parlamento europeo

di elezione in elezione

L’analisi del gruppo “Femmes pour l’Europe” può costituire un punto di partenza per una riflessione sull’Europa.

maggio 1979

dopo alcune proposte avanzate negli anni 20 e che all’epoca furono considerate utopistiche, l’idea di una federazione europea divenne popolare negli ambienti antifascisti, (in Italia, in particolare, tra i confinati di Ventotene), e si è sviluppata dopo la seconda guerra mondiale quando erano evidenti le terribili conseguenze cui avevano portato i nazionalismi tradizionali. L’Europa, come proposta politica concreta, si è in seguito andata rafforzando, specie all’epoca della guerra fredda, sia per paura dell’imperialismo sovietico, sia per reazione alla totale dipendenza economica e politica dell’Europa dagli Stati Uniti. All’inizio degli anni ’50, questa aspirazione a un ordine sovra-nazionale aveva trovato, con la creazione della CECA (la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) una sua prima realizzazione minima. Ma con il passare degli anni e la riorganizzazione degli stati nazionali, questa volontà politica si era affievolita. Nel 1954, l’opposizione del Parlamento francese fece definitivamente abbandonare il progetto di un’unione politica e militare che assicurasse la pace tra i popoli europei e la loro indipendenza, Si ripiegò allora sul campo puramente economico, con gli accordi firmati a Roma nel 1957, che davano vita al Mercato Comune e miravano a favorire gli scambi tra gli Stati, la specializzazione e l’integrazione dei sistemi industriali nazionali. Con gli anni, l’iniziativa si dimostrò molto utile, e si consolidò con l’avvio di politiche comuni in vari campi dell’economia, in particolare in agricoltura. Ciò ha favorito i «miracoli» europei, anche se non è riuscita ad eliminare le disparità tra regioni ricche e regioni arretrate della stessa Comunità. Nuovi accordi e nuovi trattati hanno reso sempre più integrate le economie europee, ma hanno anche reso più tecnica e complessa l’azione della nascente burocrazia europea, sicché sempre più difficile è diventato per la gente capire e partecipare. Per anni, i telegiornali ci hanno rimandato le immagini di ministri che partivano o arrivavano da Bruxelles, rilasciando dichiarazioni più o meno sibilline. Sui giornali, le notizie riguardanti la CEE erano spesso confinate nelle pagine economiche, destinate a pochi esperti. Improvvisamente un’ondata di rinnovato interesse per l’Europa si è manifestata, al momento della firma dell’accordo monetario. Il famoso SME ha turbato i sonni non soltanto dei nostri uomini politici, ma ha incominciato a preoccupare anche l’opinione pubblica, che per la prima volta si è chiesta quali potevano essere le conseguenze di un accordo di questo genere, che passava sopra le loro teste. Anche senza capire i meccanismi complessi che regolano questa materia, per la prima volta gli uomini e le donne della Comunità hanno intuito l’importanza che poteva avere una politica monetaria comunitaria nella vita di ogni giorno. Le elezioni a suffragio universale del Parlamento sì svolgono quindi in un momento di maggiore attenzione per l’Europa, anche se, nonostante la fitta campagna elettorale, alla maggior parte della gente non sono ancora chiare le funzioni di questo organismo che non è un vero, parlamento per l’emanazione di leggi ma piuttosto un organo di controllo finanziario e un forum per dibattere idee e suggerire agli organi esecutivi nuovi campi di azione. Come femministe ci sentiamo ancora una volta impreparate di fronte ad una scadenza esterna, estranea ai nostri problemi immediati ma che rischia però di avere conseguenze rilevanti anche per noi. Pascolare interesse riveste perciò, in questo quadro, l’azione del gruppo «Femmes pour l’Europe», che è l’unico gruppo femminista che fin dal suo costituirsi — nel 1975 (vedansi i numeri di giugno 1975 e febbraio 1976 di Effe) — ha intrapreso un’elaborazione e un’azione di informazione dalla parte della donna sui problemi comunitari.

Si tratta di un gruppo con sede a Bruxelles, composto da donne dei nove Paesi della Comunità che si sono riunite nella convinzione «della necessità per le donne di farsi sentire e di assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, quindi anche a livello europeo». Convinte della forza rivoluzionaria ed internazionalista del femminismo, non vogliono che «le donne prendano semplicemente il posto degli uomini nella gerarchia del potere», ma «possano dire qualcosa di nuovo, mettendo in discussione le scelte politiche fondamentali».

Le loro posizioni sono di recente state pubblicate in un volume «Des Européennes parlent de l’Europe», pubblicato in cinque lingue, in una collezione di testi e documenti del Ministero degli Affari Esteri belga, ma redatto in completa autonomia. Questa pubblicazione, che le donne di «Femmes pour l’Europe» non considerano un lavoro definitivo, ma «una tappa nella loro ricerca», è l’unica finora a cui possiamo fare riferimento come femministe — nonostante i suoi ovvii limiti — per chiarirci in parte cosa potremmo chiedere all’Europa. Si articola in varie parti che riguardano non soltanto, le direttive e quanto la Comunità ha fatto per le donne nel campo del lavoro, della sicurezza sociale, della formazione professionale, della difesa del consumatore, ma anche le prospettive a lungo termine, la creazione di un’Europa diversa con il contributo delle donne, i rapporti con i paesi del Terzo Mondo, l’integrazione con Spagna, Portogallo e Grecia. Una parte riguarda infine le posizioni dei vari partiti su questi problemi. Alla sua stesura hanno collaborato anche alcune donne che non fanno parte del gruppo, funzionane della CBE, parlamentari, ricercatrici, sindacaliste che si sono sempre occupate dei problemi della donna a livello europeo. Si tratta dunque di un tentativo di approccio femminista a problemi politici, economici e sociali, che finora sono stati estranei alla nostra elaborazione politica. Come scrive Monique Rifflet nel primo capitolo «L’Europe pourquoi l’aire», «in un periodo di crisi economica, di crisi dei valori, le donne hanno ancora più interesse degli uomini a lottare per costruire una società più umana e più giusta a tutti i livelli. Ci sono dei cambiamenti che possiamo realizzare modificando la nostra mentalità, la famiglia, l’ambiente scolastico e professionale; ci sono riforme da ottenere con una lotta politica a livello comunale, regionale o nazionale. Ma dobbiamo essere consapevoli che ormai certe lotte non possono più condursi se non a livello europeo, in un contesto di solidarietà internazionale. Il nostro diritto al lavoro e alla sicurezza sociale in un’economia ristrutturata, la possibilità di partecipare a tutti gli aspetti della vita sociale grazie a una riduzione dell’orario di lavoro, la salvaguardia dell’ambiente, il controllo dei prodotti alimentari e dell’utilizzazione dell’energia nucleare: sono tutti obiettivi che non si possono raggiungere altrimenti». A questi si aggiunga il diritto ad un uguale trattamento giuridico in qualsiasi Stato di ogni cittadino europeo e in particolare delle donne, ancora largamente discriminate, se sposate con uno straniero. «La Comunità Economica Europea che esiste oggi — continua Monique Rifflet — non è in grado di fare una politica che risulti da una scelta globale della società. La Commissione e il Consiglio dei Ministri sono troppo deboli e sottoposti a pressioni nazionali contraddittorie. Il Parlamento fino ad oggi è stato l’emanazione dei parlamenti nazionali e non ha avuto l’autorità necessaria per controllare e dare dinamismo ai suoi esecutivi. Ora, l’elezione diretta dei deputati europei può essere un’occasione per stabilire degli obiettivi prioritari e per esigere i mezzi istituzionali per realizzarli». Le donne di «Femmes pour l’Europe» si rendono conto del fatto che la complessità della lotta e la sua ampiezza potrebbero scoraggiarci. «Si potrebbe sognare una massiccia astensione (o il voto in bianco) delle donne alle elezioni europee, in segno di protesta. Ma, a parte il fatto che sarebbe difficile da organizzare in modo che possa assumere un significato in positivo, il voto in bianco o l’astensione lascerebbero le mani libere a coloro che già detengono il potere». «Meglio dunque guardare attentamente ai programmi dei partiti e cercare di farci sentire: in favore della pace nella solidarietà, per una crescita qualitativa più che quantitativa», ricordando che ciò che le donne possono portare in politica non sono tanto dei temi nuovi, quanto* un’altra visione, un ordine di priorità diverso.

L’indirizzo di «Femmes pour l’Europe» è: Place Quetelet I/a: 1030 Bruxelles – Belgio – tel. 2196518.

 

cos’ha fatto la CEE

Gli strumenti di cui dispone la Comunità per incidere sulle realtà dei Paesi membri sono quello legislativo e quello economico. Quanto al primo è forse utile sottolineare l’importanza delle due “direttive” del Consiglio dei Ministri delle Comunità, del 10 febbraio 1975 — relativa alla parità di retribuzione fra lavoratori maschili e femminili — e del 9 febbraio ’76 — relativa alla parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale. Le ” direttive ” impegnano gli stati membri all’approvazione di leggi nazionali. Se in Italia è stata approvata la legge n. 903 — sulla parità nel campo del lavoro —, lo dobbiamo al fatto che il nostro Paese è tenuto a recepire i contenuti delle direttive. La comunità ha infatti il potere di mettere sotto accusa gli stati inadempienti e di esercitare un controllo successivo sull’esatta applicazione delle direttive. Una terza direttiva che riguarda le donne, è stata emanata il 19 dicembre 1978 e concerne la parità nel campo della sicurezza sociale. L’altro strumento, quello economico, è rappresentato dal Fondo Sociale, destinato in parte alla qualificazione e alla riqualificazione delle donne dopo i 25 anni per il loro reinserimento nel mondo del lavoro dopo il matrimonio e la maternità. I corsi, che possono essere organizzati da enti e privati, sono finanziati al 50 e anche al 55% dalla Comunità, e allo scopo di rimuovere i condizionamenti culturali e di cancellare la divisione del lavoro secondo il sesso, devono mirare a preparare le donne in attività tradizionalmente considerate maschili. Mediante le direttive comunitarie, molto può essere fatto per cambiare il costume, imponendo ai Paesi membri leggi capaci di rimuovere ostacoli che ancora oggi impediscono alle donne una parità reale e la liberazione dalla schiavitù del “ruolo”. Il compito del Parlamento, se in esso prevarranno forze progressiste dovrà essere quello di controllare che le scelte comunitarie vadano verso una politica dell’educazione, una programmazione delle risorse e una divisione internazionale del lavoro capace di consentire un reale processo di armonizzazione economica e culturale nei nove Paesi. Ma il Parlamento Europeo sarà ancora per questa volta di sesso maschile, perché la presenza delle donne sarà percentualmente piuttosto bassa, si parla di 60 donne su 441 membri.

Del resto la lunga marcia delle donne dentro le istituzioni sta appena cominciando e ancora bisogna raggiungere quella unità di intenti e di azione che è stata necessaria alla classe operaia per ottenere una adeguata rappresentanza e per incidere nelle scelte e nella direzione della cosa pubblica. Ma nessuno può più ignorare la forza di pressione costituita dalla volontà delle donne di cambiare la vita.

e. m.