dalla fiaba alla realtà

gennaio 1977

come succede spesso in laboratorio con i ragazzi, un’idea per un lavoro d’animazione nasce da un momento particolare, attuale, senza che sia stata prima studiata e organizzata; l’organizzazione viene dopo. Così è successo per il lavoro sulla «favolistica», nato dalla vista di un cartellone pubblicitario cinematografico che per le feste di natale reclamizzava «l’indimenticabile favola di Cenerentola». La favola di Cenerentola, riveduta ed analizzata sin nei
minimi particolari, era stata drammatizzata dai bambini ed ambientata nell’aula di un tribunale. Il dibattito verteva intorno alla condizione di Cenerentola: vittima, come donna, di un sistema oppressivo e repressivo che la aveva resa schiava; oppure complice nell’accettate passivamente la sua condizione? Di qui il processo che aveva visto l’imputata né assolta né condannata per la mancanza di un giudizio unanime. I più grandi, colpiti dal fatto di non aver trovato nel suo comportamento motivi validi per accusarla, hanno cominciato ad osservare gli aspetti più evidenti della società di Cenerentola e a fare confronti con quella odierna; cogliendo nei suoi atteggiamenti il condizionamento sociale cui era stata sottoposta e paragonandolo a quello più immediato che essi vivono nella loro famiglia, attraverso la loro storia, il loro rapporto con i coetanei, con la sorella, con la madre. La proposta di lavoro scaturita dalla discussione tra i ragazzi e gli animatori si è sintetizzata nella ricerca del ruolo femminile in alcune situazioni sociali con cui i bambini avevano ed hanno un rapporto più diretto: la famiglia, la scuola, la chiesa, le amicizie, la strada ecc. La realizzazione di tale lavoro è avvenuta attraverso quattro tipi di documentazione: quella grafica (fotomontaggio, collages, disegni); quella scritta (narrativa, indagine, questionari); teatrale (giochi teatrali sulle varie situazioni, analizzate); musicale (una breve raccolta di testi estratti da canzoni popolari riguardanti la donna). Tutto il lavoro doveva essere il pretesto per discutere insieme, ai compagni del gruppo la condizione femminile e sarebbe dovuto terminare entro 1*8 marzo (giornata internazionale della donna), data che poi non è stata rispettata, probabilmente per errore degli animatori spinti troppo insistentemente alla ricerca di un risultato che i bambini non sentivano come loro esigenza.
piano di lavoro ha subito alcuni cambiamenti durante il ciclo secondo le esigenze e gli interessi che i ragazzi presentavano man mano che si svolgeva l’attività.
Una sostanziale modifica al programma iniziale è stata la proposta di confrontare parallelamente alla vita di una donna quella di un uomo, individuando contemporaneamente quali erano le differenze e le contraddizioni dei due ruoli. Non abbiamo dunque ipotizzato irreali personaggi femminili su cui far gravare 2000 anni di abusi maschili, ma i ragazzi hanno osservato, già allo interno della loro stessa famiglia la loro condizione di futuri uomini e quella delle loro sorelline (questo per i ragazzi, che erano in numero maggiore nel gruppo durante questa attività), individuando nel rapporto con i genitori, con gli amici, nella scuola, tra la gente, i condizionamenti più o meno evidenti che tutti ci portiamo dietro. I ragazzi più che descrivere in modo astratto riportavano al gruppo le esperienze di cui erano stati partecipi o che avevano sentito raccontare dai «grandi». E se le prime testimonianze erano quelle che più li avevano colpiti emotivamente (bambine avviate alla prostituzione, ragazze madri, ecc.) a poco a poco si cominciava a parlare della propria madre, dei piatti da lavare, di spesa al mercato e di proibizioni verso la sorellina. Visto che gli argomenti programmati erano molti, ogni giornata di lavoro iniziava con un’assemblea in cui i ragazzi decidevano il tema su cui lavorare, tema che veniva poi sviluppato attraverso le tecniche che più si prestavano agli interessi dei gruppi che i ragazzi formavano per giocare. Le schede programma tive degli animatori sono state molte volte discusse e sostituite con altre approvate da tutti i bambini in riunione, così come le tecniche proposte sono state cambiate con altre; soprattutto i più grandi hanno preferito il gioco teatrale, mentre i piccoli si sono dedicati maggiormente alle tecniche manuali e grafiche (problema insolubile con 2 stanze sole a disposizione e la differenza d’età dei ragazzi presenti in uno stesso gruppo — da 6 a 12 anni —).
Gli spunti emergenti dai giochi teatrali dei ragazzi erano spesso occasione di discussione ed indagine. Le varie scene, ambientate tra preti e pubblicitari, genitori e capuffici, avevano come denominatore comune una figura femminile, passiva e ribelle, e quasi sempre i ragazzi rappresentavano fatti veramente accaduti o mimavano persone della loro famiglia, anche la stessa mamma, visitata nelle sue azioni quotidiane, arrivando spesso a giocare sui loro atteggiamenti scoprendo con stupore l’in-naturalezza di certi loro ruoli, e l’inconsapevole razzismo frequentemente presente nei rapporti bambino-bambina.
Altro momento di grande interesse è stata l’elaborazione e la diffusione del questionario sulla condizione femminile, elaborato interamente dai ragazzi più grandi e la raccolta di tante storie vere di donne, narrate dai ragazzi e anche dalle mamme che partecipavano al nostro lavoro col contributo della loro esperienza quotidiana.