donne testimoni, donne protagoniste

Da un convegno tenuto ad Amsterdam aspetti e problemi dell’intreccio tra storia orale e storia delle donne.

febbraio 1981

Nella storia orale sono molto presenti le donne”. Si sorprende spesso chi arriva a convegni e riunioni di quello che è ormai un vero e proprio movimento culturale in molti Paesi dell’Europa occidentale, di vedere “così tante donne”. Sorpresa etnocentrica, maschilista e filistea? Certo, ma col briciolo di verità fattuale che balza agli occhi di chi per lavoro frequenta convegni accademici e anche riunioni politiche. Non si può, almeno su questo terreno, ripetere l’eterna divisione consacrata dalla particella e: “le donne e la politica”, “le donne e la cultura”, le donne e il resto del mondo. Qui si deve dire che in larga misura sono le donne che fanno la storia orale o meglio: usano le fonti orali per fare la propria storia e anche quella di altri. Naturalmente non si creda che la storia orale sia un paradiso, senza problemi di conflitti, dominio, prevaricazione. Ma bisogna segnalare la sua differenza, relativa quindi, rispetto ad altri ambiti della cultura e della politica.
Al II convegno internazionale, tenuto ad Amsterdam nell’ottobre 1980, sono state presentate moltissime relazioni e comunicazioni di donne. Non farò qui un resoconto del convegno, un po’ perché era impossibile seguire contemporaneamente la ridda di seminari su temi diversi, un po’ perché i dibattiti non hanno sempre rispecchiato le relazioni presentate (molte persone che avevano mandato i loro lavori non hanno poi potuto partecipare). Estrarrò invece dalle moltissime relazioni quelle che riguardano aspetti e problemi di storia delle donne, cercando almeno di dar notizia della loro ricchezza. Ci sono innanzitutto- i lavori presentati nel seminario dedicato esplicitamente a tale tema. Alcuni seguono schemi storiografici che potremmo chiamare tradizionali — senza alcuna connotazione negativa — nel senso che mostrano quali ampliamenti offrono le testimonianze orali rispetto ai documenti scritti, se si vuol scrivere ad esempio la storia delle donne nel partito comunista britannico tra le due guerre (relazione di Sue Bruley), o rispetto alle statistiche, se si vuole far ricerca sulle condizioni di vita delle donne in un distretto operaio di Oslo dal 1890 al 1930 «(relazione di Liv Emma Thorsen). Gli ampliamenti apportati dalle fonti orali offrono spunti, a chi è attenta a raccoglierli, per riflessioni metodologiche e politiche. E’ questo il caso della ricerca di Dorothée Wierling dell’Università di Esseh sulle storie di vita di circa 20 domestiche, che, anche sulla base di fonti scritte e di letteratura secondaria comparata (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania occidentale), respinge una concezione della storia come riproduzione dei fatti “realmente accaduti”. Il ricordo della propria esperienza appare assai diverso per le donne intervistate rispetto allo stereotipo tramandato non solo dalla letteratura che riproduce il punto di vista delle loro “padrone” borghesi, ma anche da una parte delle femministe socialiste: ristrettezza mentale, frivolezza, senso di inferiorità. L’interiorizzazione delle norme imposte si unisce invece nelle donne intervistate da Dorothée a forte senso del realismo, varie forme di resistenza, vivaci espressioni di individualità. Anche Anna Bravo, nel suo lavoro sulle donne contadine delle Langhe all’inizio del secolo, mostra l’inconsistenza di un altro stereotipo, questa volta di ideologia femminista: la solidarietà tra le donne. Le testimoni narrano invece una storia di solitudine che si incrina solo al momento del parto, quando compare una vicinanza fisica e psicologica tra la madre e la figlia, in una solidarietà, tuttavia “che si fonda sull’identità dell’esperienza e sull’accettazione del comune destino del corpo”.
Il tema o il problema della solidarietà compare anche in altre relazioni, incluse in seminari diversi. Rachele Farina descrive con viva sensibilità l’esperienza del suo rapporto con Felicita Ferrerò: come lavorando insieme a costruire l’autobiografia di Felicita (poi pubblicata col titolo “Un nocciolo di verità”) diventasse prioritario il legame tra le due donne e la dialettica di oralità e scrittura attraverso l’emotività si realizzava. Conseguenza: l’eliminazione del registratore, avvertito come un intralcio al libero dispiegarsi del rapporto. Rachele Farina esprime però molto bene anche le difficoltà della solidarietà tra donne, come ricorda, in altro modo, Naila Clerici, riportando le sue interviste a donne pellerossa negli Stati Uniti. Un baratro sembra dividere la coscienza dell’intervistatrice, che cerca tracce di un’emancipazione interna alla famiglia, da quella delle sue intervistate, tutte attente invece alla rivendicazione della cultura e della lingua Osage, Navaho, Apache. E tuttavia si avverte una convergenza nella profonda simpatia umana reciproca, nell’interesse a capire diversi percorsi.
Una serie importante di relazioni sono dedicate a definire storicamente diversi modi di vivere condizioni simili da parte di donne e di uomini. Operazione determinante, perché strappa a una presunta naturalità le differenze tra i sessi e ne cerca i condizionamenti sociali, oltre che le diverse risposte — che quindi testimoniano forme specifiche di autonomia. Anna Maria Bruzzone delinea la condizione delle donne nei manicomi (di Gorizia, di Racconigi, di Arezzo) con profonda comprensione (si veda la sua raccolta “Ci chiamavano matti”). Ma accanto alla partecipazione umana emergono osservazioni di rilievo per la storia sociale, quali quelle sul diverso modo delle donne di raggrupparsi nella vita di relazione. Giannetta Murra Corriga e Gabriella Da Re, esponendo le loro diverse ricerche sul lavoro delle donne nel sud della Sardegna, convergono nel mostrare che la forte pressione ideologica esercitata dalle norme tradizionali dà origine anche a modi diversi di vivere il lavoro da parte di uomini e di donne. Lo stesso lavoro può diventare spunto di differenziazione, che la discriminazione salariale sanziona. Un complesso intreccio di condizioni materiali e. ideologiche si trova anche in una ricerca di tutt’altro genere, quella di Heather Lyons, di Reading, G.B., su insegnanti e allievi in una scuola inglese degli anni 30. La ricerca di Heather, basata su fotografie oltre che su testimonianze orali, include interessanti considerazioni sull’ideologia della “equal opportunity” di istruzione offerta a ragazze e ragazzi: ne risultano spunti per una storia sociale dell’istruzione che confronti ideologie e fatti, dichiarazioni e realtà.
A due donne di Berlino, Irmgard We-yrather e Karin Eickhoff-Vigelhon, si devono lavori molto stimolanti sui problemi che pongono le fonti orali usate per lo studio di regimi totalitari. Karin e Irmgard fanno entrambe parte del gruppo di storia orale diretto presso la Freie Università!: da Anne Marie Tròger e composto interamente di donne. Da anni queste ricercatrici stanno compiendo studi e interviste su un quartiere operaio, il kiez di Charlottenburg, e stanno ora comparendo le prime pubblicazioni che espongono i loro risultati. Irmgard esprime, nella relazione per Amsterdam, una tesi che è diventata comune a tutto il gruppo nel corso della ricerca: solo attraverso interviste “profonde”, cioè rapporti ripetuti con i testimoni, si mette in luce una dialettica interna all’intervista che rispecchia la realtà e ne permette l’interpretazione. L’esempio portato è quello delle interviste a tre donne, nelle cui testimonianze appaiono contraddizioni sui rapporti di vicinato e di famiglia (isolamento-coinvolgimento). Se questa relazione espone limpidamente anche gli aspetti di “incredibilità” delle fonti orali, quella di Karin fa emergere invece elementi di conferma e verifica delle testimonianze. Un’unica lunga intervista con un ex componente dei “Freikorps”, ormai 87enne, mostra similarità impressionanti tra le asserzioni e proiezioni dell’intervistato sulle donne e sui comunisti da un lato e le fantasie maschili contenute in biografie degli anni 20 (e pubblicate recentemente in Germania) dall’altro.
A questi ultimi lavori vorrei riallacciarmi per esporre brevemente riflessioni suggerite dalle mie ricerche. Al convegno di Amsterdam non ho presentato, come sembrerebbe dal riassunto della mia relazione incluso nei materiali preparatori, considerazioni sulle mie interviste, ma riflessioni di carattere generale sul problema della memoria all’interno della storia orale. Ma finora ho parlato appunto non del convegno — esempio di oralità — quanto dei lavori scritti preparati per esso (uno dei molti casi di differenza tra orale e scritto!). Quindi posso qui accennare brevemente che anche dal mio lavoro emergono differenze di raccontare tra uomini e donne, ma non solo, differenze tra donne di diverse età e di diverse collocazioni sociali, che indicano come dietro il termine “condizione della donna” stiano importanti differenze storiche e culturali, che le interviste ci aiutano a esplorare. La specificità delle memorie di donne non è dunque da intendersi come differenza di -una facoltà psicologica, naturalisticamente diversa dal modo di ricordare degli uomini. E’ una specificità della memoria come atto di comunicazione, come volontà di narrare in un contesto sociale. Ha quindi senso parlarne solo attraverso la determinazione di volta in volta diversa della particolare forma storica che quella memoria assume, e tanto più senso quanto più precisa e puntuale — quasi individualizzante — è l’analisi. In questa fase di lavoro con le fonti orali sembra utile dedicarsi soprattutto all’attento studio e descrizione di molti casi specifici, preparando il materiale per future analisi comparative. L’asse unificante delle ricerche più promettenti mi sembra quello che indaga gli intrecci tra esperienza di vita e memoria narrante, ma rispetta l’autonomia della sfera di quest’ultima. Come ha notato Isabelle Bertaux-Wiame nella sua ricerca sui panettieri parigini, che dà molto rilievo al modo di raccontare delle donne, uomini e donne così come individui di diverse classi sociali “non solo hanno storie diverse da raccontare; ma hanno un diverso rapporto con la propria vita, e quindi con l’ “atto” di raccontarla”.