metti il bambino sul w.c.

febbraio 1975

Sono apparsi contemporaneamente, qualche settimana fa, sui muri delle case delle grandi città. Avevano dimensioni maggiori dei soliti manifesti, erano multicolori, vistosi, ti perseguitavano da una via all’altra. Rivelavano un buon segno grafico, una certa cura dei colori e delle forme, lo studio dei particolari.

Peccato che mancassero del tutto di una qualità chiamata buon gusto e che rivelassero una assoluta avversione, forse addirittura una repulsione patologica, da parte dei pubblicitari che li avevano ideati, per i bambini. Stiamo parlando di tre manifesti giganti che reclamizzano tre diversi prodotti igienici, strumentalizzando dei bimbi di pochi mesi. Il primo, in cui compariva un bambino immerso nel W.C., faceva la pubblicità ad un articolo sanitario a base di acido muriatico. Era un chiaro invito, rivolto a quelle madri che, ossessionate dal pesante condizionamento infantile, sono diventate fanatiche della pulizia, a mettere il pargoletto stesso a bagno nell’acido muriatico. E non è il caso di scherzarci su: non si sa mai dove si può arrivare con la suggestione pubblicitaria.

Il secondo manifesto pubblicizzava un purgante e, per promuoverne la vendita, non si era trovato di meglio che sistemare il bimbo sul suo vasetto. Non c’è nessun altro, nel grande disegno, non una mamma o un papà o una nonna amica. Il calore umano e la famiglia non esistono per questo povero bimbo che passa ore e settimane abbandonato da tutti sul vasino, con l’unica compagnia di un purgante: una immagine più straziante di certi reportages fotografici sui bambini degli orfanotrofi.

Il terzo manifesto infine, era la reclame di un tipo di carta igienica e, vedi un po’ che idea originale, anche questi pubblicitari erano ricorsi al vasetto. Con il bambino seduto sopra. Deve essersi trattato di una ispirazione collettiva.

Mi sono domandata quale poteva essere la molla segreta, la forza misteriosa che aveva fatto scattare contemporaneamente, in tre luoghi ed in tre menti diverse, l’operazione: «bambino-va-sino-w.c.».

La prima immagine che mi è venuta alla mente è stata quella di un giovane marito e padre infuriato che, dimentico di essere un pubblicitario creativo, un intellettuale progressista ed impegnato, un uomo brillante affermato, sfoga la sua collera contro il figlio bebè che l’ha svegliato per l’ennesima volta nel cuore della notte. «Insomma — grida dal suo letto alla moglie che si è alzata — fanne quello che vuoi! Domattina devo alzarmi presto e andare a lavorare, IO. Non lo voglio più sentire. Buttalo dalla finestra, buttalo nel gabinetto!». A questo punto — idea! — scatta nella sua mente il binomio bambino/ w.c. e, sotto gli occhi stupefatti della moglie, il pubblicitario impegnato corre nel suo studio a piedi scalzi e butta giù pochi appunti, rapidi e precisi. Uno schizzo pro-memoria ed anche l’acido muriatico che non si sapeva come pubblicizzare, è stato sistemato. Ma forse non è tanto semplice e le cose non sono andate così. Il pubblicitario di oggi nasconde, sotto la baldanza dell’uomo arrivato, certi traumi infantili che ha celato nell’inconscio. Essi risalgono a quando, da piccolo, aveva saputo che la mamma stava per regalargli un fratellino. Lui non lo voleva assolutamente ma la mamma insisteva per fargli quel regalo. Allora, da bambino, aveva incominciato ad almanaccare nella sua mente sul modo di liberarsi dell’intruso senza che nessuno lo incolpasse.

E’ risaputo infatti che molti bambini, anche se non lo dimostrano, percepiscono la nascita di un fratellino o sorellina come una grave sottrazione dell’affetto dei genitori. Vorrebbero sbarazzarsi di lui, buttarlo via, fare in modo che non fosse mai nato. Il nostro pubblicitario aveva provato tutti questi sentimenti di ripulsa verso il nuovo nato e, se fosse stato possibile, l’avrebbe volentieri dissolto in un acido.

Poi, con il passare degli anni, avrà finito invece con l’accettare il fratellino e certo ora non ricorda più i suoi livori iniziali verso l’altro. Ma essi sono rimasti in lui, nascosti nel profondo della psiche ed ecco che, alla prima occasione, sono risaltati fuori senza che se ne accorgesse. Immaginato un bambino, non può far a meno di metterlo, con la fantasia, dentro il W.C, nell’acido muriatico. Abbiamo scherzato, è ovvio. Tuttavia, proprio perché molti di noi sono convinti assertori dell’importanza della pubblicità e del «messaggio» che essa può recare al cittadino, desidereremmo un maggiore impegno ed una maggiore consapevolezza da parte di chi si dedica a questa professione. Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo apprezzato le campagne pubblicitarie a favore della difesa del verde o della pulizia nelle città.

Ma accanto a questi episodi, che dimostrano l’impegno sociale della categoria dei pubblicitari e, in certo modo, il loro desiderio di aprire un dialogo con i cittadini, visti non solo come acquirenti di un dato tipo di merce, sono da registrare troppi altri episodi che indicano invece scarsa sensibilità umana e professionale.

Abbiamo parlato spesso delle molte, troppe campagne pubblicitarie in cui l’immagine femminile è usata come oggetto di consumo, per sessualizzare un prodotto. Peggio accade quando, in particolare alla televisione, si reclamizza un articolo che viene acquistato prevalentemente dalle donne (detergenti, dadi da minestra, aperitivi, e così via) e, per promuoverne la vendita, si offrono scenette sulla idiozia e sulla incapacità femminili. Anche in questi casi sarà il calo nella vendita di quel prodotto (determinato dal crescente numero di donne che lo rifiuteranno perché trovano disturbante e offensivo quel tipo di pubblicità), a convincere i pubblicitari di aver sbagliato il «messaggio» per quella campagna.

In particolare, nei tre manifesti citati sono stati lesi — ci sembra — certi diritti del cittadino, e non importa, anzi è più grave, se il cittadino in questione è un bambino, quindi un essere indifeso.

Ma c’è anche un fatto assai più grave. E’ quella sorta di sollecitazione, rivolta alle madri attraverso la suggestione pubblicitaria, a mettere il bambino sul vasino e costringerlo, fin da quando ha pochi mesi di vita, ad ubbidire agli orari (ad esempio per fare pipì e popò) che gli adulti hanno disposto per lui ma che non rispondono affatto a necessità del suo fisico, anzi, sono contrari alle reali esigenze fisiologiche dei bambini.

Mettere un bimbo piccolo sul vasino e obbligarlo a starci fino a quando non ci ha fatto dentro la pipì o la popò, è una grave prevaricazione da parte degli adulti ed uno dei primi modi attraverso i quali, con la scusa di educarli, vengono repressi gli esseri umani. I bambini non dovrebbero mai essere costretti a trascorrere, come invece spesso avviene, lunghe ore seduti sul loro vasino, in attesa, come si dice, di fare i propri bisogni. (Già nell’enunciazione di questa frase vi è un controsenso ed una mancanza di logica: se davvero il bimbo ne sentisse il «bisogno» si sbrigherebbe immediatamente. In realtà, questi «bisogni» non sono del bambino ma di chi si prende cura di lui e corrispondono al bisogno di non avere troppi pannolini da lavare). Negli Stati Uniti, dove si cerca di non reprimere i bambini, e al tempo stesso di aiutare le madri nei lavori domestici, strumenti di tortura quali il famoso «vasetto» non si trovano neppure in vendita, e vi sono invece speciali mutandine che si lavano facilmente e permettono ai bimbi di badare da soli ai propri bisogni, quando li sentono davvero tali.

Da noi, invece, non solo si continua a trattenere il bambino, controvoglia, sul suo vasetto (creando fra l’altro una pericolosa relazione — con varie implicazioni sessuali a volte irrisolvibili — fra il bimbo e la madre che lo intrattiene durante l’operazione vasino) ma addirittura ci si compiace tanto di questa immagine da pubblicizzarla con gran di manifesti murali. E la si usa — tale immagine — per propagandare e vendere altri prodotti.

Ora, nessuno pretende, naturalmente, che i pubblicitari si assumano l’onere di insegnare alle madri come si allevano i figli ma, conoscendo la capacità di persuasione di certe immagini insistite, ripetute, che perseguitano l’utente inducendolo infine ad un dato acquisto o ad un dato comportamento, sarebbe almeno auspicabile che i signori in questione lanciassero le loro campagne ed i messaggi con maggiore prudenza. Dopotutto, anche i pubblicitari studiano psicologia, e qualsiasi psicologo potrebbe spiegare che, far trascorrere tanto tempo ai bambini sui loro vasini, non è meno pericoloso, per la psiche umana, che essere immersi nell’acido muriatico.