quando la fifa ci mette lo zampino

febbraio 1974

A chi parla ancora di identità di problemi fra donne e uomini, negando quindi una specifica problematica femminista, noi ricordiamo la nostra diversità biologica. Il nostro è un corpo anatomicamente differente da quello dei maschi, ed essi dovrebbero ricordarselo bene, visto che tale differenza, sotto il nome di «inferiorità naturale», l’hanno lungamente sbandierata per adoperarci come fattrici, domestiche e oggetti da letto, per lo più gratuiti. Adesso, questa differenza vogliamo adoperarla noi, indagare sulle origini del rapporto donna-unomo per migliorarne i risultati visto che (finora a farlo erano i maschi) essi sono stati finora disastrosi. La specie umana non è più animale: è diventata una realtà storica. La società infatti non subisce passivamente la natura, ma la trasforma secondo il proprio utile da millenni. In questo modo, nel bene e nel male, siamo usciti dalle caverne, abbiamo incanalato le acque, abbiamo costruito dighe, automobili e bombe atomiche. Così, come l’uomo è riuscito a dominare la natura, ciò può essere fatto anche dalla donna. Però, diversamente dall’uomo, la natura può invadere la donna e con ciò trasformarla anche contro la sua volontà’. Questo significa che la natura fa molto parte di noi donne. Per questo, amministrando noi il nostro corpo e decidendo noi della nostra maternità, possiamo fare il primo passo per uscire anche noi dalla nostra caverna, sperimentando in maniera attiva questo nostro corpo, che per lungo tempo abbiamo vissuto passivamente.

Fin dall’antichità le donne hanno cercato e praticato metodi per non rimanere gravide quando non lo desideravano (anche per la grande pericolosità costituita dal parto): non sono stati certo i vari Ogino o Pincus a compiere ricerche su questo argomento. Ma erano metodi molto rudimentali, che quindi spesso fallivano: le ricette erano numerose e andavano dalla garza imbevuta di miele ai pessari di grasso d’oca, alla polpa di fico secco con carbonato di sodio; in Cina fin dal XII secolo a. C. si consigliava di usare tamponi medicati di carta, sottile, le contadine tedesche di epoche abbastanza recenti si costruivano un cappuccio cervicale di cera. Ma il sistema principale per limitare le nascite indesiderate, vecchio quanto la Bibbia o il Talmud e ancor oggi il più praticato è quello del coito interrotto. Un metodo che però non è la donna a gestire: lo subisce soltanto, se l’uomo vuole, dato che l’attimo della sua eiaculazione essa non può conoscerlo. Il pene diventa così un’arma di cui l’uomo dispone per condizionarci sessualmente: gli serva per farsene vanto di superiorità o ciò avvenga inconsciamente, il risultato è praticamente lo stesso.

Anche la Chiesa (la gerarchia più maschile che esista per sua propria definizione) per quanto ostile a concepire il sesso come argomento non da rogo e basta, difende tuttavia il potere fallocratico con la sua tenace diffamazione della «pillola», di cui esagera programmaticamente i rischi e i pericoli. I milioni di aborti praticati in Italia annualmente, la Chiesa fa finta di non conoscerli. Nelle sue punte più avanzate, accetta l’ipocrisia delle astinenze furbastre del metodo Ogino-Knaus peraltro fallacissimo.

La pillola è stata scoperta per curare le donne a scarsa fertilità, rivelandosi poi il più sicuro modo di scongiurarla. Delle sue controindicazioni abbiamo già parlato. Il tema è quindi ora il diritto di noi donne ad avere una vita sessuale libera dalla «grande paura», che cioè oltre a sottrarci ai rischi tecnici di restare incinte facendo l’amore, ci dia la sicurezza e la libertà nell’uso dei contraccettivi che tante di noi ancora non hanno per motivi psicologici. Certo, gli anticoncezionali oggi esistenti non sono il meglio, ma il meno peggio che la scienza ha escogitato per le donne. Non è ad esempio ancora in commercio un contraccettivo che divida i rischi tra i due patners. La scienza dice che il contraccettivo maschile è più difficile da inventare. D’altra parte la ricerca scientifica anche in questo settore è gestita esclusivamente da maschi per cui noi abbiamo diritto a dubitare di queste affermazioni. E anche se il contraccettivo maschile venisse a esistere di punto in bianco, ci si potrebbe fidare di un maschio che dice «vai tranquilla, la pillola l’ho presa io»? In attesa che i maschi meritino la nostra fiducia, mettiamo quindi la contraccezione maschile tra i nostri sacrosanti diritti di un prossimo futuro e impariamo a utilizzare bene quelli che già abbiamo. Per usare bene gli anticoncezionali non è infatti sufficiente conoscerli, ma è necessario anche conoscere i processi psicologici che agiscono dentro di noi per spingerci a non usarli, o usarli male. Per questo ora parliamo dei processi inconsci (che si svolgono, in quella parte di noi che non ci sembra veramente nostra) e che tante volte ci buttano all’aria tutti i progetti fatti lucidamente e razionalmente. Ricordiamoci ‘ ad esempio dell’«istinto» alla maternità, messoci addosso insieme al fiocco rosa e alla bambola fin dall’età da asilo nido; ed ecco donne che pur sapendo tutto sulla contraccezione, preferiscono l’ansia mensile o il rischio ripetuto e a vivo, perché «temono» l’uso degli anticoncezionali. Eccone altre, emancipate nell’aspetto e che usano la pillola, ma che tuttavia se la dimenticano improvvisamente magari proprio quei giorni che hanno rivisto «lui». Questo è capitato anche ad alcune femministe militanti. Chiaramente in queste donne operava un senso di colpa al livello inconscio. All’origine di questo senso di colpa ci sono sanzioni religiose oltre a quelle giuridiche che fino a tre anni fa in Italia punivano con gli stessi articoli del codice, sia propaganda contro le nascite che l’aborto. L’educazione patriarcal-cattolica che abbiamo tutte ricevuta, associava strettamente il fine procreativo al rapporto sessuale; mancando il rischio di una gravidanza, ecco inibirsi in alcune di noi il diritto al piacere sessuale. Ciò sarebbe sufficiente a spiegare perché alcune donne rimangono improvvisamente frigide quando usano contraccettivi.

Anche l’aborto, cui la donna è costretta per non aver voluto usare precauzioni, è spesso inteso inconsciamente come una punizione, un modo di espiare il peccato compiuto con il piacere del sesso. Il motivo principale di un comportamento irrazionale di fronte al problema in questione, è il profondo desiderio di gravidanza. Poiché la donna è considerata dalla società soprattutto in quanto riproduttrice di figli e la maternità il solo modo di realizzarsi nella femminilità, la deviazione da questo modello impostoci può farci castrate, ancor più castrate di quando siamo nate femmine. Ed eccoti così quella che sapeva tutto sulla pillola restare incinta per una «dimenticanza» che invece altro non era che una maniera inconscia di provare a se stessa la propria potenziale fertilità.

Importante è poi l’atteggiamento di molti uomini che sentono diminuire la propria virilità di fronte alla donna che usa gli anticoncezionali. Alcuni di questi (tutti con alto livello di istruzione) mi hanno confermato di «temere» donna che usa la pillola e di sentirsene poco attratti. Altri si spoetizzano a vederla infilare il diaframma o lo spermicida o se sanno che lo hai fatto. Questo atteggiamento poetico se denuncia da una parte il timore maschile di perdere potere sul corpo della donna, può avere conseguenze nell’inconscio di lei, timorosa a sua volta di perdere l’amore e l’approvazione maschile. Ma è soprattutto quell’atteggiamento passivo di fronte al controllo della propria fertilità che è all’origine di una grande resistenza ad assumere nei confronti della contraccezione, una decisione più attiva, volontaria e responsabile. La tentazione ad una soluzione passiva è quella che porta alcune donne a passare dalle gravidanze ripetute agli aborti ripetuti, aborti intesi come soluzioni passive a posteriori.