favole

la donna dal capochino

marzo 1979

la storia che vi racconto l’ho sentita a pezzi e bocconi dai gatti della piazzetta delle erbe e dalla donnetta vecchissima che vende pettini ed elastici. E’ una storia iniziata sulla terra e finita sulla luna. Sulla luna perché sulla terra per “loro” non c’era spazio. Cioè sulla terra lo spazio era quello della realtà piatta e noiosa di ogni giorno; la loro storia invece voleva lo spazio dilatato dei sogni notturni fluttuanti nei nostri occhi chiusi.

Loro erano una donna…e un gatto. Ma andiamo per ordine.

C’era una volta una donna. Era la più bella che si conoscesse. Abituata fin da bambina a dire di si, aveva preso l’abitudine di tenere il capo basso e gli occhi bassi e di nascondere i sogni che aveva in capo. Guai se se ne fossero accorti i genitori. Una volta che gliene avevano scoperto uno, di sogno, mentre giocava da sola coi suoi piedi, l’avevano punita mandandola a letto senza cena. Il giorno dopo poi avevano fatto venire in casa un’anziana suora che le aveva parlato di tutte le pene dell’inferno al quale venivano condannate tutte le persone, soprattutto donne, che avessero fatto sogni come quelli che teneva in testa lei. A forza di dire e di fare SI’ aveva come dimenticato il nome, e non aveva una storia. Era come se qualcuno venisse al suo posto. Una notte era caduta la neve e nel bagliore del dormiveglia sul far del mattino sognò un volto di donna. Orribile.

Occhi di sangue bocca che urlava capelli di serpenti. La testa verdastra e nera gridava «Non sono morta, un giorno o l’altro ti scoppierò addosso!». Era adolescente allora.

Si svegliò piangente e la madre volle sapere a tutti i costi il perché di quel pianto. Saputo il sogno, la picchiò dicendo che doveva smetterla di tenersi dentro i sogni: «I sogni che tieni in cuore mandali sulla luna, perché una donna non può vivere di sogni!» gridava la madre che il giorno dopo la trascinò da uno stregone. Costui con quattro mossacce e un po’ di versi strani assicurò di aver mandato via tutti i sogni dal capo della fanciulla e di averli scaraventati sulla luna, dove nessuno poteva esserne danneggiato, perché è disabitata: salvo i gatti che dalla luna sono influenzati perché la guardano di notte dai tetti saltando su tegole e coppi con l’agilità e il silenzio delle cose che non si dicono.

«Quello che ci vuole» lo stregone spiegò «è un buon marito! Un brav’uomo senza sogni e molto pratico. Così le fantasie le passeranno».

Abituata a dire di sì, disse di sì anche al marito che le trovarono. Un buon giovane amico dei suoi fratelli, una persona Seria.

La ragazza dal capo chino anche da sposata mantenne l’abitudine di uscire da casa sul tardi a parlare coi gatti e coi cani randagi. Loro l’aspettavano girovagando nel piazzale tra le case e lei portava loro avanzi di cibo. Tutte quelle code colorate che s’intrecciavano sembravano bandierine di un gioco inventato nuovo nuovo. Il marito della ragazza dal capo chino stava tranquillo: la ragazza mandava avanti la casa molto bene e cucinava con impegno; mai però che gli uscisse detto “Brava!”. Anzi pensava che le donne non devono essere lodate, perché se no chissà che capricci nelle loro menti strane.

Se qualcosa non andava nella casa, il marito si affrettava a rimproverarla, sicuro di fare il suo dovere e di essere capo di un’ottima famiglia.

Al marito non andava proprio che lei di sera, sui gradini di casa facesse festa con gatti e cani randagi.

«Che mania è questa di startene con quei rognosi che son pieni di scabbia e pulci? Codesta è una perdita di tempo bella e buona! e poi che dirà la gente di noi? Che siamo sudici e pazzi!».

Questo spesso, quasi ogni sera, diceva il marito alla donna dal capo chino.

Un giorno venne la notizia che il marito era morto nel bosco: un tronco d’albero gli era caduto addosso.

La donna dal capo chino pianse qualche lacrima. Che avrebbe fatto ora da sola? Il padre e i fratelli tennero un consiglio e conclusero:

«In attesa di trovare un brav’uomo che ti sposi, verrai da noi che ti vogliamo bene e da tua madre che potrai aiutare nelle faccende».

La donna, come suo solito, obbedì, ma provò rabbia e quasi piangeva al pensiero che i cani e i gatti randagi del cortile non li avrebbe più visti.

Ma, non ci crederete, gatti e cani s’informarono e ben presto la ritrovarono e di nuovo provarono la dolcezza delle sue carezze. Di lì a poco però la donna dal capo chino fu scelta in sposa da un uomo importante a cui era piaciuto da morire il suo capo chino. Così cambiò casa e città.

 

Detro il capo chino non e’ erano più solo sì. Avvenne un giorno che la donna rifiutò un bacio del marito e fu lo stesso giorno in cui dimenticò di fare il pranzo perché era tutta intenta a pulire le orecchie sporche di un micino randagio di pochi mesi. Il marito importante urlò «Vergogna! Mi avevano detto di te che eri una donna seria e giudiziosa e invece guarda che combini! Come farai quando ci nasceranno dei figli? Staranno senza pranzo? Eppoi scherziamo! Osi rifiutare le mie carezze! Ma io sono tuo marito, tu hai l’obbligo di volermi bene!». La donna a queste parole chinò di più il capo. Le si vedevano solo i capelli bruni. Il marito ne fu soddisfatto. ,

In realtà in quel capo chino la donna pensava che lei bene lo voleva, ma ai cani e ai gatti randagi che anche nella nuova città aveva cercato.

«E non perdere tempo con quelle bestiacce!» le raccomandava il marito. «Quando avremo dei figli non potrai stare più con quegli animali infetti». Avvene che il marito importante dovette recarsi per qualche tempo in una fredda città di un paese lontano. La donna dal capo chino ne approfittò per fare entrare cani e gatti in casa sua.

Certo aveva una gran paura! Che avrebbe detto, che avrebbe fatto il marito al suo ritorno, trovando quei cambiamenti?

Però era troppo grande la voglia di compagnia e di calore. Ognuno di quegli animali aveva per lei attenzioni e affetto diversi.

Era bello e caldo vivere con loro.

E c’era un gatto poi, stranissimo, nero cogli occhi di cristallo che non lasciava mai di guardarla.

Dicevano che veniva da un altro paese e che aveva una strana storia.

La donna dal capo chino aveva preso l’abitudine di tenere il gatto nero in grembo e di carezzarlo con amore. Il pelo del gatto così aveva acquistato una lucentezza ‘strana, simile ai riflessi della luna sull’acqua. Lei gli parlava, gli cantava canzoni. Il gatto socchiudeva gli occhi: O gatto strano (diceva la canzone) che vieni che vai che non ti fermi mai perché non provi a portarmi con te?

Avresti sempre le mie carezze le mie canzoni le mie dolcezze. Il gatto amava quelle mani.

Avrebbe voluto essere simile a quella donna per poterla amare.

Era una storia strana la loro. Una donna Che amava un gatto. Un gatto che amava una donna.

Una notte mentre la donna dormiva col gatto nero in grembo venne dalla luna una vecchia dai capelli bianchi e ricciuti e dalla bocca nera. Era a cavallo di un’anitra selvatica azzurra e li svegliò: Correte correte sulla luna i sogni lassù si sono svegliati i gatti hanno parlato alla luna della vostra storia e tutto lassù è in subbuglio. Anche le fantasie scacciate della donna dal capo chino.

Il gatto nero dagli occhi di cristallo che correva sui tetti ogni notte scappò fuori a vedere che succedeva. La donna dal capo chino restò con la donna ricciuta e con l’anitra azzurra.

Dalla finestra entrava l’immagine della luna: era rossa e piena di ombre.

«Vedi, spiegò la vecchia, come è tutto in agitazione lassù? I sogni, anche i tuoi, si sono tutti svegliati; solo sulla luna può vivere la storia di una donna che ama un gatto. Non indugiare. Vieni via!». Sulla soglia di casa la donna aspettò il gatto nero. Insieme salirono sui tetti.

Era bello pensare che tra un po’ sulla luna avrebbe riavuto i suoi sogni. Prese il suo gatto sulla spalla e tenendogli una zampa aspettò un raggio di luna. Non fu facile trovarlo perché sui tetti gatti e cani e qualche bambino aspettavano anche loro di andare sulla luna. Alla fine ci riuscirono a aggrappati a quel raggio si tirarono su.

Tutti cantavano salendo.

Anche la donna dal capo chino e il gatto dagli occhi di cristallo. Ma nessuno in terra quella notte si svegliò.