe donne e forse proprio le più colte) e persone in crisi, in fase di ripensamento. Tra questi, ci sono anche degli uomini e spesso proprio quelli che per professione si trovano a constatare con mano i drammi della condizione femminile e i limiti di una scienza e di una cultura che della donna non si è mai presa cura sul serio (medici, psichiatri, avvocati ecc…. Non sono molti, ma è gente dalla cui esperienza e

riflessione teorica si può trarre certamente vantaggio.

EFFE — Vi siete presentate come una rivista internazionale: quale è l’orizzonte sul quale intendete muovervi e con quali possibilità concrete?

DWF — Teoricamente il nostro orizzonte è il pianeta terra: vorremmo documentare la storia e la realtà sociale della donna in tutte le epoche e in tutti i continenti, perché pensiamo che solo da un’analisi di così ampie dimensioni può scaturire una visione unitaria e fondata della condizione femminile. Questo ambizioso progetto deve poi fare i conti con la dura realtà. Noi, abbiamo contatti che vanno stabilendosi di giorno in giorno con studiose statunitensi, sudamericane, indiane, africane a cui abbiamo scritto, che ci stanno rispondendo in genere dimostrando una grossa disponibilità ad inviare, gratis, le loro ricerche su aspetti generali e particolari della donna nei rispettivi paesi. Il limite è costituito dal fatto che, per il momento la rivista esce solo in italiano, e questo condiziona la lettura da parte delle straniere e limita anche l’espansione della rivista stessa. Un altro e fondamentale limite è di ordine economico, perché noi tutte lavoriamo gratis e chi collabora non riceve compensi. Ciò nonostante la disponibilità è molta perché moltissime donne, isolate negli istituti di ricerca, vedono in DWF uno strumento per uscire dall’isolamento e affrontare liberamente e a viso aperto un dibattito che nel mondo chiuso della cultura delle nostre università è ancora impossibile.