i bambini di tutti

gennaio 1977

la maternità non è facile. Ed è anche piena di contraddizioni. Qualunque cosa si dica, non è certo un dato immutabile identico a se stesso in tutte le società e in ogni epoca, ma è una realtà storica che assume numerosi e diversi aspetti. Se è vero che sono sempre le donne che biologicamente mettono al mondo il figlio, è pur vero che la maniera di partorire è diversa, come pure i primi contatti della madre con il bambino, il modo di nutrirlo, di allevarlo e in genere tutti i legami che uniscono madre e figlio. La maternità è dunque un concetto e una realtà relativa, e dobbiamo chiederci a che punto è nel mondo contemporaneo e quale sarà la sua evoluzione. Senza uscire dall’Europa, constatiamo che mai prima di oggi la responsabilità materna è stata così esclusiva e costretta nell’ambito famiglia nucleare (padre, madre, bambino).
Nella famiglia allargata (che comprendeva nonni, zii e zie.) che si è progressivamente ristretta con l’avvento dell’era industriale, il bambino non vive costantemente a contatto con la madre: ha rapporti con tutte le altre donne (e tutti gli altri uomini) della famiglia, il che ripartisce e moltiplica in qualche modo la funzione materna.
Inoltre l’habitat e l’ambiente sono ancora tali da far sì che il bambino non rimanga chiuso nel suo alloggio individuale ma partecipi alla vita della strada o giochi con i compagni o faccia visita ai vicini. Bisogna aggiungere, come ha ben dimostrato Philippe Ariès, che in questa situazione il passaggio dall’infanzia all’età adulta non è così netto come lo diventerà con la scolarità generalizzata e obbligatoria. Infine il luogo dove è racchiusa la donna, la «casa», è ancora un nucleo di produzione economica, dove la donna non è isolata ma legata alla collettività.
Oggi il rapporto della madre con il figlio o i suoi (due…) figli è divenuto tra i più ossessivi. Si tratta di un contatto continuo faticoso sia per la madre che per i figli. La madre, anche per un solo figlio, deve dedicare ore intere alle passeggiate nel parco, alla preparazione dei pasti e ad altre attività che castrano la sua immaginazione e annientano le sue forze. Molti bambini si annoiano. Molte madri, nonostante tutto l’affetto che nutrono verso i figli, si augurano che i periodi di riposo si allunghino il più possibile. Ciò che il bambino può scoprire attualmente nell’ambito della famiglia nucleare e nel suo habitat funzionale minimo (quando ha la fortuna di goderne) è molto limitato: come d’altronde ciò di cui può godere.
D’altra parte sul piano psicologico, questo legame quasi esclusivo con la madre( dato che il padre sovente ha soltanto il ruolo di ospite notturno o domenicale) è particolarmente ristretto. È solo tramite la madre che il bambino ha un rapporto con il mondo esterno: è lei che, per forza di cose dirige e polarizza i suoi divertimenti, sia in funzione della norma e dei divieti sociali che essa consapevolmente o inconsapevolmente porta in sé, sia, come accade più spesso oscillando, divieto e norma.
Questa limitazione, che giunge al soffocamento del rapporto parentale è più precisamente materno, viene ancor più accentuata dal fatto che per la donna il bambino diventa ragione di vita e a volte la sua giustificazione.
La maggior parte delle donne investe tutto in questo rapporto e si rispecchiano nei loro figli. Questo investimento — che può raggiungere uno stato patologico — era meno accentuato in passato perché la famiglia aveva un carattere meno restrittivo e restava, anche dal punto di vista economico, aperta sulla società.
Inoltre i bambini nascevano e morivano in maggior numero. Si constata infatti che nelle civiltà con alta mortalità infantile, l’attaccamento al bambino come individuo non intercambiabile è molto meno intenso). Senza voler riprendere il luogo comune sottilmente antifemminista che consiste nel dare alle donne tutte le colpe del mondo, dobbiamo constatare e riconoscere che, nella congiuntura attuale, la loro esistenza rischia di pesare troppo sulla vita del bambino piccolo e grande nell’ambito di quella struttura familiare ristretta quale è la nostra. Sottolineiamo dunque che se le madri esercitano un grosso peso affettivo, esse non dirigono la formazione del bambino secondo le loro norme, ma non fanno altro che trasmettergli le norme e gli usi sociali attraverso un complesso sistema di divieti retto da una visione patriarcale.
che cosa è la famiglia?
Se parlando del rapporto bambino-famiglia ci riferiamo ad esso come rapporto essenzialmente con la madre, non è certo per caso ma per una situazione di fatto: oggi, nelle attuali circostanze il rapporto parentale è il più delle volte un rapporto con la madre, anche quando la famiglia comprende un padre. Sposate o no, noi siamo o ‘ diventiamo in un certo modo, volenti o nolenti, madri nubili e ci assumiamo in pieno la responsabilità dell’educazione quotidiana, anche quando siamo «aiutate» nei nostri compiti da un compagno ed anche quando questo ha il peso del carico finanziario della famiglia. La famiglia nucleare dell’età industriale non è una entità globale in cui i ruoli e i compiti sono egualmente ripartiti e intercambiabili, ma una aggregazione di individui grandemente differenziati, ciascuno con un suo posto definito e gerarchizzato il cui supporto è la madre.
La famiglia è composta da un padre interamente occupato nella produzione al di fuori della casa, una donna incaricata della riproduzione e qualche volta utilizzata anch’essa nella produzione, uno o due bambini giuridicamente e economicamente «incapaci». E anche se la famiglia si compone di un numero maggiore di membri, la sua animazione permanente, la messa in moto dei suoi meccanismi, è affidata sempre più esclusivamente alla donna. L’uomo, soprattutto tra i 30 e i 50 anni non ha il tempo né il desiderio di «giocare alla famiglia». Egli si contenta il più delle volte di provvedere al mantenimento di questa, quando non se ne sbarazza con un divorzio. Divorzio o separazione sono d’altra parte sempre più probabili statisticamente, cosicché ci si può chiedere se la donna che desidera avere dei figli non farebbe bene a considerare il fatto che molto probabilmente dovrà allevarli da sola, e se la famiglia non va riducendosi poco a poco al solo rapporto madre-figlio, dal momento che il padre, o il compagno, diventano sempre più aleatori.