amore di cinema

Rony Daopoulo, diplomata al C.S.C nel 1972 e Annabella Miscuglio, che ha fondato nel 1967 il Filmstudio, hanno formato nel 1972 il primo collettivo femminista di cinema in Italia. Nel 1976 hanno organizzato la rassegna «Kinomata».

aprile 1977

Rony
Il collettivo di cinema è nato, in pratica, nel movimento, nei piccoli gruppi di Pompeo Magno, nel ’71. Avevamo, io e Annabella, un interesse comune per il cinema. Annabella aveva fondato nel ’67 il Filmstudio, ed io stavo finendo il Centro Sperimentale. Così insieme abbiamo portato ,a .termine il primo documentario femminista italiano L’aggettivo donna. In seguito abbiamo organizzato due «rassegne di film, sia femministi, sia di donne, nel ’72 e nel ’73. Poi abbiamo fatto il film «La lotta non è finita», che volevamo girare unicamente tra donne, perché ci isembrava importante, ma non eravamo affatto preparate tecnicamente. Il film infatti tecnicamente è stato un grosso casino, però non è questo l’importante, perché le cose si imparano. Il problema vero è stato che si sono scatenati meccanismi di competizione, di potere ecc. E così abbiamo cominciato a vedere molto chiaramente che molte cose che dicevamo all’interno del movimento, come «non ci deve essere un leader», «no all’ideologia», non alla competizione, alla fine erano diventati degli slogans, che non rispondevano a delle conquiste precise di noi in quanto individui.
Maricla
All’interno di questo collettivo cercavate di fare autocoscienza durante il vostro lavoro per smantellare questi meccanismi?
Rony
Noi eravamo nate da un gruppo di autocoscienza, eravamo un piccolo gruppo del collettivo di Pompeo Magno. Ma quando giri un film non hai tempo di fare autocoscienza. Se mai dopo oi sono stati dei chiarimenti che ci hanno consentito di non far rimanere ombre o malintesi fra noi. Con le compagne, anche se non le vedo più tanto spesso, è rimasto un grosso affetto, sono rimaste persone che contano nella mia vita, proprio grazie a questa grossa esperienza comune. Girare un film è sempre una .cosa che devi fare a una velocità pazzesca, eravamo senza una lira, abbiamo dovuto chiedere la pellicola, chiede-ire la macchina da presa, superare grosse diffidenze. Impiegavamo un’energia folle in tutto questo, c’era stanchezza, nervosismo, per cui non riuscivi a controllare tutti i meccanismi che si scatenavano.
Comunque lì abbiamo capito che, sì, c’è sempre qualcuno che vuole il potere e se lo prende, ma c’è anche sempre qualcun altro che glielo dà, forse per paura di prenderselo. Da lì è cominciata la prima crisi abbastanza profonda con il gruppo, con il movimento, con i gruppi di autocoscienza così come erano fatti meravigliosi finché li fai per un certo periodo ma che poi ti sfuggono» di mano, si sclerotizzano, non ti fanno andare avanti. Siamo uscite dal movimento, nel senso che non siamo più state «militanti», non frequentavamo più i gruppi e il collettivo. La crisi che abbiamo avuto è stata talmente grossa che dopo il film non abbiamo fatto più praticamente nient’altro fino ali ’76. Il gruppo si è sciolto e siamo rimaste in due, però non siamo più riuscite a far niente neanche a livello individuale, ossia mio. A parte Annabella, che aveva cominciato a girare un su-per-8 da sola, terrorizzata all’idea di fare ancora qualcosa in .gruppo, Nel ’76 abbiamo fatto Rinomata.
Maricla
Tu e Annabella avete scelto il cinema come professione e non come hobby. Che problemi avete incontrato, che incomprensioni, anche.
Rony
Ci sono due o tre problemi che scappano fuori immediatamente. Scegliersi il dnema come mestiere è molto difficile, perché mestiere vuol dire soldi, professione per me vuol dire anche guadagnarmi da vivere. Io non ho delle altre risorse di guadagno, per cui o cerco di guadagnare facendo quello che so fare il cinema o vado a vendere carote. Perché mi va anche il fatto per un periodo. Questo è uno degli scogli principali che le donne incontrano, per lavorare all’interno del cinema. E poi fare cinema come mestiere comporta tutti i vantaggi e gli svantaggi di ogni mestiere. C’è il lato creativo, gratificante, ma c’è anche la noia, la ripetitività ecc. Per esempio oggi mi stai intervistando qui, io sto proiettando, mi danno dei soldi per fare la proiezionista. Riguarda il cinema, mi piace farlo, però è chiaro che la terza volta che proietti un film ti rompi le sctaole, però ci devi guadagnare e ci devi vivere.
Maricla
Giorni fa, le compagne della troupe di Donna in guerra ci hanno detto di aver scelto di fare il film in 35 mm e non in 16 perché volevano fare un film divulgativo, «di massa» e non «di élite», nonostante le difficoltà, che pone k struttura del cinema industriale. Tu e Annabella avete scelto invece la strada dei circuiti alternativi, diciamo. È una scelta che deriva da una ben precisa concezione del cinema o di come si devono muovere le donne che vogliono fare cinema, o è stata in qualche modo condizionata dalle difficoltà del cinema industriale?
Rony
È una scelta. Sia io che Annabella abbiamo sempre tenuto molto a fare più cose. All’interno del cinema ci sono migliaia ‘di cose da fare, organizzare rassegne, fare un film, fare un documentario, fare del super otto, fare la proiezionista, trovare dei film. Noi abbiamo sempre fatto di tutto: è un modo per uscire da certi ruoli. Fai del cinema, ma cerchi anche di trovare un po’ te stessa e ritrovare, un po’ te stessa vuol dire anche non sclerotizzarti all’interno di un ruolo. Per esempio, se fai sempre la regista ad un certo punto diventi la «figura» di regista, che è anche una figura di potere, non m’importa tanto dell’esterno, mi interessa il discorso mio interno; se io mi identifico con una figura di potere, chiaramente perdo moltissimo di me, mi metto in una strada che mi rende infelice, perché chi ha la mania del potere è infelice. Perciò mi piace anche fare altri lavori più «umili», perché in questo modo hai sempre la possibilità di ritrovarti come individuo, di ritrovare una tua misura più vera. In questo momento, per esempio, sono stanca di essere individuata come quella che ha fatto Kinomata, come la teorica del cinema. E anche Annabella è stanca. Adesso sta girando un documentario per la televisione, come regista. Io ho ripreso un po’ a stare alla cassa al Filmstudio, a fare la proiezionista, anche. Forse girerò qualcosa di mio, perché ho voglia di farlo, ma farò qualcosa di cosidetto sperimentale.
Stiamo anche lavorando ad un libro-catalogo sulle .registe e i films presentati a Rinomata.
Questa è una mia scelta individuale, però mi va benissimo che qualcun altro faccia un’altra scena, basta che ci si ritrovi. Per me e per Annabella ci va bene una dimensione che ci permetta di cambiare ruolo, come un serpente cambia pelle.
Maricla
Il problema un po’ centrale per tutto il movimento mi sembra oggi sia molto quello dello stare o no nelle strutture e nelle istituzioni o fare contro istituzioni. A livello di cinema, secondo te, una donna che vuole fare cinema, qual è il discorso — la strada — più valida.
Rony
Ti rispondo ovviamente a livello individuale. Personalmente non mi crea problemi fare una cosa nelle strutture o nelle istituzioni, anzi penso che bisogna farlo, è un mezzo per raggiungere un pubblico più vasto ed è quindi utile alla diffusione di un nostro modo di vedere.
Naturalmente se presento un progetto e debbo fare dei tagli, li faccio fino al punto in cui non viene snaturato quello che voglio dire. E credo che sia possibile all’interno delle strutture, È chiaro che devi avere delle energie molto forti, perché devi lottare contro cose malto grosse.
Maricla
A te, in un numero come questo di Effe sul cinema, in cui tentiamo di dare un quadro di quello che cercano di fare le donne nel cinema, le «professioniste» da un lato, i «gruppi di base» dall’altro, che cerca di focalizzare dei problemi, cosa ti starebbe particolarmente a cuore di mettere in evidenza, come problema principale di una donna che fa cinema?
Rony
Il problema fondamentale di un individuo non è il cinema. Io penso che il problema fondamentale per ciascuno sia la propria vita da vivere. Ed è quindi anche il discorso della identificazione, che per me non deve mai essere totale. Per me non è importante quello che fai. Tutto, tutto il problema è come tu ti poni all’interno della tua vita. Dopo essere stata così infelice, talmente scissa che alla fine ti senti in uno stato di follia, oggi credo che la cosa principale non è né la professione che uno fa, né il cinema, ma come tu scegli di vivere là tua propria vita.
Maricla
Secondo te cos’è cinema femminista e cosa è cinema femminile?
Rony
La terminologia mi sembra molto semplice. Cinema femminista è cinema militante, che parte da una tesi e la dimostra. Cinema femminile è il cinema delle donne. E prima di parlare di cinema femminile o femminista bisogna parlare di ‘linguaggio. I dati che abbiamo ti portano a credere che c’è effettivamente una visione diversa: per esempio rispetto a come viene vista la figura della donna; questa visione diversa della donna dà una visione diversa della «storia», della «narrazione» filmica che si può identificare subito come «fatto da una donna». Le protagoniste di questi film, per esempio, sono donne, in un momento in cui nel cinema la donna è scomparsa come protagonista.
Maricla
Forse il problema del linguaggio cinematografico femminile va inserito nel contesto più vasto del problema della cultura femminile in generale. Cioè in che consiste e come si fa cultura femminile. Se è il recupero in positivo di tutti quei valori tradizionalmente femminili e perciò di emarginazione o invece una nuova sintesi. Problema aperto. Nello specifico del cinema, ad esempio, molti film di donne si riconoscono come femminili proprio per l’uso creativo di questa sensibilità: attenzione ai colori, ai piccoli particolari, l’uso di canali di conoscenza come il gioco o l’ironia che non sono «ufficiali».
Rony
È solo in questi ultimi anni che si comincia a dividere la Cultura, si comincia a parlare di cultura maschile e di cultura femminile.
Finora si è parlato di Cultura. Le donne che facevano cinema prima, erano donne che facevano cultura, punto e basta, non si cercava ancora questa specificità. È una cosa molto nuova nella storia dell’umanità. È ancora tutto sul nascere il chiarimento di questo problema della cultura.