comunicato di donne in lotta di Venezia – Mestre

marzo 1977

la camera ha approvato la legge sull’aborto. Essa è il frutto di un miserabile compromesso i cui protagonisti, DC e PCI, si sono avvalsi da un lato del silenzio assoluto del PSI e dall’altro del ruolo di reggicoda del PCI che AO e PDUP hanno deciso di svolgere in Parlamento. Le istanze e i bisogni delle donne sono stati gridati nelle piazze in questi anni, al punto che non ci sarebbe bisogno di commentare una legge contro la quale ci siamo battute, assieme a tante altre donne. Ma il fatto che i partiti della sinistra, e specialmente PCI e PDUP, abbiano mandato le loro donne a spiegare, alla radio, alla televisione e sui giornali, il perché del loro voto e del loro giudizio favorevole, e il fatto che alcune di esse sono giunte a definire questa legge «civile» o si sono premurate di ricordarci che è la «più avanzata d’Europa», ci induce a rendere note le nostre valutazioni di donne, di femministe, di rivoluzionarie, nella speranza che si apra un dibattito tra tutte le compagne e tutte le donne sul significato delle nostre lotte per la liberazione. La legge approvata dal parlamento è un’autentica beffa per tutte le donne che hanno lottato in questi anni ed è
una condanna all’aborto clandestino per le donne proletarie. Nessuna legge, di per sé, poteva realizzare subito l’aborto libero gratuito ed assistito, così come sono i noi intendevamo: basta pensare a cosa sono gli ospedali e come sono d medici la cui ignoranza del nostro corpo e il cui disprezzo del nostro sesso paghiamo in tante con la morte o comunque con la condanna alla sofferenza. Ma una legge doveva riconoscere in primo luogo che l’aborto non è reato, senza nulla concedere alla ipocrisia gesuitica di chi vede la vita nel feto e non la vede nella donna; in secondo luogo che solo la donna può decidere, senza nulla concedere al compiacimento controriformistico della casistica che stabilisce i confini del «peccato»; in terzo luogo che l’esperienza di autogestione dell’aborto fatto dalle donne in questi anni è quanto di più qualificativo vi sia in Italia; Questa legge, invece, si sostituisce al concetto di «tutela della vita fin dal suo inizio»; l’aborto è proibito comunque salvo i casi già previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale per l’aborto terapeutico. Non solo. Questa legge prevede addirittura che anche quando l’aborto è consentito, si possa non tenerne conto: cioè lo Stato, nel momento stesso in cui afferma che l’aborto è lecito in certi casi, concede agli unici delegati ad eseguirlo, cioè ai medici e il personale sanitario, la possibilità di rifiutarsi per obiezione di coscienza. Per questo parliamo di beffa. E non è questo l’unico motivo. Proprio ai medici viene affidato il compito di decidere se la donna può o no abortire, se sono passati i tre mesi, o comunque di dissuaderla se non sono ancora passati; proprio ai medici che il movimento delle donne ha messo sotto accusa rivelando l’ignoranza, la violenza, la presunzione di una categoria fra le più corporative, che difende i propri privilegi con l’omertà e il ricatto all’interno delle istituzioni sanitarie. Noi con il self-help e con la pratica dell’aborto autogestito abbiamo dimostrato che il mito dello specialista è l’inganno con cui la borghesia tiene inchiodato ciascuno al suo posto; abbiamo dimostrato di saperci appropriare e di saper gestire meglio degli «specialisti» e degli «addetti ai lavori» la nostra salute, dando con ciò l’esempio di una pratica rivoluzionaria a tutte le masse oppresse. Con questa legge sull’aborto si è voluto rimettere le cose a posto. Alla figura del medico si è creato un piedistallo tutto d’oro che i medici stessi rifiutano, perché ci hanno visto la beffa a loro volta, anche se per motivi diversi. Alla donna non si è riconosciuto nessun diritto sul proprio corpo, sulla propria maternità, sulla propria vita.
Perciò ci stupisce che certi collettivi, tra cui anche quelli del CRAC di Roma, che hanno fatto pratica d’aborto possano essersi limitati a fare dichiarazioni pacate, analisi critiche sulle possibilità di applicazione di una legge che nega tutte le nostre istanze fondamentali e che ci mette definitivamente fuori legge nella nostra pratica di consultorio, ricacciandoci nel ruolo di «streghe».
U carattere «avanzato» di una legge, e di questa in particolare, si verifica in base alla sua capacità di rispondere alle istanze e ai bisogni delle masse. Rispetto ai bisogni reali delle donne e alle istanze espresse dal movimento femminista in questi anni, non solo, dunque, questa non è una legge «avanzata», ma è evidentemente il tentativo di sconfiggere definitivamente un movimento che proprio sul problema dell’aborto era partito e si era ampliato. È evidente che anche noi dovremo pagare caro il compromesso borico, e già lo si vede dalle cifre dei licenziamenti, dal blocco dei finanziamenti per i «servizi sociali» dall’introduzione del part-time: tutti provvedimenti che ci ricacciano tra le mura domestiche dove la «mistica del sacrificio» in cui siamo state allevate dovrebbe renderci «naturali alleate» delle scelte governative in vista del risanamento dell’economia nazionale. Ma la nostra lotta, che è appena cominciata, non si potrà certo fermare per questo. Abbiamo capito, assieme a tante altre, che non basta essere donne per essere dalla parte delle donne, ma bisogna essere donne che hanno deciso di lottare fino in fondo per la propria liberazione, al di là del «realismo politico», del cretinismo permanente e dei compromessi. INVITIAMO tutte le compagne e tutte le donne a riflettere sulla legge passata in parlamento in modo che si possa giungere ad un dibattito proficuo.
LE RIUNIONI DI DONNE IN LOTTA SI FANNO AL MARTEDÌ’ ALLE ORE 16,00 E IL GIOVEDÌ’ ALLE ORE 16,30 AL CENTRO DELLE DONNE – S. LIO 5776 – Tel. 704726.

Manifestazione di protesta davanti al Parlamento mentre si discute la legge sull’aborto. 18