dalla pratica politica ad una proposta di legge

Affrontiamo anche sul piano legislativo il tema della violenza sessuale

maggio 1979

Durante il Convegno internazionale organizzato dall’ MLD e dalla nostra rivista nel marzo del 1978, centinaia di donne giunte da tutta l’Italia e da molti paesi europei hanno discusso della ” violenza “: violenza sessuale, violenza all’interno della famiglia, violenza sui posti di lavoro, violenza nel rapporto di coppia e violenza tra donne.

Nasceva, così, la decisione di affrontare, anche sul piano legislativo, il tema della violenza sessuale, sulla base delle esperienze che le donne hanno maturato nei centri antiviolenza e nelle aule dei Tribunali in questi ultimi anni. Dopo molti dibattiti e lunghe discussioni,-il Movimento di Liberazione della Donna ha preparato una proposta di legge contro la violenza sessuale. Abbiamo chiesto a Tina Lagoslena Bassi, che ha collaborato alla stesura del progetto-legge, di parlarcene. Si tratta di una proposta globale che riguarda norme del codice penale e norme procedurali.

Innanzi tutto il progetto propone una sostanziale modifica-degli articoli 519 (che punisce la violenza carnale) e .521 (relativo agli atti di libidine violenta, puniti con pene più lievi). L’attuale normativa penale è assurda, perché un atto sessuale non voluto è altrettanto violento ed umiliante per la donna, sia quando vi è stata la penetrazione dell’organo genitale maschile, sia quando l’atto non è completo. Inoltre l’attuale distinzione consente ai giudici di indagare a fondo sulle modalità della violenza di cui la donna è rimasta vittima, per inquadrare il fatto nell’una o nell’altra fattispecie criminosa.

La proposta suggerisce l’unificazione dei due reati definiti: «atti di natura sessuale compiuti con violenza, minaccia od inganno».

Tra le modifiche più qualificanti va, poi, inserita la possibilità per il movimento femminista di costituirsi parte civile a fianco della vittima «perché un’offesa fatta a una donna sola coinvolge tutte le donne». Nella stessa ottica si pone la richiesta che i processi si svolgano a porte aperte, salvo contraria richiesta della parte lesa. La presenza delle donne in aula, non è solo solidarietà per la vittima, ma un indispensabile momento di controllo della giustizia, da sempre amministrata da uomini che, anche inconsciamente, mettono in atto meccanismi di solidarietà con lo stupratore. La richiesta che i processi si svolgano con rito direttissimo, salvo la necessità di particolari, difficili indagini, tende ad evitare che la donna sia costretta a rivivere la violenza dopo anni dal fatto, vanificando, così, tutti i tentativi dì ricostruire la propria personalità.

Infine vi è la richiesta di procedibilità di ufficio. Attualmente è necessaria, invece, la querela da parte della vittima. Ad un primo esame questa richiesta può sembrare una .ulteriore violenza contro la donna; ma se i processi saranno meno “violenti”, tutte le donne saranno in grado di affrontarli.

Inoltre bisogna tener presente che la querela è necessaria solo per i reati meno gravi, per quelli, cioè, che non creano allarme sociale. E noi riteniamo che lo stupro sia un reato assai grave che crea pericoli per la collettività. Di grande rilevanza sono, poi, le proposte di modifica dei reati che puniscono la violenza all’interno delle mura domestiche. Secondo la proposta di riforma anche il coniuge può essere punito, se pretende dalla compagna un atto sessuale non voluto. Così cadrà pure la concezione medievale del “debito coniugale”.

Modifiche, poi, sono suggerite per ì reati di “maltrattamenti in famiglia” e “abuso dei mezzi di correzione”. Anche per questi si richiede la procedibilità d’ufficio sempre, anche se le lesioni provocate sono lievi e guarite in pochi giorni.

Questa proposta è uno dei punti più qualificanti del progetto perché la violenza quotidiana, se vissuta come “normale”, fa crescere i giovani nella convinzione che occorra la prepotenza per ottenere ciò che si vuole. E così la violenza esce dalle mura domestiche per riproporsi all’esterno in una spirale di senza fine, che è necessario spezzare se si vuole ottenere che, “la diversa qualità della vita”, per la quale le donne si battono da anni, non sia un vuoto “slogan”.