arrestata Vera Golubeva

E’ una redattrice dell’“Almanacco Donna e Russia”, nota con lo pseudonimo di Natasha Maltseva. Di lei ci parla la direttrice responsabile dell’almanacco, Tatyana Mamonova, in questa lettera-appello che ci ha inviato da Parigi, dove attualmente vive dopo la sua espulsione dall’Unione Sovietica.

febbraio 1981

Natasha Maltseva la conoscono solo in pochi intimi. Vera Golubeva la conoscono in molti. E non soltanto in Unione Sovietica, ma anche in Francia, in Inghilterra, in Germania, in Italia ed in America. Come redattore responsabile dell’almanacco “Donna e Russia”, insistetti affinché Natasha Maltseva assumesse uno pseudonimo. Avevo paura per lei e per sua figlia Yana, che ha otto anni. Eppure nessuna di noi si aspettava un attacco così violento da parte delle autorità nei confronti del nostro libero giornale femminista, il primo pubblicato in Unione Sovietica. Avevamo semplicemente constatato fatti che tutti conoscono in Unione Sovietica. Nel nostro almanacco, fin dal suo primo numero abbiamo parlato del silenzio colpevole della stampa ufficiale sovietica relativamente alla condizione della donna. Abbiamo parlato dello sfruttamento della donna sovietica nella famiglia e nel lavoro, abbiamo parlato delle ragazze-madri che ricevono un sussidio statale pari a cinque rubli al mese e subiscono umiliazioni terribili per la loro condizione; abbiamo parlato dell’ubriachezza dei nostri uomini e delle loro violenze che in grado maggiore o minore ogni donna sovietica ha sperimentato su di sé; abbiamo descritto le nostre cliniche per aborti, che vengono anche praticati senza anestesia; volevamo ricordare anche che nel reparto maternità degli ospedali, le donne hanno bisogno di cure e attenzioni particolari. Da noi invece di ricevere calore umano, le donne sono costrette a sentire le urla sgarbate di medici stanchi e indifferenti; abbiamo parlato anche di questi medici, la cui stanchezza e indifferenza è conseguenza del superlavoro, della mancanza di strumenti e di materiale sanitario, degli stipendi bassi. Abbiamo descritto i nostri asili e giardini d’infanzia, le cui condizioni lasciano molto a desiderare, abbiamo denunciato l’insufficienza di questi asili. Abbiamo anche denunciato- le sofferenze morali e fisiche delle nostre donne. Natasha Maltseva si è messa a nostra disposizione per aiutarci nella pubblicazione dell’almanacco “Donna e Russia”. E’ diventata Vera Golubeva ed ha lavorato con le altre donne non risparmiando forze, tempo e salute.
Il suo lavoro era assolutamente disinteressato. Sognava che le donne di tutto il mondo si unissero. Dopo che fui costretta dalle autorità a lasciare l’Unione Sovietica, Vera-Natasha divenne responsabile della redazione dell’almanacco “Donna e Russia” a Leningrado. Fece interviste a molte donne, indipendentemente dalla loro età, nazionalità, situazione sociale. Conversava con loro, sollecitava un interesse e un aiuto reciproco. Simpatica, aperta e vivace dimenticava le sue sofferenze davanti alle sofferenze delle sue amiche. Ottima pubblicista, Natasha ha descritto la sorte delle sue sorelle in infelicità. Vera-Natasha è una ragazza-madre. Ha scelto coscientemente la sua condizione. Esile, con grandi occhi, avrebbe avuto più volte la possibilità di sposarsi. Ma ogni volta, alla fine, ha preferito la sua libertà. “I nostri uomini bisognerebbe rieducarli energicamente, io preferisco occuparmi dell’educazione di mia figlia” diceva. E Yanochka adora sua madre. Adesso madre e figlia sono separate, e mi è penoso immaginare in che condizioni di spirito vivano quest’esperienza. Conosco Vera-Natasha da circa dieci anni. Conosco il suo profondo attaccamento alla figlia, la sua sensibilità. So quanto ami la vita. Le passeggiate in bicicletta con la figlia. Il teatro che frequentavano sempre insieme. Me la ricordo sempre elegante, non grazie a capi d’abbigliamento d’importazione: lavorava a maglia e confezionava da sola tutti gli abiti per sé e per la bambina. Ha le mani d’oro. Sa creare modelli originali. Se solo avesse voluto, avrebbe avuto decine di clienti e avrebbe potuto vivere agiatamente. “Ma non si può essere tranquilli, quando intorno a noi le cose non vanno — diceva Vera-Natasha — bisogna cambiare qualcosa! So che molte donne, come me, potrebbero trovare se stesse nel femminismo. Proprio in questa lotta, io ho trovato un senso alla mia vita”. E’ sempre stata romantica, sempre alla ricerca di qualcosa, sempre idealista.
“Ecco, il nostro governo si definisce socialista, perché allora le donne da noi sono così oppresse, così umiliate? Perché devono sopportare gli insulti, un linguaggio scurrile che le discrimina ad ogni passo?”. Vera-Natasha lottava per la reintroduzione dei “reparti femminili”, che furono eliminati al tempo di Stalin. “A chi può rivolgersi una donna, una qualunque donna, con un problema o dolore da donna? Al Comitato delle Donne Sovietiche non può andare”.
Ho parlato molto con lei del fatto che le nostre donne considerino i problemi femminili qualcosa di privato, di personale, di poca importanza. Invece ritratta proprio una tragedia generale, comune a tutte. E non si può più tacerne. “Com’è soffocata da noi la donna, com’è ingannata!” diceva spesso Vera-Natasha. “Bisogna farle aprire gli occhi su se stessa. Questa emancipazione proclamata con tanta ipocrisia, si è trasformata per la donna solo nel diritto ad avere un doppio lavoro. La vera parità di diritti non consiste nel trasformare la donna in uomo, ma nel darle una compensazione affinché possa espletare coscientemente anche le sue funzioni di madre. La donna dà la vita, ecco che cosa è più importante. Da noi se he sono dimenticati”. Aveva l’ardore della rivoluzionaria: parlava sempre, non di una rivolta cruenta, ma di una vera rivoluzione nella coscienza della donna.
Vera-Natasha è nata j nel 1951, in Siberia. Ha viaggiato molto in Unione Sovietica. Ha lavorato come assistente all’ente televisivo di Arkhangelsk. Ma ha abbandonato questa attività per curare la pubblicazione dell’almanacco “Donna e Russia”, sebbene questo lavoro non le abbia arrecato alcun vantaggio economico. Per allevare la’ figlia ed evitare l’accusa di “parassitismo”, si è procurata un impiego come semplice operaia addetta alla cernita dei pezzi nella fabbrica “Severnoe Siyanie” (Aurora Boreale) di Leningrado. Le autorità, evidentemente, temevano che spronasse le operaie alla rivolta in fabbrica. E si affrettarono a fermarla. Nonostante il fatto che Vera-Natasha fosse in cura presso un dispensario per il trattamento della tubercolosi. Un mese fa mi scrisse di essersi accorta di essere sorvegliata. “Mi hanno installato anche il telefono per controllarmi meglio. Che dunque sappiano che cosa penso di loro. Quindi criminali sono le loro azioni, non le mie. Perché hanno il diritto di tapparci la bocca?!”. Sì, le nostre autorità temono le idee semplici ed umane del femminismo perché l’opposizione di molti milioni di donne rappresenta per loro una seria minaccia. Il KGB ha fatto male i suoi conti con il primo gruppo di redattrici dell’almanacco ed ha deciso di prendersi una rivincita sulle altre collaboratrici e le donne che da poco sono entrate nel movimento. Ingiunzioni a recarsi al KGB, pedinamenti, perquisizioni, controlli continui subiti da tutte le femministe hanno preceduto l’arresto di Vera Golubeva. Prima di lei, in settembre, è stata arrestata Natalya Lazareva, anch’ella collaboratrice del nostro almanacco. Ma se, per quanto la riguarda, le autorità stanno cercando di attribuirle la colpa per certi imprecisati crimini, invece l’arresto di Vera Golubeva vuol essere un atto squisitamente politico. La accusano sulla base dell’articolo 70, uno dei più rigidi del codice penale.
E la tengono segregata in una cella singola sulla via Kalyaeva. Le autorità per molto tempo non hanno voluto compromettersi con un aperto intervento contro le donne. Ma nel dicembre 1980 il totalitarismo fallocratico ha mostrato i suoi denti gialli. L’arresto di Vera-Natasha è un’azione scandalosa da parte delle autorità. Non le sono stati neppure mostrati i mandati del procuratore per la perquisizione e l’arresto. Le hanno preso la macchina da scrivere e i suoi testi femministi, che parlano proprio della necessità che si attui una vera liberazione della donna in tutto il mondo. “Nelle mie azioni non c’è nulla di antisovietico. Io credo nella possibilità del socialismo. Il socialismo sottintende e comprende la democrazia. Fino ad ora non lo abbiamo conosciuto qui da noi. Bisogna combattere. Le autorità non ci consentono di pubblicare jl nostro almanacco apertamente — lo diffonderemo come potremo — diceva Vera-Natasha.
Dopo la mia espulsione è stata creata a Parigi una filiale della redazione dell’almanacco “Donna e Russia”. Dì recente il nostro comitato di difesa contro la repressione delle donne in Unione Sovietica ha annunciato l’arresto di Vera Golubeva a tutte le organizzazioni femminili del mondo, alla Commissione per i Diritti dell’Uomo presso l’ONU, al Dipartimento per la Difesa dei Diritti dell’Uomo, anch’esso presso l’ONU. Convocheremo delle conferenze-stampa, organizzeremo manifestazioni. Per l’8 marzo per conto della casa editrice “Des Femmes” di Parigi deve uscire il terzo numero dell’almanacco pubblicato a Leningrado. Vera Golubeva ed anche Natalya Lazareva devono essere liberate.