cinema

dalle memorie di una pioniera

“La mia giovinezza, la mia inesperienza, il mio sesso, tutto era contro di me”

settembre 1979

Gaumont ricevette la visita di due vecchi amici: Auguste e Louis Lumière. Erano venuti per invitarlo a partecipare ad una serata in cui i due fratelli avrebbero presentato, alla Società d’Incoraggiamento per l’Industria nazionale, un nuovo apparecchiò di loro invenzione. Io assistei al colloquio e quindi fui invitata, ma si rifiutarono di darci ulteriori spiegazioni sull’apparecchio.

“Vedrete” , dissero, “sarà una sorpresa” .

Stimolata così la nostra curiosità, ci guardammo bene dal mancare a questo spettacolo.

Quando arrivammo c’era un lenzuolo bianco disteso contro un muro della sala; dall’altro parte uno dei fratelli Lumière maneggiava un apparecchio simile ad una lanterna magica. Furono spente le luci e vedemmo apparire, su questo schermo di fortuna, la fabbrica Lumière. Si aprirono le porte e ne uscì la folla di operai che gesticolava e rideva, dirigendosi verso la mensa o verso gli alloggi. Poi fu la volta dei films che in seguito diventarono dei classici: l’arrivo del treno alla stazione, 1′ annaffiatore annaffiato, ecc… Stavamo assistendo alla nascita del cinema. Qualche giorno più tardi, mediante il cinematografo Lumière, erano dati i primi spettacoli nella sala sotterranea del Grand Café, al 14 di Boulevard des Capucines. Tra i costruttori ci fu molta concorrenza. Gaumont, molto avanti nelle ricerche, arrivò certamente per secondo con il cronofotografo. Sfortunatamente pensò che fosse conveniente utilizzare pellicole da 60 mm, che l’obbligarono ad effettuare alcune trasformazioni che rallentarono un po’ la partenza. In ogni caso sia Gaumont che i Lumière s’interessavano soprattutto alla realizzazione delle parti meccaniche: sarebbe stato un apparecchio in più da mettere a disposizione della clientela. L’importanza che potevano avere le riprese in quanto strumento d’educazione e di distrazione, non sembrava averli colpiti. Tuttavia, nel vicolo des Sonneries, era stato creato un piccolo laboratorio per lo sviluppo e la stampa di cortometraggi: sfilate militari e binari di stazione, riprese fatte dallo stesso personale dei laboratori che servivano da propaganda e che circolavano sempre nello stesso ambiente. In quanto figlia di un editore, avevo letto molto e non poco ritenuto. Da dilettante avevo fatto un po’ di teatro e pensavo che si sarebbe potuto fare di meglio. Facendomi coraggio, proposi timidamente a Gaumont di scrivere una o due scenette e di farle recitare da alcuni amici. Se si fosse previsto lo sviluppo che avrebbe preso la cosa, non avrei mai ottenuto questo consenso.

La mia giovinezza, la mia inesperienza, il mio sesso, tutto era contro di me. Tuttavia ottenni il permesso, ma con la precisa condizione chetutto ciò non avrebbe interferito sul mio lavoro di segretaria. Dovevo essere in ufficio alle otto, aprire, prendere appunti e distribuire la posta. Dopo avevo il permesso di prendere l’omnibus a quattro cavalli che, passando per rue La Fayette, si arrampicava fino alla Buttes Chau-mont, permettendomi così di utilizzare al massimo il tempo di cui disponevo. Alle quattro e mezzo dovevo essere di ritorno a rue Saint-Roch, per sbrigare la corrispondenza personale, firmare, ecc. Tutto ciò durava molto spesso fino alle dieci o alle undici di sera, quando finalmente avevo la libertà di rientrare a quai Malaquais, dove potevo prendere qualche ora di riposo che consideravo ben meritato.

Fu à quell’epoca che Leon Gaumont, vedendo che perdevo troppo tempo ad andare e venire, mi propose di restaurare un piccolo padiglione di sua proprietà, che si trovava in fondo al vicolo des Sonneries, tra il laboratorio di fotografia e la famosa piattaforma asfaltata. Me lo affittò ad un modico prezzo (ottocento franchi l’anno). Vedendo la mia esitazione mi promise che avrebbe fatto installare un bagno e dissodare il giardino da un giardiniere delle Buttes-Chaumont. Finii per accettare, ero già stata presa dal demonio del cinema.

 Il primo film di Alice: “Un lenzuolo dipinto da un pittore di ventagli, una vaga scenografia, una fila di cavoli fatti da falegnami, alcuni costumi noleggiati qua e là…” .

…Vidi così per la prima volta il mio nuovo regno. Nel giardino, Amatole  ed io installammo la nostra prima macchina da presa.

Nel 1896 non esistevano sindacati. La settimana lavorativa era di sei giorni, a volte anche sette; le ore di presenza… illimitate. Mi ricordo di una domenica mattina in cui Gaumont venne a chiedermi di correre per il nostro giardino, per misurare la velocità della corsa con un apparecchio di sua invenzione. Lo ripeto, era quella che oggi si definisce “la belle epoque” . A Bolleville, vicino ai laboratori di stampa delle fotografie, mi fu concessa una terrazza abbondante, con il pavimento asfaltato (cosa che rendeva impossibile l’installazione di un vero scenario), coperta da una vetrata traballante che dava su un terreno incolto. Fu in questo “palazzo” che feci i miei primi esperimenti: un lenzuolo dipinto da un pittore di ventagli (e fantasista), una vaga scenografia, una fila di cavoli fatti da falegnami, alcuni costumi noleggiati qua e là a Porta Saint-Martin; come artisti, i miei amici, un neonato piangente ed una madre inquieta che ad ogni istante entrava nel campo dell’obiettivo, ed il mio primo film La Fée aux choux venne alla luce. Oggi è un classico di cui la Cineteca francese conserva il negativo (2). Esagererei nel dirvi che era un capolavoro, ma il pubblico era ancora ingenuo e gl’interpreti erano giovani e

simpatici; il film ebbe così abbastanza successo, cosa che mi permise di ripetere l’esperimento.

Sempre su questa terrazza, grazie alla buona volontà del mio scarso personale, ai consigli ed alle lezioni di Frédéric Dillaye (consigliere tecnico degli stabilimenti Gaumont ed autore di ottimi libri di fotografia artistica), all’esperienza acquisita di giorno in giorno ed al caso, scoprimmo cento piccoli trucchi…

…Facemmo anche qualche film in esterno. Avendo scoperto, durante una passeggiata a Barbizon, una vecchia berlina, decisi di servirmene per rappresentare il Courrier de Lyon (3). Siccome una compagnia teatrale sarebbe stata” troppo costosa, riuscii a convincere il personale dei laboratori a sostituirla. Con un abbondante spuntino e muniti di costumi ed accessori utili, visto che avevano quasi tutti la bicicletta, prendemmo il treno fino a Melun… Alla stazione, due o tre carrozze i cui cocchieri si consideravano guide della foresta di Fontainebleau, portarono le ragazze poco sportive ed i bagagli, mentre noi andammo in bicicletta verso Barbizon dove ci aspettava la diligenza.

Poi le guide ci condussero in un luogo che giudicavano adatto. Là, dopo aver divorato il pìque-nique, distribuimmo i costumi. Le donne si nascosero alla meglio dietro i cespugli; gli uomini, meno pudichi, si vestirono qua e là. Dovevamo offrire uno spettacolo abbastanza originale, ma per fortuna la foresta era deserta.

Malgrado il fresco dell’autunno, la spedizione fu un successo. L’allegria ed il buon umore ci accompagnarono e ci ripromettemmo di ripetere l’esperimento. Tutti questi films molto corti (da 17 a 25 metri circa), ripresi in condizioni incredibili, contenevano in embrione le odierne realizzazioni. Nel Cinema total René Barjavel dice: “Il cinema muto era bello come un bambino che gioca al sole, ma […] quando i giovani scopriranno, in occasione di una retrospettiva, un film di quell’epoca, lo troveranno piuttosto grottesco e si stupiranno della malinconia dei loro predecessori” . La mia impressione è diversa. Noi avevamo scoperto una sorgente fresca e limpida che rifletteva gioiosamente le graminacee, il crescione ed i salici che la circondavano, dovevamo solo immergervi le labbra per spegnere la nostra sete. Il suo gorgoglio mormorava delle cose, senza dubbio puerili, che essa ci spingeva a raccontare a nostra volta, come un primo messaggio per quanti non poteva raggiungere direttamente e rinfrescare. La nostra sorgente ha seguito il suo corso, si è ingrandita con affluenti meno puri. E’ diventata ruscello, poi fiume, ha traversato grandi città che l’ hanno sporcata con le loro fogne. Da tutte le parti del mondo sono arrivati i cercatori d’oro; hanno rimestato questa melma, di cui ora respiriamo i fetidi odori. Vi hanno piantato alcuni semi i cui fiori avvelenati óra ornano tutti gli altri. Dio voglia che la scienza, tanto potente oggi, riesca a purificare tutto ciò! Ma non stupiamoci della malinconia dei nostri successori. Ora finiamola con il romanticismo e riprendiamo il nostro discorso.

Penso che non proverei alcun piacere nel rivedere i miei primi films. I miei lettori, se ne avrò, devono rendersi conto delle condizioni in cui lavoravamo. Le macchine dell’epoca avevano i magazzini di carica esterni, male adattati, i meccanismi di avanzamento del film non ancora perfezionati; i treppiedi, che erano quelli impiegati in fotografia e che affondavano nel terreno morbido del nostro giardino, non assicuravano loro una grande stabilità. Disponevamo di un solo obiettivo, la trazione della pellicola era ottenuta grazie ad una manovella esterna che funzionava a mano. Il pattino, foderato di velluto, tratteneva la polvere, che rigava l’emulsione. Il mio fedele operatore, Anatole Thiberville (il quale prima di diventare cineasta, se ricordo bene, aveva un allevamento di polli nel Bresse), mi aiutava con una pazienza ed una buona volontà inesauribili. Conservo di lui un ottimo ricordo. Le case concorrenti, che sorgevano con estrema rapidità, si impadronivano delle nostre scoperte non appena le realizzavamo. Zecca, il solo collaboratore che restò con me per circa due settimane prima di raggiungere Pathé, girò Les mefaits d’une tète de veau (film che, in seguito, mi fu erroneamente attribuito). Era interessante perché illustrava il metodo delle pause durante le quali l’oggetto era spostato come in la Momie. Mi raccontò che, prima di venire da noi, vendeva di porta in porta le saponette, che bagnava per aumentarne il peso.

Durante le proiezioni dei films, che avevano luogo a rue Saint-Roch, le reazioni di alcuni clienti erano divertenti. Ne ho visti taluni che, sospettavano che si trattasse di una mistificazione, andavano dietro lo schermo a vedere se ci fossero dei complici che mimavano la scena.

Traduzione di Carla Petrotta

Anatole Thlberville, dello “padre Anatole” , primo operatore di Alice Guy, che fu anche 1′ operatore di Louis Feuillade.

Francis Lacassin contesta la data del 1896 per la “Fée aux choux”. Essa porta infatti il n. 397 sul catalogo Gaumont ed è seguita da una pellicola di attualità dell’agosto-settembre 1900. Inoltre il primo catalogo Gaumont del 1900 dimostra che la produzione di questa casa comincia nell’aprile-magglo 1887, 11 quarto film in catalogo era “Defilé des chars à la ml-carème”, 1887 Parigi.

Uscito sotto 11 titolo “Assassinai du Corrier de Lyon”, dramma 122 metri, aprile 1904.