la donna di carta

aprile 1975

L. – Ecco, queste sono le fotografie dei miei quadri. Per la copertina di EFFE ho pensato di darti questa. Si intitola «Donna» ed è abbastanza riassuntiva.

C. – Vedo: è una figurina messa come in croce, con questo grande grembiule di… di che cos’è?

L. – È di rete di metallo, qualcosa tra la camicia di forza, le sbarre della prigione… qualcosa che ci costringe, insomma.

C. – Senti, ma tu quando fai queste cose, che pensi? Pensi di raccontare delle storie o di fare delle opere d’arte? Cioè, come ti senti nei confronti — diciamo — di quella che è l’arte oggi? L. – Non ci ho pensato per niente. Infatti sono stata vent’anni senza fare più quadri. Ho fatto soltanto la grafica proprio perché non avevo un tema che mi ispirasse e invece su questa linea mi viene come quando parlo con la gente.

C. – Ecco: queste cose fanno parte della tua storia, una storia un po’ autobiografica?

L. – Autobiografica relativamente, perché io sono stata molto fortunata: prima di tutto perché ho avuto una mamma che, nonostante il papà ‘autoritario che diceva: «solo i maschi vanno all’università» e tutte queste cose, da quando siamo nate io e le mie sorelle, ha sempre detto invece: «l’unica cosa importante per una donna è avere un lavoro».

C. – Quindi hai una madre femminista.

L. – Esatto. Ti dicevo, avendo questo lavoro, ho fatto poco la casalinga. Però al momento in cui ti sposi, impianti una casa, ti vengono addosso i problemi che sono comuni a tutte le altre donne.

C. – Quindi il problema tu l’hai avvertito anche se non sei stata completamente coinvolta da questo dramma.

L. – Beh, ne sono stata coinvolta per almeno otto anni. Ho due figli di questa età. Due figli piccoli e nati — voluti — subito l’uno dopo l’altro, mi hanno permesso di fare il lavoro ma sempre soltanto come accessorio della mia vita di donna. Perciò questo è un problema da cui io non sono esclusa, anzi ne sono cosciente, soprattutto perché penso che tutte le donne dovrebbero avere la possibilità di fare un lavoro che gli piaccia, come l’ho avuta io. Non di essere obbligate… cioè a me piace molto fare le torte, io sono un’ordinata, mi piace tener bene la casa e tutto, però non dev’essere un obbligo ma una scelta.

C. – Tu prima hai detto che questo compito così grave di allevare i figli ti ha tenuto un po’ segregata dal lavoro creativo; adesso invece questo rapporto con i figli è diventato bello, buono come si vede anche dal tono di favola che c’è in questi tuoi lavori.

L. – È un rapporto bellissimo. Io sono fortunata, — una fortuna relativa perché sono cose che si conquistano sempre con le unghie e coi denti, con una fatica enorme — anche nel senso che lavoro a casa. Così quando finisco o una faccia o un quadro, chiamo subito i bambini a guardare: sono i miei grandi sostenitori, insieme a mio marito, devo dire.

C. – Quindi i bambini non vengono esclusi perché l’arte è considerata «lavoro da grandi».

L. – No no.

C. – Quindi possono partecipare.

L. – Anzi, fin da piccoli li ho sempre fatti partecipare ai lavori che facevo io. Trovo che è bello un rapporto così, da individuo a individuo, anche- se sono figli e mamma.

C. – Quindi c’è anche uno scambio a livello, non so, di idee…

L. – Certo. Il piccolo ogni tanto dice: «Mamma potresti fare una cosa femminista» e mi trova un soggetto suo… Poi l’altro giorno (a lui piace molto quel quadro «All’ombra dei grandi» ci sono tutte queste donnine, no?) E mi ha detto: «Mamma, ma se io fossi l’uomo più ricco del mondo lo pagherei anche 2.000-2.500 lire!» che per lui sono una cifra enorme.

C. – Quando hai cominciato a fare questi quadri?

L. – Quando ho cominciato a fare disegni per EFFE: mi sono avvicinata ad altre femministe, al giornale, ho cominciato a fare questi disegni con, grande gioia e con grande facilità e infatti, in questa mostra che faccio adesso a Milano, ci saranno anche dei disegni che sono in parte quelli pubblicati su EFFE in parte disegni nuovi che illustrano lo stato di inferiorità in cui è tenuta la donna dai pregiudizi di una società patriarcale.

Vorrei però che si sentisse dall’insieme di quest’opera che il discorso non vuole essere distruttivo: tutt’altro. Cioè queste donne in croce, inchiodate a degli obblighi, sono un po’, secondo me, una fase di passaggio: queste donne di carta, di cristallo. Insomma, dentro si deve sentire che nasce la donna nuova, la donna di carne, la donna vera.

C. – Tu hai sempre fatto la grafica. Però è la prima volta che questi tuoi disegni sono serviti per un giornale che fa una lotta specifica per le donne. Ne hai sentito l’importanza diversa?

L. – Vuoi dire dentro di me? Enorme. Enorme, perché io sono sempre stata;una persona rivoluzionaria in teoria. Appena ho cominciato a fare questi disegni, ho sentito che questa era la mia lotta vera, proprio una cosa che non partiva solo dal cervello, ma da ogni momento della mia vita quotidiana del mio modo di essere.

C. – Quindi questo scopo, questo avere la capacità di dialogare con le donne…

L. – .Sì, mi ha spinto anche in senso creativo.

Dialogo tra Cloti Ricciardi e Lydia Sansoni

A Milano, dal 9 al 30 aprile, Lydia Sansoni espone in una mostra personale alla galleria Schubert, via Gino del Duca 2, dipinti e disegni di argomento femminista.