fare un film senza compromessi

Abbiamo incontrato negli uffici della Filmalpha, la casa che distribuisce in Italia l”Amour Viole”, la regista Yannick Bellon, e una delle attrici, Michèle Simmonet. Yannick non è una nuova venuta nel mondo del cinema francese; ha al suo attivo dodici cortometraggi per il cinema e la televisione e tre lungometraggi per il cinema. Michèle viene dal teatro e dalla televisione. E’ l’interprete del film “George qui?”, rilettura femminista di George Sand. Sono molto stanche, quando le incontriamo, ma gentilissime.

marzo 1979

Yannick, proporre un film sullo stupro, che è generalmente considerato solo un fatto privato delle donne sul quale è meglio tacere, ha rappresentato una difficoltà in più rispetto a quelle che forse hai dovuto affrontare per fare questo film?

Y. – Non vorrei dire che sia stato proprio a causa del soggetto, non lo so, nessuno mi ha detto chiaramente: “non vogliamo fare un film sullo stupro”, ma la televisione non ha voluto finanziarmi; mi è stato rifiutato l’anticipo sugli incassi per tre volte da parte dell’Ente cinematografico. Ho presentato una sceneggiatura, poi una seconda modificata ed una terza in questa struttura statale dove una commissione di sei uomini e due donne l’hanno bocciata con un’opposizione “astiosa”, come mi è stato detto.

Come è stato prodotto il film?

Y. – All’inizio mi sono fatta aiutare da tre amici che mi hanno dato un po’ di soldi con cui ho potuto iniziare il film. Ho cominciato in marzo, sono stata costretta a farlo altrimenti avrei dovuto aspettare un anno; il film infatti è girato durante due stagioni. Intanto aspettavo ancora la risposta definitiva dalla televisione e dall’Ente Cinematografico ma non ho saputo più niente. Anche le persone che mi avevano dato i soldi per cominciare a girare erano sparite. Ho continuato con gli attori e alcuni dei tecnici che potevano permettersi di essere pagati in seguito. Ho dovuto fare dei debiti per pagare il resto della troupe che non poteva aspettare. Dovevamo a tutti i costi continuare. Quando non si hanno soldi tutto si complica, ogni giorno, ogni ora che passa è importante. E’ stata un’avventura! Dopo aver girato le scene dello stupro sono tornata a Parigi e con un’amica montatrice abbiamo montato un’ora di film. L’ho proiettato e l’hanno visto anche le persone che mi avevano aiutato all’inizio ed uno di loro, un esercente che possiede molte sale a Parigi, ha promesso di interessarsi di nuovo al film e di trovare un distributore.

Hai potuto quindi finire il film; il momento più brutto era passato.

Y. – Sì, ma rimanevano tutti i debiti da saldare. Il momento veramente più difficile è stato quando non sapendo più come andare avanti mi sono rivolta a Claude Lelouch: gli ho chiesto diecimila metri di pellicola,. E’ stato molto gentile, ha capito che se chiedevo diecimila metri di pellicola ne avevo veramente bisogno, non era un capriccio e mi ha aiutata. Questo ha alzato il morale di tutti.

Tutti questi ostacoli sono stati determinati in parte dal fatto che eri una donna?

Y. – Non sono soltanto le donne a incontrare ostacoli, per gli uomini è la stessa cosa. Per noi donne il discorso è diverso nel senso che noi gli ostacoli li abbiamo “dentro” noi stesse.

M. – E’ vero, l’ostacolo esiste già prima che una donna prenda la decisione di fare un film.

Y. – Le donne sono state talmente portate a credere di non essere capaci di affrontare certe responsabilità, sono state sempre trattate come delle minorate che deve esserci sempre vicino a loro un “papà”, un marito, un uomo per proteggerle.

Recentemente abbiamo visto film girati da donne con profonde carenze professionali, prodotti realizzati con un budget elevato, ottimi attori, una buona troupe. Noi siamo rimaste molto deluse per l’occasione sprecata…

Y. – Sono molto ottimista; credo profondamente che un numero sempre maggiore di donne riuscirà a fare delle cose buone. Le donne devono avere la possibilità di esprimersi. Si può fare bene anche la prima volta con poca esperienza, è un caso, certo, ma se si hanno veramente delle cose da comunicare ci si riesce. Ripeto che per una donna giocano un ruolo determinante quegli “ostacoli” di cui parlavo prima. Il senso di colpa per esempio è sempre presente. La mia montatrice si sentiva colpevole nei confronti dei figli, del marito per il tempo che sottraeva loro; noi donne siamo sempre colpevoli di qualche cosa.

Parliamo delle attrici, quali sono stati i rapporti tra voi?

M. – Abbiamo parlato molto ma prima di iniziare la lavorazione. Yannick ha parlato molto con gli attori modificando alcune parti.

Y. – Quando si gira non si discute più. Ma prima ho parlato molto soprattutto con Michele. Siamo molto amiche, per noi era molto piacevole discutere insieme di tutto.

E con le altre attrici?

Y. – Con Marianne Epin avevo già lavorato nel film “Tamais pour toujours”; da allora siamo rimaste amiche e scrivendo il personaggio della moglie del garagista, ho pensato che era fatto per lei, con quell’aria di bambina diventata precocemente donna. Con Tatiana Amouckine, nel film la madre di Nicole, avevamo lavorato insieme ne “La femme de Jean”. E’ una persona interiormente molto ricca che dà qualcosa in più sulla scena. E’ straordinaria. Nel film è una madre tradizionale con tutti i suoi schemi, gli atteggiamenti, i conformismi.

La scena delle bambine è straordinaria, è vero che è stata inserita nel film solo casualmente?

Y. – In un film quello che c’è di straordinario è di poter aggiungere continuamente qualcosa, Tutto è aperto. Stavamo girando un esterno quando sul marciapiede }io visto tutte loro piene di bambole. L’ho trovato talmente eloquente poiché rappresentavano esattamente quello che volevo dire anche nel film a proposito dei ruoli imposti, in questo caso il mestiere di madre, che ho voluto inserirle.

Nel fare un film quanto bisogna concedere, secondo te, al circuito commerciale?

Y. – Non penso mai quando faccio un film se potrà piacere da un punto di vista commerciale. Penso a quello che voglio dire. Hp scelto di trattare un soggetto come lo stupro in modo chiaro, avevo voglia di esprimere attraverso lo stupro molte altre cose ed in modo chiaro. Dico questo perché tutto è dipeso da me, volevo esprimere le ragioni profonde dello stupro. Non mi sono mai detta: bisogna piacere al produttore, al distributore, al pubblico. Se il mio lavoro piace a tutti tanto meglio.

Per concessioni non alludevamo a nudi o particolari piccanti, quanto piuttosto al finale del film con lui che ritorna, che ha capito i problemi della sua donna. Questo è forse il solo momento in cui si può pensare ad una concessione fatta al pubblico questa volta, per non disturbarlo.

Y. – Non è una, concessione fatta al pubblico, è quello che io penso. Ho fatto ritornare quest’uomo perché penso che gli uomini e le donne devono fare la loro strada insieme, questo finale non ha il senso: «vissero felici e contenti ecc.». Si tratta di un uomo generoso che dice: «eccomi vicino a te in questo momento, perché non sono un imbecille totale». Ho dato una chance agli uomini. Altrimenti avrebbe voluto dire che non ci può essere nessuna speranza nell’aiuto che gli uomini possono dare alle donne nel caso in cui queste siano aggredite dagli uomini. Nella vita reale questo succede già. Ho parlato con molti avvocati, con Gisàle Halimi e mi è stato confermato che sono molti gli uomini disponibili nei confronti della loro donna in situazioni identiche a quella del film.

Per la prima volta in un film si dice che tutti gli uomini sono degli stupratori potenziali oltre che reali, questo ci trova profondamente d’accordo, ma non è stato recepito come troppo polemico?

Y. Quando ho cominciato a scrivere il soggetto dovevo stabilire l’ambiente sociale dal quale provenivano gli stupratori. Dopo aver letto molto; dopo discussioni, la mia convinzione profonda è stata che si violenta dappertutto, in qualsiasi ambiente. E’ la “sfida” del film questa: tutti gli uomini sono violentatori potenziali oltre che reali, e possono essere indifferentemente un impiegato, un operaio, un intellettuale, un professionista, chiunque. Nel sostenere questa tesi mi sono scontrata con l’opinione degli altri, per esempio parlando con un’assistente sociale, con altri dello stesso ambiente, tutti mi dicevano che l’ambiente da cui provengono gli stupratori non può che essere un ambiente povero. Anche negli ambienti poveri si stupra ma è pur vero che questo succede in ambienti più elevati nella stessa misura.

Nel film c’è molto ottimismo per quel che riguarda il ruolo dell’isitiuzione giudiziaria in casi come lo stupro…

Y. – Non ricorrere alle istituzioni significa non fare niente del tutto, ancora una volta lasciare che le donne vengano stuprate, aggredite senza nessuna conseguenza per l’aggressore. Quando si tratta di un omicidio è normale mandare il colpevole in prigione, per lo stupro si preferisce tacere invece. Le donne non devono più essere indulgenti per quel che riguarda il loro corpo, la loro salute, la loro vita psichica, come in questo caso. Col pretesto di essere contro le istituzioni ancora una volta questo sì ritorce contro la donna. Cosa ne pensate?

Bisogna aggiungere però che lo Stato, le Istituzioni in genere proteggono l’uomo a tutti i livelli, nel caso di violenze carnali basta leggere i verbali degli interrogatori fatti alle donne che ne sono state vittime. La donna “provoca”, “ci sta”, ecc. Non è un atto d’accusa contro le istituzioni soltanto, lo stupro è un problema difficile e scomodo per la società tutta. Parliamo anche delle violenze all’interno della famiglia, della violenza coniugale, queste non vengono condannate ma neanche riconosciute sono considerate quasi regolari, normali…

Y. – La violenza coniugale è un problema che dappertutto è lontano dall’avere una qualsiasi soluzione. Mi è capitato di vedere un uomo che picchiava una donna per strada. Ho chiamato gli agenti e quando sono arrivati non si sono affatto preoccupati, hanno detto: «Ma è sua moglie! Tutto a posto». Nel quartiere li conoscevano bene.