ballo

il corpo danzante

Desiderio di musica, desiderio di danza. Le donne in questi anni entrano a far parte delle “masse danzanti” del travoltismo. E’ una moda o è la ribellione del corpo?

giugno 1979

si è detto e si dice di John Travolta e del travoltismo. Si è detto e si dice dei corsi di danza contemporanea e delle scuole popolari di musica. Si danno giudizi di valore. Nella discoteca, nella disco-music si vuol vedere il sociale che regredisce, il disimpegno, la manipolazione di masse amorfe da parte del Potere; le Majors, il capitale americano pianificato su scala mondiale il consumo di musica, indicandone tutte le possibili modalità di fruizione; a queste operazioni il mercato risponde, e in massa. E’ alienazione, è bisogno indotto. Torna in modo ossessivo il solito “discorso critico” che presuppone, dà per scontata la stupidità delle masse. Stupidità… tanto più che queste masse si lasciano affascinare dal mito proposto e sembrano crederci, sembrano crederci senza riserve.

Non manca la proposta alternativa, viene indicato il modo positivo di far musica e danza: la danza contemporanea e le scuole popolari di musica. Si tratta qui di prendere coscienza di un bisogno e quindi di liberarsi. Deve essere una consapevole scelta politica che dia riappropriazione del corpo e della creatività.

Di fronte ad una realtà sociale misteriosa ed ambigua, che non si riesce ad interpretare, torna un atteggiamento morale, si manifesta indicazione, scandalo; le masse poiché rifiutano di partecipare agli ideali illuminati e progressisti continuamente indicati dal “Sapere” vengono liquidate con disprezzo e dette alienate, manipolate, passive.

Queste “masse danzanti” non fanno emergere invece delle realtà — il corpo, il mito — su cui il Potere ha sempre lavorato, ha sempre cercato di mantenere il controllo? 11 Potere non si è sempre preoccupato di controllare il corpo, di addestrarlo a comportamenti, gesti, posizioni, movimenti? Abbiamo visto corpi marciare; vediamo la vita politica ufficiale mettere in scena corpi che officiano cerimonie (forme di ritualizzazione del potere); abbiamo visto concedere, in luoghi consacrati dalla cultura ufficiale, spazi ad una espressività corporea che fosse “Arte”.

Ci si scandalizza, ed è comodo, dei corpi “ballanti” la disco-music; giudizi immediatamente Ideologici o estetici giustificano, per ora, i corpi della danza contemporanea.

E non per nulla il corpo, il mito e la danza sono stati gli aspetti forse più eclatanti delle provocazioni a realtà di potere, provocazioni venute in prima istanza dal movimento femminista e, successivamente, dal movimento del ’77. E’ così stato innescato un meccanismo, è stato buttato un sasso nello stagno e i cerchi si sono allargati fino a toccare realtà diverse, tanto diverse da sembrare opposte. Le posizioni critiche del “Sapere” sembrano voler negare qualsiasi ipotesi per una diversa comprensione di questi due fenomeni — il ballo e la danza — che si vogliono far apparire così distanti tra loro.

Un’ipotesi: il bisogno espresso da queste due realtà «così diverse» è lo stesso. La risposta di massa alla discoteca ci parla di una realtà di desiderio che a nostro giudizio non si discosta poi molto da quella che emerge dall’aumento costante delle iscrizioni a corsi alternativi di danza e di musica (purché non si continui nel caricare queste due realtà di valori-giudizi ideologici e morali).

In un momento di crisi del linguaggio, di caduta del senso logico, di opposizione alle tradizionali forme di razionalità assistiamo all’emergenza di un bisogno di liberazione, di scarica, di riappropriazione di modalità di relazione interpersonale non mediate dal linguaggio, dall’analisi; modalità che tentano di superare il linguaggio per arrivare ad una comunicazione diretta, instintuale.

Cosa emerge da questo desiderio di musica? Perché interpretarlo soltanto come fuga dalla realtà? Non vediamo forse emergere un altro reale?

E pensiamo ad un rapporto’ con la musica che supera l’ascolto. Ci si muove a tempo di musica (vuoi nei ritmi ripetitivi ed ossessivi della disco-music, vuoi del gesto alternativo e liberatorio della danza contemporanea): spesso si danza ad occhi chiusi, il corpo assorbe il ritmo e restituisce l’unità corpo-musica-danza. La musica, il ballo, il sonoro… Il «bagno sonoro» in cui è immerso un corpo di bambino fin dalla nascita e prima.

E quale sonoro assorbe un bambino? Il suono di un linguaggio, affrancato dal senso logico, dai significati del Linguaggio, e carico di significazioni affettive; i toni della voce di una madre che Iniziano a tessere intorno a questo corpo di bambino là rete simbolica per il futuro scambio con il sociale. L’oralità del rapporto con la madre non è solo nel nutrimento ma anche in questo scambio di suoni privi di ogni altro significato che non sia quello affettivo, viscerale, costruito sulle emozioni. Suoni attraverso i quali si articola il desiderio e si vanno strutturando forme musicali. Il rapporto del bambino con la madre è un rapporto di desiderio mediato in prima istanza, oltre che dal corpo, dal suono della voce. Di qui le radici profonde del sonoro nel nostro essere, la primordialità del sonoro nella costituzione della nostra esperienza. Ma il desiderio è per definizione inesauribile, la possibilità di appagarlo e sempre altrove.

E, secondo noi, è questa realtà di desiderio che dobbiamo assumere per avvicinare i perché dell’attuale esasperata ricerca di sonoro, di musica, di movimento. Ricerca che oggi salta agli occhi e che ha scatenato le risposte del «Sape- ‘ re». Un Sapere che vuole la ricostituzione dell’unità del discorso critico, che ricorre a categorie morali (il Bene e il Male), ad un’etica ideologica che metta a tacere l’ansia di essere spettatore di una realtà che non si riesce più a comprendere. Un Sapere che non vede l’insufficienza delle categorie crìtiche dominanti dalle quali, mai come oggi, nessuno più si sente garantito (o pochi ancora). Qual altro «reale», dunque? La «risposta» può essere nei vuoti (colmi di domande sospese) aperti dalla soddisfazione-insoddisfazione del rapporto con la madre, aperti dal rapporto con i modi di un femminile che ci portiamo dentro e che vive relegato nel quotidiano, nel privato.

 

educate con la danza

Ci siamo incontrate con Gillian Hobarth, insegnante di danza classica e moderna, perché ci parlasse della singolare esperienza vissuta con dei bambini e le loro madri. Non credo che mi capiterà, ancora di vivere un’esperienza tanto meravigliosa come quella che ho avuto, alcuni anni fa, con delle mamme e dei bambini.

Avevo allora molti piccoli studenti stranieri, alcune delle loro madri erano musiciste e frequentavano spesso le lezioni per vedere cosa facevamo, si interessavano molto all’essenza del movimento. E suonavano. Si creò così una situazione molto particolare, molto strana.

L’esperienza nata così, in modo spontaneo, si andò pian piano formalizzando e durò per due anni. Fu l’occasione per vedere quanto il movimento potesse creare una situazione di creatività, cosa si potesse tirar fuori da noi tutti in questo incontro: creare un momento magico insieme. L’idea non era di insegnare al bambino una tecnica: qualsiasi essa fosse, sarebbe stata la rovina; l’idea era di aprirsi sempre a nuove situazioni con gli stimoli che la musica e il ritmo hanno su di lui. Era la possibilità di esprimerci e di creare liberamente ogni volta, in modo nuovo. Era molto importante per il bambino esprimersi piuttosto che esprimere qualcosa. Capire, per esempio, cosa faceva se saltava: sentiva qualcosa sotto i piedi? o si sentiva volare? o chiuso nello spazio? Il bambino deve vivere la gioia che gli dà il movimento, capire che senso di liberazione gli offre, cosa gli succede dentro.

Ai bambini la musica piaceva molto, gli piaceva soprattutto poter creare la propria musica. Si facevano anche altre cose, i bambini mentre si muovevano dipingevano su dei grossi rulli di carta.

Ogni lezione era determinata dall’esperienza che di volta in volta il bambino portava nella classe, e rispetto alla quale io poi reagivo. Forse è proprio questo il lato più interessante: il rapporto tra l’insegnante e il bambino.

La difficoltà che noi insegnanti troviamo con i bambini viene dalla famiglia: i condizionamenti e l’educazione che impartisce. La famiglia ha una tale influenza sul bambino che dopo un po’ noi insegnanti, che cerchiamo veramente di educarlo danzando, lo perdiamo. Il bambino sin dai primi mesi di vita viene condizionato dal rapporto con la madre che difficilmente gli si saprà rivolgere con uh grido libero, ma lo coccolerà, lo vezzeggerà, avvolgendolo in una orrenda e terribile, placenta: allora ha già perduto il proprio corpo, la propria mente, la possibilità di decidere. Solo nell’età matura, quando spesso è ormai troppo tardi, si tenta di recuperare questa spontaneità perduta, ma per far questo l’adulto opera una scelta ben precisa, mediata culturalmente, alla ricerca del movimento, della propria dimensione corporea perduta. Sta scomparendo anche la danza popolare, folcloristica: quello che era la danza per i popoli, per noi occidentali non è più. Le cose non potevano continuare così, ed ecco che si assiste al rifiorire delle scuole di danza e di musica. Credo che in questo senso la danza moderna sia più funzionale della danza classica ad una immediata riscoperta del proprio movimento e del proprio corpo.

Che sia la donna, poi, ad avvicinarsi maggiormente alla danza dipende forse dal fatto che la donna si muove in modo estremamente più viscerale dell’uomo, più emotivamente: ogni sua sua cosa si esprime nel movimento. E poi la donna ha un senso di competitività diverso da quello dell’uomo e, quindi, riesce meglio ad imporsi in un campo dove non deve scavalcare un muro istituito dall’uomo e fatto di uomini. Non ci hanno lasciato molto spazio. Si sente questo gran ridere continuo, questa grettezza: è orribile essere donna in certi momenti, è orribile il dover rispondere con la stessa aggressività di un uomo.

corsi per le femministe  

Elsa Piperno, direttrice del Centro Professionale di Danza Contemporanea e della Cooperativa Teatrodanza Contemporanea di Roma, è attualmente uno dei personaggi più rappresentativi nel campo della danza moderna. L’abbiamo intervistata perché ci parlasse della sua esperienza di danzatrice e di insegnante.

Come e quando ti sei avvicinata alla danza?

Per me la danza non è mai stata una scelta, è veramente qualcosa che mi è capitata addosso. Non so fino a che punto possa aver influito il fatto che io sia nata in Africa, a Mogadiscio. Ma ho veramente la sensazione, senza voler fare della mistica, di essere stata scelta a fare questa cosa. La scelta c’è stata invece nel caso della danza moderna, dopo essermi scontrata a lungo con la rigida disciplina del “balletto”. Mi sono trasferita a Londra dove, grazie anche all’aiuto di mio marito, ho potuto studiare per alcuni anni la tecnica di Martha Graham.

A che tipo di aiuto ti riferisci?

Abbiamo prolungato il soggiorno a Londra per il mio lavoro e mio marito ha dovuto, per questo, rinunciare alla piena realizzazione professionale; affinché io mi realizzassi lui ha dovuto rinunciare. Questa inevitabile ruolizzazione, nel rapporto di coppia, fu poi la causa del nostro divorzio. In fondo, io ho finito per fare l’uomo e lui la donna sacrificandosi come moltissime donne sacrificano la propria personalità, la propria creatività per mandare avanti il loro uomo. Per questo non credo più nei rapporti di coppia e tantomeno nel matrimonio, benché sembri che la famiglia sia rimasta l’ultimo baluardo contro la solitudine; io ho scelto la solitudine. Sono una persona veramente sola; di fatto non posso dire di avere degli amici.

Ma la tua solitudine, i mancati rapporti d’amicizia, non pensi dipendano anche dal non avere tu una disposizione emotiva reale verso l’esterno?

Questo è quello che mi imputa anche mia sorella, che sta nel collettivo di Pompeo Magno, quando mi dice «la tua attività, le tue scelte sono il tuo surrogato, il surrogato delle tue amicizie e questo ti basta». Ma non è così; non è vero che mi basta.

Ti riconosci come femminista nell’attività che svolgi?

Io credo di essere femminista; ritengo, tutto sommato, che l’attività che svolgo sia una pratica femminista. All’apertura di questa scuola c’è stata una grossa presenza di femministe che poi se ne sono andate. Infatti la fama è quella della scuola rigida. Ma d’altra parte io non credo nella liberazione superficiale del corpo; quello che io voglio fare qui è insegnarti a conoscere il tuo corpo e te lo insegno attraverso una tecnica perché questa è quella che io so, è quella che io ho scelto. Ma non voglio insegnarti uno stile, e, al limite, nemmeno una tecnica: la mia ambizione è che attraverso l’insegnamento le persone acquistino sicurezza del proprio corpo, un corpo attraverso il quale potersi esprimere. Questo è determinante a livello psicologico per poter combattere ciò che ci disturba all’esterno.

Come riesci a recuperare nei ritmi ripetitivi delle lezioni il “potenziale umano” di cui parli?

Non so se riesco a recuperarlo nella sua totalità. Sono frustrata e profondamente avvilita dal dover trattare tutta la gente che mi circonda da manager. Ma purtroppo sono costretta in un meccanismo che mi stritola. Bada bene, il tragico è che non mi si chiede di più a livello creativo, di affinamento delle mie capacità specifiche, mi si chiede a livello di operatività, di burocrazia, di efficientismo.

Non credi che siano le scelte che hai fatto a costringerti in questo meccanismo?

Ma non sono delle mie scelte, cioè alla fine sono delle mie scelte, perché di fatto sono costretta a dare più tempo ad una cosa piuttosto che ad un’altra. Ma è anche un fatto che più dimostri la tua disponibilità più vieni fagocitata in un processo di delega; persone che ti ributtano addosso continuamente ogni sorta di responsabilità. E’ anche per questo che mia sorella mi ha recentemente accusata di essere un “maschio capitalista”….

La competitività. Come donna non hai problemi rispetto alle altre donne della compagnia, e non hai paura di preparare con l’insegnamento una danzatrice più brava di te?

La competitività è un elemento ricorrente anche tra le donne che hanno maggiore coscienza, competitività a livello emotivo perché le donne non hanno ancora recuperato una emotività tra donne; la solidarietà è ancora una cosa di là da venire. Di fatto, così come è composta la compagnia, sono tutte ragazze che hanno studiato con me e, disgraziatamente, non c’è ancora un rapporto paritario, c’è tutto sommato un riproporre l’insegnante come la mamma, colei che dà: la madre. Né ho paura di creare danzatrici più brave di me: a livello tecnico già ce ne sono. Ma poiché per me la danza non è un fatto di tecnica ma un fatto di personalità, non credo che ci sarà mai nessuno che possa superare me in quello che io so fare, perché non c’è un’altra persona che possa essere me: il nostro “essere” non è ripetibile.

Cosa hai chiesto alla danza e cosa senti di poterle chiedere oggi?

So di essere una delle migliori insegnanti di danza in Europa; sono una brava danzatrice, potrei esserlo stata molto di più; non credo di essere ancora una coreografa. Quello che chiedo oggi è di poter coreografare: avere la libertà di esprimermi senza essere condizionata dalla paura di sbagliare, avere il coraggio di fare delle cose, di fare e anche di sbagliare.

il matriarcato della danza moderna

E’ dalle avanguardie femminili della danza di questo secolo che nasce l’eresia: la ricerca si volge a nuovi moduli espressivi, che prescindano completamente dagli schemi imposti dalla lunga tradizione accademica. Isadora Duncan, Ruth St. Denis, Martha Graham, Doris Humphrey, Mary Wigman, Anna Sokolow proclamano la loro indipendenza dal conformismo ballettistico, rivendicando la potenza del movimento espressivo nella considerazione fermamente anti-dualistica dell’individuo come totalità, e cercano gli spunti per la creazione coreografica nella concreta esperienza psicologica e sociale dell’uomo contemporaneo. Il gesto viene, stimolato a partire dagli impulsi emozionali, esplorati come fonte elementare del movimento, e si sviluppa secondo variazioni dinamiche, Il lessico definito e definitivo della danza accademica trova la sua negazione nel dinamismo energetico della danza moderna, che sfugge alla cristallizzazione in strutture fìsse. Fino agli anni 40, la “modem dance” americana resta caratterizzata da questa ricerca femminile delle più intime radici del movimento organico, intese come base necessaria allo sviluppo di una danza teatralmente significativa. Ed è per questo che nelle coreografie di quegli anni risalta di continuo il richiamo al simbolismo psicanalitico. Ma con la seconda generazione della “modem dance”, la danza torna ad essere terreno creativo maschile. A partire dagli anni 50, nella coreografia statunitense risaltano i nomi di Merce Cunningham, Alwin Nikolais, Paul Taylor. La distinzione tra- i due stili si fa talmente netta, che quasi si potrebbe dividere la storia della danza moderna in una prima epoca femminile (e, più o meno consapevolmente, femminista) e in una seconda fase maschile. Qui, infatti, la ricerca diventa esasperatamente anti-espressionista, tutta rivolta all’esplorazione del movimento come realtà cinetica autonoma. La differenza è chiara, intenzionale: Cunningham e Nikolais lanciano una sorta di sfida al precedente imperialismo coreografico femminile, accusandolo di aver affondato la danza nell’isterismo. Viene così radicalmente negata l’esplorazione della psiche umana come stimolo primario all’espressione corporea.

Nikolais accusa Martha Graham di essersi troppo interessata al sesso, alla libido come forza dominante e necessità unica del genere umano. I corpi dei suoi danzatori si trasformano in marionette dell’immaginazione, cancellando i limiti dell’essere soggettivo. Cunningham, da parte sua, esplora la ricchezza .del movimento puro, liberato da qualsiasi reminiscenza psicologica.

In tal modo, gli eredi di Martha Graham rifiutano il matriarcato della danza moderna, che si elaborava a partire da sensazioni e significati immediati. Con Cunningham e Nikolais la danza torna ad essere, paradossalmente, arte del movimento, proprio come accadeva nel balletto classico, sebbene con risultati formali completamente diversi: la negazione del passato prossimo si esprime nella riconciliazione col passato remoto. Ma i figli ribelli della “modem dance”, attribuendo al contributo della Graham il senso riduttivo di ricerca semplicemente espressiva, sembrano aver trascurato una considerazione fondamentale: tutto ciò che essi creano al presente, nasce soltanto grazie al presupposto di un’idea di corpo nuovo, quel corpo che per ‘ secoli era andato disperso e al quale solo la Graham, trent’anni prima di loro, aveva pienamente restituito struttura e vibrazione.