un antifemminista al mese

Kissinger

febbraio 1974

«La donna il cui nome compare più di rado in tutto ciò che si è scritto e si scrive di Henry Kissinger è la sua ex moglie, Ann Fleicher. Anche lei è una rifugiata ebrea e conobbe Henry quando entrambi lavoravano di notte a scrivere indirizzi. Si sposarono quasi sette anni dopo, nel 1949, ed Ann continuò a lavorare per contribuire a mantenere Henry ad Harvard. Divorziarono dopo quindici anni da un matrimonio che lei stessa ha definito totalmente infelice». (Charles A. Ashman, «Kissinger: le avventure di Super-Kraut», ediz. Rizzoli).

Forse soltanto nelle poche righe che precedono, il brillante biografo di Kissinger, Charles R. Ashman ha inavvertitamente abbassato la guardia dell’ammirata complicità (omertà mascolina) che lo lega al suo eroe, Kissinger super-kraut. Eppure, è essenziale questo minimo abbozzo del ritratto di una moglie ignota alle cronache mondane ma quanto consueta all’esperienza di innumerevoli donne, immolatesi ‘ naturalmente ‘ alle carriere dei mariti, questa Ann che scriveva indirizzi o batteva a macchina per consentire al suo «uomo» di pensare senza fastidi, è probabile che il biografo la abbia citata soltanto per ottenere quel minimo di effetto patetico indispensabile alla cucina di un libro del genere. In realtà, è l’elemento che, a non conoscerlo, si suppone, nell’identikit dell’uomo ed. di successo: la cui impotenza affettiva (a volte, anche sessuale) è proporzionata logicamente ad un solipsismo sfrenato. Maschio per obbligo, il Kissinger, semmai ce ne sono stati, la sua leggenda ha bisogno di continuamente cangianti «proiezioni» femminili (terminologia tanto cara, come sappiamo, ai fellinidi) per essere alimentata. Il biografo Ashman gli tiene bordone, con quel tanto di malizia e invidiuzza che ogni giorno meglio si vanno rivelando, nella società contemporanea, «virtù» dell’uomo piuttosto che tradizionali difetti della donna. Per cui gli slogans: Kissinger = «la pistola più veloce dell’est». Per cui i motti: «E’ soltanto una femmina castrante» (a proposito di una parigina che aveva confidato alla stampa — à la guerre comme à la guerre — di essere stata a letto con lui). Quindi la sfilza dei .nomi: Zsa Zsa Ga-bor — l’incontro sarebbe stato combinato da Nixon — Judy Brown («Anch’io ho un ego — avrebbe dichiarato la stellina — e lui deve rendersi conto di come sia doloroso per me vedere come tutti i giornali parlino dei suoi rapporti con le altre donne»), Jill, St. John-— «Mi piace molto di più giocare con Henry Kissinger che con Sean Connery» — e Angel Tompkins («…ventotto anni dopo la sua nascita — scrive emozionato il biografo — chi le avrebbe battuto sul sederino? Nient’altri che Henry the K»).

Fin qui, le proiezioni kissingeriane, alimentate dall’Ashman, si riferiscono, come l’Ashman, aggiornato manipolatore di termini alla moda, si compiace ripetere, a «puri oggetti sessuali». Ma, vuoi per i suggerimenti della Casa Bianca, preoccupata che il consigliere presidenziale si mostri sempre in troppo allegre compagnie (ma lui, poverino, è così funereo!), vuoi perché, trattandosi di un professore di Harvard, anche il cervello vuole la sua parte, nella messe di K. il biografo non trascura di inserire radiote-lecroniste della CBS, first ladies, magari lievemente decadute, di Washington, e infine, puntando grosso, Gloria Steinem, una delle creatrici di Ms e tra le prime e più attive componenti del Women’s Lib. Gloria Steinem s’è appena limitata a smentire (mostrando una dose di buona educazione infinitamente maggiore di quella che denuncia il K. nelle sue smentite a presunte love-stories), ma il consigliere presidenziale non si è arreso: per cui, battuta: «Gloria Steinem non è e non è mai stata la mia ragazza, Ma non dispero. Dopotutto, non ha detto che se io la candidassi non accetterebbe o, se la eleggessi, che rifiuterebbe la carica». L’episodio merita di essere ricordato, per un punto: perché mostra come un individuo insaziato di potere, quale è Kissinger Super-Kraut, a suo modo comincia a fiutare una minaccia, un contropotere che gli si leva davanti agli occhi miopi: e, sempre nel suo modo grossolano di «maschio per obbligo», tenta di esorcizzarla.

Il punto è proprio questo: il potere. Il potere come il danaro il prestigio il successo si incrostano dentro i pori della pelle di un uomo, e per quanto dilatati siano o spinosi di una barba irritante, gli conferiscono — o gli hanno conferito fin’oggi — vere e proprie attrattive sessuali. Un costume, ed anzi una cultura patriarcale che pareva immutabile, hanno condizionato la donna, storicamente sprovvista di potere, a vedere «bello» il maschio potente: da Mussolini a D’Annunzio ed oggi a Kissinger, soltanto a rigirarsi negli ultimi cinquanta anni, gli esempi purtroppo non mancano. Ma nella misura in cui il movimento di liberazione, nel mondo, sta portando avanti la tematica del rifiuto del potere, e la ricerca di valori «altri» da quelli, ormai frutti velenosi, del successo, della ricchezza, della sopraffazione, personaggi come «la pistola più veloce dell’est» già cominciano a disfarsi, malamente, decrepiti.