musica

giro di valzer a tempo di jazz

sei donne dell’Associazione Giro di Valzer hanno organizzato la prima rassegna internazionale di jazziste che si è svolta a Roma dal 3 al 7 luglio.

luglio 1979

ci sembra importante riprendere il discorso su questa rassegna, non solo per l’importanza che ha avuto a livello artistico (i precedenti di New York e Kansas City non hanno avuto la stessa connotazione internazionale), ma anche perché questa manifestazione, ideata e organizzata da un gruppo di donne, ha trovato spazio nell’ambito dell’ Estate Romana” con un finanziamento di 60 milioni da parte del Comune di Roma. Ciò non è tanto significativo per la disponibilità dimostrata da chi gestisce una certa politica culturale (e che in questo ha certamente la propria convenienza), quanto perché coincide con la possibilità per le donne di usufruire degli spazi istituzionali che in quanto tali le garantiscono finalmente a livello economico. Per quanto riguarda la rassegna, certamente deluso sarà stato chi si aspettava una panoramica di sola musica jazz “presente invece in questo festival come storia, come citazione, come grande amore, ma non certo come proposizione”. La stessa improvvisazione, d’altra parte, pur essendo un elemento costitutivo fondamentale nella tradizione della musica jazz, non è certamente sufficiente di per sé a connotare jazzisticamente un brano musicale. Il grosso interrogativo che ha aleggiato su questa rassegna è stato comunque quello di capire se e quali fossero le differenze tra un jazz al femminile e un jazz al maschile. Abbiamo incontrato molte delle musi-ciste intervenute e con loro abbiamo parlato delle possibili differenze formali o di contenuto, delle difficoltà di approccio per una donna alla musica jazz, dell’improvvisazione come elemento musicale predominante. Le risposte sono state spesso contraddittorie.

Alla visione della musica come “militanza femminista” che rende indispensabile per il Femìnist Improvising Group il lavorare tra donne e per le donne, si contrappone una concezione del tutto differente in cui la musica è musica senza alcun sesso. “Noi dobbiamo lottare per la musica tutti insieme, uomini e donne — ci ha detto con fermezza ed irritazione Betty Carter —. Non ci sono differenze di sesso: la tecnica è quello che conta. La donna oggi non incontra maggiori difficoltà di un uomo se vuole fare del jazz, ma “deve” volerlo fare. Il linguaggio musicale è universale; noi dobbiamo lavorare con gli uomini e suonare con loro, non ha senso chiudersi in un ghetto: lo scopo deve essere quello comune di diffondere la musica e comunicare attraverso di essa. Non ho scelto il jazz per lottare, ma il jazz ha scelto me”. Opinioni estremamente discordanti, dunque. Tra i colloqui e le interviste ottenute con le musiciste presenti in questa rassegna ve ne proponiamo tre, che ci sembra riassumano abbastanza bene le contraddizioni, i punti di vista e le problematiche esistenti all’interno dell’evoluzione e della ricerca di un nuovo linguaggio musicale delle donne nel jazz.

Amina Claudine Myers

Se sai suonare e fai la tua musica nessuno sta a guardare se sei un uomo o una donna”.

Durante questo festival, la Myers ha suonato il piano e cantato accompagnata da Carline Ray al basso e Paula Hampton alla batteria. “Ho cominciato a cantare da piccola suonando l’organo in chiesa. La musica popolare nera e il fatto stesso che mia madre cantasse hanno avuto una grossa influenza su di me. Quando cominciai a studiare musica mi resi conto di sentirmi fortemente attratta dal jazz e così decisi di studiarlo. Oggi la musica è la cosa più importante nella mia vita ed il jazz è l’unico modo in cui riesco veramente ad esprimermi. Ma all’inizio non credo che ci sia stata in me una decisione specifica nel senso di una scelta finalizzata ad una lotta politica e sociale; semplicemente amavo il jazz e lo amavo perché mi piaceva e mi piaceva perché attraverso questa musica riuscivo ad esprimere la mia creatività. Non lotto e non combatto perché non ho mai dovuto lottare o combattere per fare quello che volevo fare: ho sempre suonato la mia musica sia con uomini che con donne, non ho mai avuto problemi particolari neppure per il fatto di essere una donna di colore. Certo all’inizio può succedere che una donna incontri qualche difficoltà. Ci sono uomini che non vogliono donne nella propria “band” o casomai le cercano solo perché suscitano curiosità e “fanno cassetta”. Ma se una donna è brava, se ci sa fare, non ci sono problemi. Non credo proprio che ci sia una differenza tra il modo di suonare, di fare jazz, degli uomini o delle donne. Forse le donne hanno avuto meno possibilità di suonare, ma quando sono lì e suonano, non c’è nessuna differenza. Anche nell’improvvisazione per esempio: quando improvviso collettivamente, che gli altri musicisti siano uomini o donne, per me è lo stesso, l’importante è capirsi, è instaurare un dialogo. Quando si suona la musica è la prima cosa; però è fondamentale saper suonare, essere all’altezza della situazione musicale in cui ti trovi: se tu sai suonare e fai la tua musica nessuno sta a guardare se sei uomo o donna. Quando improvviso negli “a solo” è diverso: io mi ascolto ed è come se qualcosa agisse attraverso di me, al di là della mia stessa volontà. Io canto e suono, improvviso e non so neppure io da dove provengano quei suoni, dove vanno e dove mi porteranno, so solo che devo continuare…”.

Terry Quaye

Fra il jazz delle donne e quello degli uomini esiste la stessa differenza che c’è nella vita di tutti i giorni tra un uomo e una donna”.

Originaria del Ghana, vive in Inghilterra, In questo festival ha suonato tamburi, conghe e xilofoni. “Sono nata in Inghilterra, ma la mia famiglia è dell’ Africa Occidentale. Molti dei miei parenti erano musicisti ed io ho cominciato a cantare e suonare da quando avevo undici anni-. Ho scelto i tamburi e le conghe perché sento una grande affinità con questi strumenti, poiché sono di colore e per me è come tornare alle radici del mio popolo.

In Africa i tamburi erano l’unico modo per comunicare. Poi la civiltà occidentale ha soppresso questo mezzo di comunicazione, l’ha censurato: ma tanto più questi suoni scompaiono e vengono soppressi dalla civiltà, tanto più è importante recuperarli. Voglio dimostrare che con i tamburi si può fare musica, si possono sentire tutte le note e il timbro, si può esprimere il sentimento; ma per fare questo devo ritornare indietro nel tempo, alle mie tradizioni africane, solo così posso trasmettere il mia messaggio agli altri dal cuore stesso della natura. Per molti anni ho suonato in un gruppo di musicisti uomini: erano degli ottimiprofessionisti, ma con loro non riuscivo ad esprimermi. Così ho pensato di formare un gruppo di sole donne, per poter finalmente suonare la mia musica.

Da allora ho sempre cercato di suonare in formazioni di sole donne, purché fossero professionalmente qualificate. Per molti gruppi di donne sorti di recente che fanno musica, la priorità va al sesso, per me la cosa più importante è invece il livello di professionalità raggiunto, così quando non trovo questa professionalità tra le donne allora suono con gli uomini. Certo, non è la stessa cosa. Penso che tra il jazz delle donne e quello degli uomini esista la stessa differenza che c’è nella vita di tutti i giorni tra un uomo e una donna. Una donna può suonare solo come una donna, ma molte di loro credono ancora che per suonare come un vero musicista, bisogna suonare come un uomo. Questo è assurdo. Se tu ascolti una donna che suona come una donna, ti accorgi che è una musica che viene dal suo cuore, che la mette a nudo, perché quando le è permesso finalmente di esprimersi diventa più vulnerabile, e questa è una cosa bellissima. L’uomo invece suona più per impressionare chi ascolta, per rendersi interessante ed esibirsi, per questo è assai meno vulnerabile. Ma se una donna cerca di avvicinarsi alla musica jazz, anche se è brava incontra moltissime difficoltà. Le stesse poi che incontra quando tenta di uscire fuori dal suo ruolo e dalla sua famiglia. Certo, c’è sempre qualche uomo che capisce ciò che vuoi e se vali, ma la maggior parte delle volte è una lotta. Allora la cosa più importante è arrivare al punto cui tu vuoi arrivare superando la paura: io sono una donna e sono una percussionista, ma la cosa più difficile è essere una donna-percussionista. Suonare con gli uomini significa suonare in modo competitivo, ma con . le donne è diverso perché non c’è competitività e dunque non c’è paura”.

Jeanne Lee

Uso la. mia voce come uno strumento e danzo ciò che canto : questo è l’unico modo che conosco per esprimermi”.

Insieme alle danzatrici Roberta Esca-milla Garrison e Rrata Christine Jones, questa cantante ha proposto nell’ambito della rassegna alcune interazioni di danza e musica. Le sue per-formances hanno quasi sempre una struttura coreografica e comunque lei stessa unisce al canto il movimento del corpo.

“E’ difficile dire quale significato abbia la musica nella mia vita: per me il canto è la vita.

Amo la poesia, e attraverso di essa mi sembra di capire meglio la vita stessa. A due anni mio padre mi ha insegnato a cantare e a tre e mezzo recitavo già in teatro, in piccole commedie o musicate. Alla scuola superiore mentre studiavo musica e cantavo Bach e Mozart, durante i week-end cantavo jazz con la banda della scuola, o il blues con gli amici del mio quartiere. Al college, in seguito, ho studiato coreografia e danza e mi sono avvicinata sempre di più alla musica moderna attraverso Bartock e Schoenberg. Ho poi cominciato a comporre musica e poesia. Non mi piace cantare la musica degli altri: le canzoni d’amore e lo stesso blues non hanno significato per me. Molte di queste composizioni parlano di donne sconfitte in relazioni con uomini e fanno della donna una eterna vittima: ed io non amo sentirmi una vittima. Ho molto di più da dare dentro di me e cerco di esprimerlo componendo musica, danza e poesia. In realtà improvviso sempre ed anche alle danzatrici non dò che dei temi fondamentali, su cui possono improvvisare a loro volta. Amo molto la danza: quando canto sento vibrare tutto il mio còrpo così profondamente da coinvolgere anche la mia anima. Uso la mia voce come uno strumento e danzo ciò che canto e questo è l’unico modo in cui sento di esprimermi. Danzando e cantando celebro la mia vita e quella di chi mi circonda per fare esplodere l’energia che è dentro ed intorno a me.

Essere donna di colore in America è molto difficile. Economicamente una coppia bianca guadagna più di una coppia nera, ma un uomo di colore guadagna comunque più di una donna di colore. Per sopravvivere allora, una donna nera deve avere molto coraggio, molta pazienza, molta forza e combattere di più per avere il giusto: così ho coonsciuto la forza, l’ironia e l’amore. La forza non deve essere usata solo per colpire ma per crescere e per costruire. Appartengo alla tradizione delle donne nere e ne sono orgogliosa e non vorrei essere nessun’altra cosa. D’altra parte non ho mai avuto dubbi che sarei diventata ciò che volevo diventare,e allora non mi importava d’essere nera, d’essere donna e d’essere americana…”.