i libri delle elementari
mamma cucina papà «invece» lavora
È stato detto più volte che la famiglia è il primo ente che condiziona il comportamento sessuale di maschi e femmine. Aggiungiamo che la scuola continua ed approfondisce, con metodo e disciplina, il condizionamento dei due sessi, già iniziato nella famiglia.
Vale a dire che i genitori condizionano giorno per giorno, così alla buona e su base artigianale i loro marmocchi a diventare rispettivamente maschi virili ed autoritari oppure femmine graziose e docili. La scuola, invece, mette al servizio deh”«operazione condizionamento» tutte le tecniche e gli strumenti e l’esperienza di decenni di insegnamento. Ed in più il prestigio e l’autorità che le provengono dal fatto di possedere il monopolio dell’educazione. Può darsi che qualcuno dubiti delle nostre affermazioni. Infatti, apparentemente, da tempo è stata avviata nella scuola la co-educazione dei sessi, bambine e bambini convivono in un’unica classe, fanno gli stessi esercizi, ricevono i mededesimi voti e non si ritrovano in mano la bambola e la scopa oppure il fucile, a seconda del sesso di appartenenza. Eppure, proprio nella scuola ha luogo un condizionamento sessuale e sociale più sottile ma non meno significativo, che, già nelle sue fasi intermedie, porterà la ragazza a considerarsi un cittadino di seconda categoria, meno intelligente del maschio, (salvo s’intende, le debite eccezioni), meno fortunato di lui, meno «portato» a tante cose e con meno possibilità nella vita e nella società. Insomma, un essere tale e quale agli altri, se si eccettuano tutti quei meno.
Ma in quali modi la scuola, in generale, condiziona (e frustra, dovremmo dire) le ragazze a sentirsi, e diventare cittadini di seconda classe?
Basta entrare in un’aula qualsiasi delle elementari per rendersi conto che, mentre i maschi vestono un maglioncino possibilmente blu, che poco ricorda una divisa, è perentorio per le bambine il grembiulino bianco. È implicita in quest’obbligo del grembiule la richiesta del conformismo: le femmine debbono essere tutte uguali, tutte con le medesime aspirazioni (ordine, pulizia, riservatezza, docilità), nessuna deve distinguersi in qualche modo dal gregge. Le cose vanno anche peggio nelle medie. A questa età i maschi sono vestiti come pare e piace, con pantaloni lunghi e corti, con giacche e maglioni o camicie. Le ragazze, invece, devono, sempre indossare un grembiule, ma non più bianco. Questa volta ci vuole qualcosa che le mortifichi in altro modo, e cioè nella loro femminilità nascente o prorompente, e nasconda e mimetizzi le forme del loro corpo. Così, per le adolescenti è stato scelto il nero, colore del lutto, della mestizia, della umiliazione. Che differenza c’è, ci domandiamo, fra le bende che i giapponesi imponevano alle loro donne per mantenerne piccolo il piede, o il velo che gli arabi fanno portare alle mogli ed alle giovinette (cose di cui noi occidentali ridiamo) ed il grembiule, bianco o nero, che pretendiamo usino le bambine e le ragazze nelle scuole? O il grembiule azzurro imposto alle impiegate nelle banche e nei pubblici uffici?
Del resto, quello dell’abbigliamento non è che uno dei molti aspetti della discriminazione sessuale che viene perpetuata nelle scuole.
Ci sarebbero naturalmente molte cose da dire sul comportamento degli insegnanti nei confronti di maschi e femmine. Comportamento che risente della tradizione e del condizionamento. –
In breve, si può affermare che, nella classe come nella famiglia, le femmine sono sempre al servizio dei maschi. Alle une vengono di solito affidate incombenze più gentili, agli altri impegni più virili.
Le maestre lodano la compostezza delle bambine, il loro ordine e la disciplina e deplorano i comportamenti «da maschiaccio». E spesso sono meno intransigenti con i bambini con la scusa che: «si sa, loro sono maschi», Anche negli orari e nelle materie si fanno differenze. Sappiamo infatti che, nelle ore di applicazioni tecniche, nelle medie, i sessi sono rigidamente separati, quasi che nelle aule del lavoro cosiddetto manuale si svolgessero pratiche magiche ancestrali. Proprio qui, in questo clima di «riservato ad un sesso o all’altro», si consumano infatti i riti per «soli uomini» o per «sole donne»: segare, martellare, costruire circuiti elettrici per i ragazzi, cucire, ricamare, cucinare per le ragazze.
Anche nelle ore di educazione fisica, ragazzi e ragazze non possono stare insieme: non si sa se ciò sia dovuto al fatto che gli esercizi compiuti da un sesso sono impossibili per l’altro o se semplicemente si vuole evitare che entrambi si vedano in calzoncini corti.
Ma tutto ciò è ben poco di fronte al condizionamento che viene imposto a maschi e femmine giorno per giorno attraverso i libri di testo, che sono da considerare tra i principali responsabili di quella discriminazione fra i sessi che ci costringe a vivere in una società (anticostituzionale) di diseguali: uomini che predominano e donne che si adattano.
I danni più gravi li fanno certamente i testi in uso nelle elementari. Essi sono tanto più pericolosi in quanto sono messi in mano a bambini che, per la loro età, sono facilmente influenzabili e condizionabili (senza possibilità di difendersi da certi pregiudizi e senza che se ne possano rendere conto).
Infatti, fin dal primo momento in cui mettiamo un libro, in mano ai nostri bambini in casa, o ai nostri allievi nelle scuole materne o elementari, noi li costringiamo ad accettare, anche sulla carta stampata, quegli stereotipi sessuali che abbiamo imposto loro dalla nascita. Non è neppure necessario che i bambini sappiano leggere. Basta sfogliare le pagine di un abbecedario per trovare le immagini stereotipe della mamma con il grembiulino (taagari con make-up, tacchi alti e messa in piega fatta di fresco) che sbriga le faccende domestiche con il sorriso sulle labbra, e del babbo che esce di casa con la borsa da professionista sottobraccio (o con la tuta blu da operaio) per andare al lavoro e guadagnare il pane per tutta la famiglia.
Per constatare l’entità di questo fenomeno mistificatorio, per il quale uomini e donne vengono rappresentati in una luce del tutto sbagliata, ho voluto compiere una breve ricerca su dieci libri attualmente in uso nelle scuole elementi italiane.
Non si tratta, è ovvio, di un lavoro molto ampio, tuttavia i dati ottenuti sono stati confermati da una ricerca analoga (della quale sono venuta a conoscenza a posteriori) condotta, negli Stati Uniti, su trenta testi in uso nelle scuole californiane.
Ecco i risultati: il 75% circa dei racconti e delle illustrazioni nella ricerca americana, e il 74% ca. in quella italiana, è dedicato ad imprese e fatti che hanno per soggetto un uomo o un ragazzo; il 15% racconta ed illustra storie neutre di animali e vari in cui compaiono anche uomini e donne; infine, le briciole che rimangono, circa il 10%, parlano di fatti (a volte con relativa illustrazione, a volte no) che hanno per protagonista una donna o una bambina.
Tuttavia, per quanto le statistiche e le percentuali siano obiettive ed al di sopra di ogni sospetto di interpretazione, non rivelano che una piccola parte della violenza psicologica esercitata sulle ragazzine.
Difatti, si può sommare aritmeticamente una figura maschile ad un’altra ed una femminile alla seguente, senza dire in realtà nulla di queste illustrazioni. Esaminandole, si possono avere molte sorprese. Intanto, a proposito delle figure, occorre tenere presente che, agli occhi dei ragazzi (come degli adulti, e di conseguenza per la loro formazione e sensibilità, è molto significativo se una figura femminile è messa in secondo piano rispetto ad una maschile, se è chinata od in ginocchio di fronte ad una antagonista, se è in posizione di dover essere aiutata o redarguita da una figura maschile a carattere autoritario, protettivo o dominatore. Difatti, è di solito sotto questo aspetto che sono rappresentate le scarse figure femminili di tutti i libri esaminati (ed anche in questo senso concordano i risultati delle due ricerche).
Quando poi le donne (nei racconti e nei disegni dei libri di testo) non sono in situazioni frustranti e ridicole oppure aiutate, protette, rassicurate dal maschio salvatore, sono illustrate in altri due o tre moduli, fissi ed immancabili: la Madonna del Presepe, la Befana, la casalinga, la madre. Tuttavia, parlando di «madre» non si deve commettere l’errore grossolano di ritenere che, nei libri di testo scolastici, la mamma sia vista come l’educatrice dei propri figli. In tutti i testi esaminati, infatti, la donna-di-casa-madre è sempre vista solo come quella che aggiusta calzini e grembiulini o fa torte squisite, all’educazione dei figli ci pensa papà in qualsiasi occasione, davanti al televisore, ad esempio, come in: Calcio, che passione: «Musi lunghi, quella sera, nel reparto femminile della famiglia. Papà ha annunciato: — Niente film, stasera, si guarda la partita —. Luisa torce il naso, mamma non fiata, non osa dire che avrebbe visto volentieri il film con Jean Gabin. La nonna e la mamma si dedicano al lavoro a maglia, Luisa al suo libro di lettura».
Mentre attendono, papà (l’enciclopedico) improvvisa una dotta disquisizione sul gioco del calcio dalle sue origini, con citazioni — a memoria — di Giovanni di Bardi, Conte di Vernino nel XIV secolo. È interrotto, mentre cita i Papi Leone X ed Urbano VII, dal fischio d’inizio dell’arbitro, ma il figlio maschio trova ancora modo di dare alcuni dati tecnici sulle dimensioni del campo. Segue il resoconto della partita. Solo di fronte ad un rigore «papà lascia chissà dove la sua composta riservatezza».
Un’altra volta papà (mamma è rimasta a casa a cucire i calzini, tanto la poverina non sarebbe in grado di capire) conduce i figli al museo. Ci arrivano così: «Valeria appesa al braccio del papà, mentre suo fratello Franco salta da una pozzanghera all’altra». Inutile aggiungere che papà si sostituirà poi al «cicerone» quando giungerà il momento di illustrare le sculture, da Medardo Rosso a Vincenzo Gemito. Quando si tratta di andare al cinema invece, poiché non c’è di mezzo la cultura e tutti possono capire, ci portano anche la mamma, purché stia zitta. Al momento della scelta, infatti: «Mamma non disse nulla, sapevano tutti che a lei piacevano i film sentimentali». «Nel buio della sala affollata tutti si commossero alla vicenda e si soffiarono rumorosamente il naso {anche papà), le donne piansero senza ritegno, lasciando scorrere le lacrime lungo le guance». La mamma arrischia poi: «Che bel film» ed il papà ammette: «Ben dosato il colore, ben ripreso il paesaggio dei colli fiorentini, ben studiati gli interni». E poi, manco a dirlo, fa una piccola conferenza familiare sulla storia del cinema. Sembra indubbio di essere di fronte ad una mistificazione vera e propria, se non creata ad arte, certo accettata con leggerezza anche da parte degli insegnanti stessi, i quali dovrebbero rendersi conto che la realtà è ben diversa e che i loro allievi non hanno madri (e ancor meno padri) di tal genere.
È opportuno rendersi conto che queste forme di condizionamento ai ruoli considerati maschili e femminili sono lesive della personalità perché ne alterano il naturale sviluppo e recano grave danno al processo di crescita dei maschi non meno delle femmine.
Infatti, mentre i testi esaminati (e tutti gli altri usati nella scuola) relegano e condannano la donna ai lavori domestici, relegano e condannano al tempo stesso tutti i maschi a pesanti impegni e responsabilità di lavoro che non tutti i maschi sono disposti o capaci di accettare e fare propri. Solo pochi di essi hanno la forza fisica e morale, la «stoffa» dell’eroe, non tutti potranno sfondare e riuscire vincenti nella vita, ma la scuola ed i libri li spronano all’ambizione, a riuscire, e comunque ad una costante e stressante emulazione con gli altri, in una situazione altamente competitiva. Spesso è proprio questa situazione, tanto più grave se lo stesso sprone — come spesso succede — si ripete e rinnova nell’ambiente domestico, a creare nel ragazzo maschio il disagio ed il rifiuto della scuola e della società ed a fabbricare i cosiddetti disadattati. I quali spesso, non sono che inadeguati alle richieste formulate-dagli adulti. Quanti piccoli Franz Kafka passano ore penose sui banchi di scuola? Quanti di essi sognano di trasformarsi al mattino in un grosso scarafaggio pur di sottrarsi all’impegno della scuola o lo sogneranno più tardi per evitare l’ufficio o le gesta gloriose e virili che, in quanto maschi, li aspettano? Ma anche, vien fatto di pensare, quanti ragazzi saranno portati a considerare i padri degli inetti, degli incapaci e degli ignoranti crapuloni solamente perché, al contrario di tutti i padri di questo mondo (come sembrerà loro leggendo certi libri di testo), i loro padri non sanno chi fosse Medardo Rosso, non sanno nuotare, e pertanto non salverebbero mai la bambina incautamente caduta nel fiume, di cinema sanno solo dire che gli piacciono Franchi e Ingrassia, e infine non perdono mai la composta riservatezza di fronte ad un goal soltanto perché non l’hanno mai posseduta? Si potrebbe continuare, a lungo ed esaminare uno per uno i racconti edificanti, falsi e quasi sempre insulsi che i nostri bambini sono costretti a leggere ed imparare nei cosiddetti templi dell’educazione. Ma non variano di molto da quelli riportati.
Possiamo aggiungere che, come è già stato segnalato in un’altra ricerca americana, anche il linguaggio è diverso, a seconda che si parli di maschi o di femmine. Certi aggettivi e verbi vengono usati solo per le azioni ed i comportamenti delle bambine, altri per quelli dei bambini. I maschi, ad esempio, «decifrano e scoprono», «guadagnano e si istruiscono» o «incastrano» qualcuno. Le femmine «si dibattono», «superano le difficoltà», «si sentono perdute», «aiutano a risolvere».
In genere il maschio ha sempre atteggiamenti e comportamenti attivi ed abili, la ragazza è passiva e nei guai. Il complesso di inferiorità delle bambine, già accuratamente alimentato e coltivato in famiglia, non potrà che aumentare in simili condizioni, poiché appare chiaro che, nella scuola, la sua presenza è appena tollerata: le bambine se ne devono stare buone buone in un angolo, in silente ed ammirata contemplazione della parte attiva e dominatrice della società, quella maschile.
Genitori ed insegnanti non se ne rendono conto, ma è proprio dopo certe letture educative che le ragazze incominciano a sospirare: «Come vorrei essere un maschio!» e non, come sostiene Freud, dopo che si sono accorte di non possedere il pene.
Chi ancora fosse convinto che uomini e donne si comportano da maschio e da femmine in modo innato e che nulla o ben poco è dovuto al condizionamento dell’ambiente nei primi anni di vita, potrebbe forse fare qualche utile riflessione su questa, per quanto remota, possibilità. Che cosa succederebbe se, all’improvviso, tutti: genitori, insegnanti, testi scolastici, scuola e società, incominciassero con metodo ad educare e condizionare i maschi come sono sempre state educate le femmine? Quali potrebbero essere i risultati, nonostante geni e cromosomi? Ma, prima ancora, non sembrerebbe terribilmente noioso agli uomini un mondo in cui solo e sempre si decantassero le donne e le loro straordinarie qualità, avventure e possibilità? Pensiamoci bene. Questo è esattamente il trattamento che viene inflitto tutti i santi giorni, in tutte le scuole del mondo, a tutte le nostre bambine. E tutti lo considerano una cosa normale.