donne e pazzia

testimonianze di donne proletarie negli ospedali psichiatrici

schede

febbraio 1975

1 «Il primo ricovero certo è il più brutto, tutto fa spavento, ricordo che avevo paura delle altre malate e sono rimasta tre notti sveglia pensando” queste ora mi strangolano”; l’odore del mangiare mi faceva vomitare, a queste lenzuola tutte macchiate, ruvide, mezze bagnate, e il letto che sa di piscia non mi sapevo rassegnare; poi pian piano ci si abitua: è allora che comincia a pesarti la mancanza di libertà. Io qui ormai son di casa, sono al mio settimo ricovero, il manicomio ormai è il mio destino».
(Rina, anni 38, coniugata, sindrome dissociativa).

2 «Il manicomio è come la prigione, va tutto bene finché sei incensurata, ma se ci finisci dentro la prima volta poi per ogni fesseria ti ci riportano. Dal 1947 ad oggi ho fatto venticinque ricoveri. Dal 1970 sono articolo 4 e potrei uscire anche subito, ma ormai mi sono stufata: non si può fare dentro e fuori, dentro e fuori tutta la vita; alla mia età non ho più la forza di lottare; ho deciso di morire qui dentro, tanto fuori è anche peggio. La prima volta fu nel ’47 su denuncia della portiera con la quale avevo litigato, ho sempre avuto un brutto carattere, ma ci sono quelli che ce lo hanno peggio del mio e non per questo finiscono al manicomio. Quella volta, i medici dissero che c’era stato un errore, che non ero pericolosa e dopo 15 giorni mi rimandarono a casa. Ma da allora ogni volta che litigavo con qualcuno, venivo ricoverata; ma se lei va a guardare la mia cartella vedrà che quando entravo qua dentro ero sempre piena di lividi. Mi ammazzavano di legnate e invece di finire loro in galera facevano rinchiudere me al manicomio. Le ho passate tutte, pure gli elettroshock mi hanno fatto, pure al manicomio criminale mi hanno portata perché avevo mozzicato una fetente di guardia; ho tentato di ammazzarmi e sempre qui mi hanno riportata; il mondo è grande ma fuori di qui per me non c’è posto, e allora se devo per forza stare al manicomio tanto vale che ci resto di volontà mia.
[Anna, anni 62 – Stato di eccitamento in epilettica (1947) Nessun elemento di pericolosità – La paziente rifiuta di essere dimessa (1970)].

3 «Non lo so neanch’io se volevo morire o solo dormire. La mia famiglia preferisce tenermi chiusa qui dentro che vedermi sposata ad un” selvaggio”. Il mio ragazzo è uno studente marocchino, ma a casa non ne hanno mai voluto sapere. Da quando è cominciata la nostra storia la mia vita è diventata un inferno — mi picchiavano, mi insultavano, mi sequestravano i vestiti, mi nascondevano le scarpe, e quella sera per non farmi uscire mio padre mi ha chiusa a chiave in camera, e allora, prima ho pianto e gridato, poi ho sentito che non ne potevo più e ho preso sedici compresse di sonnifero, mi hanno portata in Ospedale per la lavanda gastrica; da lì, il giorno dopo, mi hanno spedita qui.

Quando ho capito che mi stavano portando dentro al Manicomio ho fatto come” una pazza”, ma è stato peggio perché così tutti qui si sono convinti

che lo ero veramente. Appena arrivata mi hanno presa, spogliata e costretta a fare un bagno, poi siccome continuavo a protestare, mi hanno legata al letto. Ho passato la notte a piangere; è venuta un’infermiera ma le ho risposto male perché l’avevo sentita mentre diceva ad una sua collega che ero una schizofrenica perché avevo tentato di ammazzarmi. Poi un’altra è venuta a farmi un’iniezione e il giorno dopo quando mi sono svegliata mi avevano tolte le fasce; con le braccia libere mi sentivo meno infelice, ma quando ho rifiutato il latte dicendo che volevo parlare prima col medico mi hanno detto che se mi agitavo di nuovo mi rilegavano al letto e allora ho ricominciato a piangere. E’ andata avanti così per tre giorni, poi finalmente ho potuto parlare con un medico. Nel frattempo un’altra ricoverata mi aveva avvertita che se continuavo a piangere pensavano che ero pazza, non dovevo più piangere e negare il suicidio se volevo uscire presto. Ho fatto così, ma il medico non si è convinto; mi ha accusata di superficialità e di voler minimizzare il suicidio. Ora sono dentro da 28 giorni. Il mio ragazzo fino a due giorni fa non ero riuscita ad avvertirlo che mi avevano chiusa qui dentro. Ieri è venuto, e non lo hanno lasciato entrare perché non è un parente, io credo che ci sia lo zampino di mio padre. Voglio uscire da qui, sono tutticontro di me, nessuno mi vuole aiutare e credono a tutto quello che va raccontando mio padre».
(Maria, anni 23 -ricovero con ordinanza e diagnosi di” tentato suicidio” – Stato di agitazione. Sindrome schizofrenica).

4 «Non mi sono voluta sposare perché gli uomini mi fanno schifo. Mi piacciono le donne, anche se non ho mai fatto nulla di male la mia famiglia si vergogna di me e tanto ha fatto finché è riuscita a farmi passare per pazza».
(Antonia, anni 41 – Schizofrenica)