adolescenza: ribellione alla madre

“Mi era sembrato infatti che a un certo punto ognuna di noi avesse effettuato una specie di rimozione (singola prima e collettiva poi) di quella che era la realtà del nostro vissuto di figlie e di madri e delle implicazioni che questo essere figlie o madri o tutte e due avevano nel rapporto tra noi e le altre donne”.

maggio 1979

se andiamo a vedere le riflessioni che noi donne abbiamo fatto soprattutto negli ultimi tempi, sia nei momenti di discussione collettiva che in ambiti più ristretti o anche solo quando guardiamo dentro di noi e ci interroghiamo su chi siamo e sul perché delle nostre azioni e dei nostri rapporti con gli altri, ci accorgiamo che il tema del rapporto madre-figlia occupa un posto sempre più grosso e compare sempre più frequentemente. Personalmente, ho iniziato a pensarci in modo particolare circa due anni fa, e ho cercato di andare al di là di quello che fino a quel momento avevo elaborato dentro di me o insieme ad altre donne sul rapporto con la madre. Mi era sembrato infatti che a un certo punto ognuna di noi avesse effettuato una specie di rimozione (singola prima e collettiva poi) di quella che era la realtà del nostro vissuto di figlie e di madri e delle implicazioni che questo essere figlie o madri o tutte e due avevano nel rapporto tra noi e le altre donne.

Mi sembrava che il voler giustamente porre in evidenza le frustrazioni, le violenze, i conflitti che le nostre madri avevano subito nella loro vita ci avesse portate a mettere un velo su “come” queste violenze, frustrazioni e conflitti avevano influito a loro volta sulla nostra vita e su “come” il rapporto tra noi e le nostre madri ne era stato condizionato e determinato. Per diverso tempo abbiamo preferito dichiarare la nostra solidarietà di donne alle nostre madri piuttosto che scavare nel rapporto che avevamo avuto e avevamo con loro.

Quello che ci frenava in questo lavoro di scavo era, io credo, non solo il bisogno politico di denunciare la violenza maschile e quindi anche le vittime di questa violenza identificate per prime nelle nostre madri, ma anche, più a fondo, la sottile paura di andare a finire in un mondo inquietante e oscuro, in un mondo in cui prevalevano i fantasmi dell’inconscio, le angosce ad essi legate, le insicurezze, le dipendenze, i terrori dell’infanzia e dell’emotività più profonda insieme ai bisogni più assoluti.

In altre parole, avevamo paura di iniziare un viaggio dentro di noi alla scoperta di verità da sempre censurate e nascoste, verità che una volta esplicitate avrebbero modificato il nostro rapporto con noi stesse e col mondo. Per trovare una risposta a questi interrogativi e iniziare il viaggio alla scoperta di me ho provato a mettere assieme spunti, riflessioni, letture e ne è venuto fuori un libro Madre, Amore Donna, dove la tesi che ha preso sempre più consistenza è stata quella della distruttività tra madre e figlia e tra donna e donna, della dipendenza della figlia dalla madre e così via. Certo, il quadro non era dei più esaltanti, e mi ha creato non pochi problemi ammettere queste cose, porre in evidenza la distruttività potenziale di molti tipi di “amore materno” e constatare i legami fortissimi di desiderio-rifiuto che sembrano legare reciprocamente madre e figlia. Vedere tutto questo e trovarsi automaticamente a porsi la domanda «Ma allora, come fare a uscirne? Come fare a creare dei rapporti tra donne che siano di comunicazione e non di annientamento?», è stato un tutt’uno. Il problema più grosso che ho dovuto affrontare è stato, oltre al dover mettere in discussione la figura di mia madre, la paura che le altre donne mi accusassero di fornire un’immagine di “madre cattiva”, come tipicamente è sempre stata fornita dagli uomini nel tentativo di esorcizzare la femminilità e la donna. Questa accusa potenziale (che in certi casi mi è stata poi realmente fatta) mi creava dei sensi di colpa fortissimi accompagnati dalla sensazione di aver fatto qualcosa «che non andava fatto». Mi sembrava confusamente di aver indviduato delle cose vere, importanti, ma che queste cose vere erano ancora una piccola parte di quel che si poteva scoprire parlando di madri e di figlie. Ho continuato insomma a portarmi dentro un senso di incompiutezza, la sensazione di un discorso appena iniziato che era in realtà molto più lungo e profondo di quanto potesse sembrare.

L’unica cosa certa era che il bisogno di capire sempre di più e di’ andare avanti era un bisogno comune sia a me che alle altre donne con cui mi incontravo.

C’era il bisogno di capire quando come e perché assumevamo l’una rispetto all’altra i ruoli di madri e di figlie, come giocavano questi ruoli nei nostri rapporti, fino a che punto li cercavamo e fino a che punto li rifiutavamo. Gli interrogativi continuavano ad essere comunque molti, e per cercare di vederli più chiaramente ho continuato la ricerca su questo tema intervistando una trentina di donne. Per ognuna di loro ho tentato di ricostruire il rapporto con la madre, con se stessa, con la figlia (nel caso in cui erano madri di figlie femmine), a partire dall’infanzia sino al momento attuale.

Dico subito che il lavoro di elaborazione delle interviste è appena cominciato e quindi non sono ancora in grado di fare delle analisi dettagliate. Posso però accennare ad alcuni temi emersi che mi sembrano importanti e di cui vai la pena di parlare. Uno di questi temi è — tanto per cambiare — quello della sessualità. Sessualità intesa come non accettazione da parte della madre della sessualità della figlia e viceversa, come ricerca sia emotiva che fisica di comunicazione con la madre da parte della figlia, e come difficoltà nel poter vivere questa comunicazione. Difficoltà spesso creata dalle ambiguità della madre, divisa tra la ricerca del rapporto con la figlia come ricerca dell’altra donna e soprattutto — in ultima analisi — come ricerca di una parte di sé, e il richiamo ai doveri e ai divieti imposti alle madri dal mondo maschile. E’ molto sentita dalle figlie la mancanza di complicità da parte delle madri nei momenti in cui queste scelgono di farsi “rappresentanti” del volere maschile, magari dopo aver combattuto battaglie durissime per cercare di aiutarle:

Chiara di 17 anni – «Se io non sono stata in clausura fino all’anno scorso, se io posso fare quel poco che faccio adesso è perché mia madre ha continuato a fare un lavorìo su mio padre estenuante, giorno dopo giorno… Poi mio padre su certe cose lasciava perdere, su altre così e così e su altre ancora non transigeva, e spesso finiva che mia madre per non lacerare nel rapporto fra loro due la situazione familiare, assumeva in prima persona le posizioni di mio padre, le faceva proprie, quindi… dando man forte a mio padre, isolando me e… soprattutto cercava di evitare che io mi rendessi conto che loro non la pensavano nello stesso modo.

«Tra loro c’era conflitto rispetto al problema della mia educazione e spesso, pur di non creare situazioni conflittuali e di dire “no, secondo me questa cosa Chiara la deve fare”, e litigare tutti e tre, bene, insieme… insomma, lei faceva da cuscinetto. «Senza contare che poi mio padre, avendo questo tramite, a mio giudizio è riuscito a evitare di scontrarsi con me, fino a un po’ di tempo fa, e a sputtanarsi anche rispetto a me, cioè a dimostrare fino a che punto arriva l’apertura mentale che sui discorsi generali dimostra e fino a che punto arriva effettivamente la sua disponibilità a capire, a tollerare, a comprendere.

«Non si è mai messo in gioco, ha buttato avanti sempre mia madre». Ho accennato prima alla difficoltà per le madri di accettare la sessualità delle figlie, difficoltà che può esprimersi sia col rifiuto assoluto sia, in modo più contraddittorio, col rifiuto e l’autoaccusa nello stesso tempo per questo rifiuto:

Francesca, madre di Chiara, 44 anni -«Chiara è stata una pacioccona… fino in terza media. Poi, nei due anni del ginnasio è esplosa… e… ma vedi, io mi son trovata di fronte al fatto compiuto, per me il danno è stato questo… quando lei ha avuto questo ragazzo — che tra l’altro non ci piaceva assolutamente —. Sai, quando tu.guardi in faccia una persona: io ti guardo negli occhi e tu mi guardi negli occhi. Lui li abbassava, e a me queste cose non piacciono! Poi veniva in casa e non parlava mai, era sempre lì così… Per cui le dicevo: “Ma Chiara, prenditi un ragazzo un po’ più allegro! Ma è possibile che quello sembra che ha un peso enorme da portare, non guarda mai in faccia la gente”.

«Poi Chiara mi chiese di accompagnarla dal mio ginecologo e io pensavo che fosse perché voleva chiarire alcune cose, no? Poi invece mi sono resa conto che lei… Io ti assicuro, non supponevo assolutamente che Chiara mi avesse chiesto del ginecologo per chiedergli gli anticoncezionali… «Lei non me ne ha parlato… ma io me ne sono accorta… lei è gelosissima della sua borsa, del suo borsellino. Guai a chi tocca la sua borsa o il suo borsellino! Io non l’ho mai toccato, però… è saltato fuori… ho capito insomma… «Ma io… io non contesto… ed è anche giusto perché… arrivare a quarantaquattro anni e avere le convinzioni che ho io non è giusto e quindi accetto un discorso nuovo. Io non ho accettato in Chiara e non accetto tutt’ora, il fatto che Chiara così, di acchito, sia arrivata ad avere un rapporto con questa persona. E’ la mia mentalità… cioè… Prima i giochi e… no… è proprio… è proprio un difetto mio».

A questa non accettazione della sessualità delle figlie da parte della madre, le figlie a loro volta possono reagire in modo provocatorio e aggressivo:

Francesca – «Se mi criticano? (ha un’altra figlia oltre a Chiara) Oh, tanto! Tantissimo!… Da come rido, da come parlo, da come cammino, come vesto, come gestisco, come… Sì, tutte e due, sì sì perché… La Giovanna è plagiata dalla Chiara (ride). Per forza, non possono pensare tutte e due nello stesso modo! Non so… andiamo in bagno e sai, a volte davanti allo specchio si fanno le facce più strane di questo mondo; loro le fanno e io le accetto e… Io no. Mi metto il rossetto e apro la bocca in un certo modo e: “Ma c’è bisogno di aprir la bocca in quel modo? Ma guarda, ma è il modo di aprir la bocca?!”.

«Oppure mi pettino e atteggio la faccia in un certo modo e… e noto che dò fastidio a loro». Sostanzialmente, sembra una lotta a colpi bassi tra donne che in realtà si “desiderano”, vorrebbero amarsi, provano gelosia nel momento in cui l’altra rivolge il proprio amore-desiderio verso una terza persona. Si sentono insomma “abbandonate”, perché ognuna delle due “fa parte” dell’altra, sia come appartenenza puramente biologica, sia come appartenenza di sesso. Quello che appare chiaro da tutto questo è che l’uomo e viene vissuto come lo schermo che si frappone nel rapporto tra le due donne, o come quello che — anche nei casi in cui non ha “peso” — trasmette comunque la legge maschile che tende a far prevalere nei rapporti tra donne i ruoli di potere e la volontà di possesso ostacolando una comunicazione tra “pari”: I momenti in cui questa comunicazione tra pari è possibile — anche se la parità può manifestarsi nell’espressione della reciproca aggressività e non necessariamente solo nell’espressione del reciproco amore —.sono vissuti come momenti liberatori; quasi, sotto sotto, di gioco, anche se violento: Lisa, 15 anni – «Quando litighiamo… io continuo a discutere fino a un certo punto e poi non ce la faccio più perché mi viene proprio una violenza… Quando mi arrabbio molto certe volte… mi faccio paura. E però mi piace che sono libera di litigare, di tirarle i capelli; lei mi tira le ciabatte e robe del genere.., Una volta è successo: era bello tirarle i capelli! Un’altra madre… madonna, chissà cosa avrebbe fatto!». Un altro aspetto evidente del conflitto tra madri e figlie è spesso rappresentato dall’annosa questione del lavoro domestico, rifiutato oggi come ruolo e come destino dalle figlie, e ribadito invece il più delle volte dalle madri che interpretano il rifiuto delle figlie come un atto di non considerazione, non solidarietà verso di loro. Un atto di egoismo.

In molti casi il problema è più complesso, soprattutto quando in famiglia ci sono anche figli maschi. Ecco allora che il rifiuto delle figlie ad assumersi il maggior carico di lavoro domestico è dettato proprio dalla constatazione del privilegio accordato dalla madre ai maschi di casa, padre compreso, magari con la motivazione che “gli uomini i lavori di casa non li sanno fare”:

Lisa – «Lei dice che in casa deve fare tutto. Ma io la aiuto, porco cane, e lei invece dice che non la aiuto! E quando vengono qua le mie amiche mi dicono tutte che io lavoro; tanta gente

mi dice che lavoro, e lei invece mi dice: “No, non mi aiuti molto”. …Adesso per esempio, che lei ha gli esami da preparare, io dovrei preparare da mangiare.., Ma se non lo fa lei devo farlo io, capisci? Perché se lo fanno mio padre e mio fratello lo fanno nel modo sbagliato…

«Oppure, non so… adesso mia nonna è in ospedale perché si è fatta male e mia madre dice: “Allora Lisa, bisogna andare a trovare la nonna!”. Al che io mi giro e dico: “Allora Stefano (il fratello) bisogna andare a trovare la nonna; allora papà, bisogna andare a trovare la nonna”. «Perché deve sempre dirlo a me? Mi sento sempre dire: Lisa apparecchia la tavola, Lisa vai giù a far la spesa… Ma dico, guarda che hai anche un figlio eh? Sempre così. O magari perché io sparecchio la tavola meglio di mio fratello devo farlo sempre io. Adesso magari no, ma prima era così… e avevo deciso che se continuava così mi mettevo anch’io a sparecchiare male!».

Franca, madre di Lisa, 42 anni – «E poi è anche molto disordinata, lei non mi aiuta in casa, e in questo senso è un bisogno concreto che ho, mica ne ho bisogno perché mi stia vicino, ne ho bisogno perché in una casa ci sono centomila cose da fare e se oltre a non aiutarti ti aumentano il lavoro perché sono disordinati, a un certo punto dici: “Io la mia vita come posso viverla?”. Quando io aiutavo mia mamma non era che aiutando lei permettevo a mia mamma di uscire, di andare a spasso, Io l’aiutavo ma lei era ugualmente in casa. Mentre quando io chiedo a Lisa di darmi una mano è perché per esempio devo fare un’esame, o anche al limite perché anch’io ho bisogno di andar fuori a fare una chiacchierata con una mia amica: se tu mi sostituisci in questo, io ho la libertà di fare quello». Bisogni diversi in contraddizione gli uni con gli altri, amore, desiderio, rifiuto, scontro, gioco… Innumerevoli momenti che coesistono e si alternano nei rapporti tra madri e figlie così come nei rapporti tra donne in genere. Io credo che se riusciamo a interrogarci su tutti questi aspetti di noi, sulle richieste che facciamo alle altre donne e sulle richieste che facciamo all’uomo (in genere il partner viene vissuto da noi come una seconda madre da cui ci aspettiamo la soddisfazione di quei bisogni che la madre vera non ha soddisfatto), possiamo fare degli importanti passi avanti nella conoscenza di noi stesse e nella possibilità di modificazione dei rapporti con gli altri e del mondo in cui questi rapporti si svolgono.