femminismo e cultura: iniziamo il confronto

«… per iniziare un confronto con la cultura, per produrre in modo diverso, ci si trova sempre a lottare contemporaneamente contro l’esterno e contro noi stesse, contro tutte le introiezioni, sia di contenuto, sia di metodo, della cultura maschilista della quale rischiamo continuamente di essere complici»

marzo 1977

con le studentesse di Sociologia ho partecipato anch’io al Convegno di Napoli, per la parte inerente la donna, di cui parla Mara Montesano nel precedente numero di EFFE.
Nell’articolo oltre errori di conoscenza del tipo di crederci dell’UDÌ, risulta uno stravolgimento del rapporto donne-cultura, dal quale si era partite per partecipare al Convegno: sembra quasi che in quell’occasione siamo riuscite a stravolgere questo rapporto: infatti si dice: «C’è stato un nuovo modo di fare cultura, ove gli studenti sono esseri pensanti, scrutatori della realtà storica in cui vivono, e che questa è una cultura che va dal basso verso l’alto, nella piramide sociale, dove le donne e gli uomini hanno EGUALI CAPACITA’ di pensare, d’intendere e di vedere, di produrre informazioni in una prospettiva non più sterile e degradante per le donne»!!??
Cioè in questo convegno noi donne ci saremmo finalmente riappropriate di una cultura da cui storicamente siamo emarginate; come se bastasse qualche ricerca di donne riferita ad altre donne per risolvere questo rapporto; come se sopra di noi, intorno a noi, dentro di noi, non ci fossero secoli di valori culturali, comportamenti, norme, non nostre, e che per iniziare un confronto con la cultura, per produrre in modo diverso, ci si trova sempre a lottare contemporaneamente contro l’esterno e contro noi stesse, contro tutte le introiezioni sia di contenuto, sia di metodo, della cultura maschilista della quale rischiamo continuamente di essere complici.
Molte di noi nel ’68 hanno iniziato un processo di critica alla cultura borghese, alla cultura «ufficiale», negandola, rifiutandola, iniziando un lento riattraversamento critico per capire ciò che poteva servire alla classe, e ciò che era solo da buttate e da negare. Pochi anni dopo con il femminismo un’altra crisi, un’altra lacerazione, un’altra volta ricominciare, accorgersi che tutto un bagaglio culturale che si pensava di aver bene o male scelto in nome del rifiuto della cultura borghese, si riproponeva come non nostro, esterno, pari pari come nel ’68, anche la psichiatria critica, la sociologia critica, tutta la cultura di sinistra un’altra volta ci escludeva; qualcuna di noi arrivava anche a «far cultura» lo faceva quasi sempre imponendosi modelli maschili, accettando acriticamente contenuti maschili, o «Colta», o «donna» questa era la scelta, (e spesso lo è tuttora).
Per salire le scale del sapere le uniche strade che conoscevamo erano quelle dei maschi, non conoscevamo le nostre rispetto un processo scelto da noi, con i nostri tempi.
Ritornando al convegno, il cui tema era «Proletariato marginale e sottoproletariato», avevamo deciso che anche la condizione della donna doveva essere presente, proprio perché la donna proletaria o sottoproletaria è la più emarginata tra gli emarginati, perché non solo esclusa dal mercato del lavoro ufficiale, pur lavorando sia col lavoro nero, sia col lavoro domestico, ma emarginata anche da se stessa, dalla propria testa, dal proprio corpo, dalla propria vita: in ultima analisi senza una storia determinata da sé, ma con un’identità tutta da costruire.
E noi «le intellettuali», ci ritrovavamo con loro come donne, coscienti però di essere meno sfruttate, di avere tutta una capacità culturale, anche se tutta da rivedere, da riattraversare, non nostra.
Dall’articolo della Montesano viene fuori invece che noi avevamo fatto la «nuova cultura» della parità tra uomini e donne, come se oggi fosse possibile, e non un processo lungo e difficile.
Quando siamo andate là partivamo da alcune considerazioni che oggi si sono ancora più sviluppate. Allora erano che le donne del movimento devono iniziare a far teoria, per colmare la scissione tra le donne che fanno il movimento, e le donne che scrivono sul movimento, tra chi fa il femminismo e chi scrive sul femminismo, parlando di noi, della nostra condizione spesso sfruttando il vissuto, l’esperienza delle altre, senza mai mettersi realmente in discussione.
L’altra considerazione era che le studentesse che avevano fatto le ricerche inerenti la donna dovevano portare i risultati del loro lavoro, anche se coscienti di tutti i limiti, le ovvietà, il rischio della solita «inchiesta-denuncia», nuova merce oggi tanto di moda (specie se riguarda i vissuti delle donne), perché iniziare un processo di riappropriazione della teoria da parte delle donne e non di alcune donne, significava iniziare a misurarsi, non avere paura, non restare chiuse al nostro interno ghettizzandoci un’altra volta; ed inoltre non delegare sempre alle «più brave», ma che le cosidette «più brave» lavorino con le altre donne, non si ritrovino con le altre donne solo nell’ autocoscienza, ma lottino con le altre per una crescita teorica del movimento.
Ho voluto riportare questa esperienza di lavoro, anche sperando che su EFFE o altrove inizi un dibattito, un confronto, sul rapporto donne-cultura, donne-teoria. Così potrebbe finalmente uscire dai gruppi di donne che parlano, discutono di questo, molto spesso le non più giovani, aprendosi a tutte. In vari collettivi si stan facendo in questo senso varie esperienze, alcune anche molto importanti. Penso che collettivamente oggi sia molto importante per non rifare errori, o ripetere esperienze da alcuni magari già superate.
Rispetto le considerazioni di allora oggi altre cose si sono chiarite: rifiutare la cultura maschilista è giusto, ma ciò non significa non riattraversarla. La storia della cultura è storia di continue espropriazioni della nostra esperienza, dei nostri contributi, che dobbiamo andare a ritrovare, a riscoprire, costruendo la nostra storia in tutti i campi ed iniziando anche parallelamente a produrre noi scoprendo in questo processo la nostra creatività che non ci è «data» ma è tutta da costruire.
Penso che solo facendolo insieme, tra donne ce la possiamo fare, la storia della cultura dimostra che le donne che hanno tentato la scalata sono state assorbite, si sono negate, dividendosi ancora una volta dalle altre.
Tutto questo per una cultura dalla par-tè della donna perciò anche femminista in quanto dalla parte di tutti gli sfruttati.