racconto

improvvisamente il mondo impazzì

marzo 1980

Improvvisamente, il mondo impazzì. Non si incomincia mai una frase con un avverbio, ma il mondo impazzì davvero improvvisamente. C’era stato, prima, qualche segnale premonitore; ma impercettibile. Quasi nessuno l’aveva notato. Comunque, nessuno potè intuire quello che sarebbe accaduto in seguito. Soltanto io avevo avuto dei sospetti; sentivo sulla pelle un soffio di follia, avevo un desiderio irrefrenabile di ridere, saltare e fare capriole. Questo era senz’altro molto strano, poiché di solito sono seria e molto triste. Ma accadevano anche altre cose sconcertanti, una specie di rivolta degli oggetti. Incominciarono gli orologi: venerdì 17 maggio, alle otto della mattina, si bloccarono tutti insieme per un minuto. Poi le loro lancette corsero avanti di un’ora, e ripreso a funzionare regolarmente. Questo anomalo comportamento delle pendole, dei cronometri, delle cipolle, delle sveglie, dei cucù e perfino delle meridiane solari provocò incidenti a catena per tutta la giornata: gli scolari, credendo. di essersi destati troppo tardi, si precipitarono a scuola correndo per le strade, tanto che venti di essi morirono investiti; la circolazione automobilistica era completamente paralizzata dalla gente che si affrettava al lavoro, colta di sorpresa dallo slittare del tempo; innumerevoli persone litigarono ferocemente per un ritardo inesistente; insomma, si scatenò il caos, finché non si cominciò a capire che, misteriosamente, un’ora era stata rubata. Poiché era troppo difficile convincere tutti a riportare indietro gli orologi, i governi dei vari paesi vi rinunciarono, e decisero di mettere una pietra sopra alla faccenda. Così la prima ondata di follia venne riassorbita senza scosse. Ma poi fu la volta dei telefoni: chiunque tentasse di telefonare, si sentiva rispondere da una persona del tutto sconosciuta, che spesso abitava a centinaia di chilometri di distanza. Telefonare era come giocare alla roulette: si azzeccava il numero giusto solo per un caso fortunato. I tecnici si scervellarono per tutto il giorno su questo enigma. Pensarono ad un sabotaggio internazionale, ad una tempesta magnetica che poteva aver sconvolto i circuiti, ad ogni ipotesi plausibile; ma il fenomeno continuava. Infine, esausti, rimandarono la soluzione del problema all’indomani. Nella notte, apparve nel cielo, visibile da ogni latitudine, un gigantesco arcobaleno colorato: per mezz’ora, raccolse gli “oh…” di meraviglia di milioni di persone, quindi scomparve silenziosamente, dissolvendosi in uno stupendo fuoco d’artificio. E poi, con l’alba, si accesero i primi fuochi di follia. Le fontane di piazza San Pietro al Vaticano entrarono in ebollizione, emanando eterei fumi rosati, circonfusi di luce azzurrina; poi da esse sgorgarono trasparenti bolle di sapone, che scoppiavano a contatto dell’aria con una squillante nota musicale.

Nel Massachusetts, nell’aula principale del celebre Institute of Technology, il tetro professor Henry Potter cominciò d’un tratto a cantare con profonda voce baritonale la sua consueta lezione di cibernetica. Nessuno riuscì a farlo smettere, né durante la sua ora di corso né durante quelle seguenti; dopo qualche settimana, i professori che non sopportavano l’opera lirica furono costretti a dare le dimissioni per evitare un esaurimento nervoso.
A Roma, il bianco e faraonico Monumento a Vittorio Emanuele II in piazza Venezia si trasformò repentinamente in una gigantesca macchina da scrivere Smith-Corona, i cui tasti battevano da soli; attorno al grosso rullo della macchina, era infilato un foglio di carta ampio decine di metri, sul quale si stampavano lettere nitide e distinguibili a grande distanza, in elegante carattere corsivo. Sotto gli occhi esterrefatti dei passanti, un invisibile autore componeva stravaganti poesie e sonetti, riga dopo riga. Poi, non appena finito il foglio, “qualcuno” lo sfilava dal carrello, lo appallottolava e lo gettava via verso l’alto, facendolo scomparire tra le nuvole. Il Colosseo si colmò fino all’orlo di terra, divenendo un enorme vaso da fiori. Dagli spalti del rudere spuntò una selvaggia e rara vegetazione, di proporzioni insolite: rossi tulipani alti come alberi; feline piante carnivore brasiliane, dall’aspetto sinistro e sanguinario ma dagli splendidi, ipnotici colori; tuberose, amarillidi, fucsie, begonie, gigli screziati, iris violetti, ondeggianti lillà, candide edelweis, mostruose bocche di leone, pallidi narcisi e sfacciati papaveri. Il loro intenso, irresistibile profumo stordiva i curiosi che si avvicinavano per ammirarli e li inebriava, contagiandoli con uno sfrenato desiderio di danzare. Così l’antico anfiteatro fiorito era sempre circondato da coppie di ballerini lanciati in valzer vorticosi o da persone sole che, spinte da una melodia silenziosa, piroettavano, si libravano nell’aria, si univano agli altri in un allegro trescone, accennavano i passi di un tango sensuale o si abbandonavano ad un frenetico can-can.
A Parigi, la Tour Eiffel venne gremita da un imponente stormo di uccelli affluiti da ogni continente. Rapaci, passeracei, trampolieri, palmipedi e corridori si posavano felici, l’uno dopo l’altro, sui segmenti di ferro della struttura, planando al termine del loro lungo volo. Venne trillando il piccolo, astuto colibrì; poi arrivò dai Tropici, rabbrividendo, l’affascinante uccello del Paradiso. Quindi, storditi dal caldo, giunsero i pinguini; e, sbattendo gli occhi abbagliati, gli uccelli notturni. La procellaria si avvicinò portando con sé nubi gravide di pioggia; l’aquila, con il suo aspetto solenne, intimidì molti dei volatili più piccoli. Le rondini sfrecciarono fulminee in branco,, occupando il vertice della Torre; la gazza si posò invece sotto l’arco, un po’ appesantita dai lucenti gioielli rubati che teneva nel becco. L’albatros ed il gabbiano portarono un salmastro odore di mare; furono particolarmente ammirati, nel loro elegante defilée di arrivo, la lira, il tucano, l’ibis, l’airone ed il fagiano dorato. Infine, fu un affollarsi di fringuelli, passeri, pettirossi, cardellini, ciuffolotti, cinciarelle e canarini, mentre i pappagalli dirigevano a gran voce le operazioni di atterraggio. La Torre brulicava di penne, piume, code colorate, ali maestose, ciuffi e lanugine. Molti nidificavano e covavano; altri razzolavano o si beccavano affettuosamente. La maggior parte degli uccelli, eccitati da quell’insolito incontro, chiacchieravano senza sosta ognuno nella propria lingua, starnazzando, schiamazzando, cinguettando, tubando, stridendo, fischiando, pigolando, gracchiando, gorgheggiando o garrendo. La stessa Tour Eiffel, scomparsa sotto quella marea di pennuti, sembrava muoversi e svolazzare. Ci fu una confusione terribile finché, come obbedendo ad un enigmatico comando, gli uccelli cominciarono a cantare tutti insieme, intonando l’Internazionale.

A Mosca, le torri quattrocentesche del Cremlino si sciolsero lentamente come candele accese. Il piancito della Piazza Rossa, da un istante all’altro, diventò verde pisello, tanto che fu indetta d’urgenza una riunione del Soviet Supremo per decidere di cambiarle nome. Inoltre, il traffico fluviale dovette essere interrotto per un fenomeno parimenti inspiegabile. Dal Baltico, dal mar Bianco, dal Caspio, dal mar Nero e dal mar d’Azov erano infatti confluite nel Don, risalendo la corrente dei canali, le più svariate specie di pesci, dai baccalà agli storioni, dalle anguille agli squali. Nuotavano,e guizzavano in file ordinate, per gerarchia di grandezza: ghiozzi,. ‘ acciughe, carpe, tonni, cefali, sardelle, sgombri, tinche e delfini, senza degnarsi l’un l’altro di uno sguardo, sguazzavano tirando ogni tanto la testa fuori dell’acqua, come per osservare il panorama. Raggiunta la. capitale, fecero d’un tratto un brusco dietrofront e conclusero la loro passeggiata, tornandosene dove erano venuti. Nessuno riuscì a capire quale fosse il loro scopo, poiché i pesci sono singolarmente privi di espressione. In America, la Casa Bianca a Washington si tinse di un vivace color rosso. Tutti gli agenti della CIA e dell’FBI vennero mobilitati per individuare i responsabili di quella che fu definita una provocazione dei servizi segreti sovietico-cubani a livello internazionale. Ma persino dagli informatori più fidati non trapelò assolutamente nulla che potesse servire a chiarire il mistero. Il Presidente degli Stati Uniti ordinò comunque di imbiancare l’edificio, cancellando l’infamante colore. Una squadra di cento imbianchini specializzati, dopo aver lavorato giorno e notte per una settimana, sperimentando innumerevoli tipi di solventi, non riuscì però neanche a schiarirlo. La nuova epidermide rossa del palazzo resisteva tenacemente ad ogni tentativo di eliminarla. Infine, ci si dovette rassegnare alla dura realtà: era indelebile. Al Presidente, quindi, non restavano che due possibilità: trasferirsi altrove, oppure accettare disinvoltamente la situazione, cambiando la tappezzeria per intonarla al resto della residenza. Il Primo Cittadino degli Stati Uniti esitò a lungo fra le due alternative, incapace di compiere una scelta per lo shock subito; infine, dopo aver trascorso molte notti insonni, dimagrito di otto chili ed in preda ad incontrollabili tic nervosi, preferì dimettersi. De] resto, il paese era divenuto ingovernabile. Una fortissima crisi politica ed economica, infatti, era stata provocata da una curiosa metamorfosi: i lingotti d’oro conservati nel deposito di Fort Knox si erano trasformati tutti in barre di cioccolato al latte. Ciò aveva causato una violenta perturbazione in Borsa, perfino, superiore al celebre e rovinoso crack d’i Wall Street del 1929. Una nuova Grande Depressione investì gli USA e, conseguentemente, il mondo intero, causando un ritorno di massa allo scambio in natura, L’instabilità monetaria, infatti, era tale che la gente non si fidava più di usare il denaro. Quasi tutti lo misero da parte, aspettando tempi migliori, e si crearono nuovi rapporti di valore tra i prodotti, nati dalla libera contrattazione che si svolgeva nelle strade, come in grandi bazaar orientali: per una gallina da uova si poteva avere un televisore, un libro valeva un pacchetto di sigarette, e così via. Per di più, le gerarchie militari si erano disgregate da quando il Pentagono era diventato nottetempo un Triangolo, fatto che era stato salutato come una grande conquista dal NOW, il movimento femminista organizzato. In un simile frangente, sarebbe stato’ facile per qualsiasi nazione scatenare una guerra-lampo e prendere il potere mondiale, approfittando dello sbandamento degli avversari, Ma ognuno aveva le sue gatte da pelare: i governi rimasti ancora in piedi erano troppo occupati ad arginare le ondate di pazzia collettiva per nutrire ambizioni belliche, A Wolfsburg, in Germania, gli operai dell’immensa fabbrica Volkswagen si rifiutarono di continuare a produrre automobili, camion e trattori, e cominciarono a Sfornare tricicli dalle catene di montaggio.

Da un lato all’altro del muro di Berlino, nelle calde’ serate di giugno, le guardie di confine giocavano a pallavolo, finché non decisero di smantellarlo per poter fare più comodamente un torneo di scopone. Bande di clowns nomadi, fino a poco tempo prima irreprensibili impiegati statali o integerrimi bancari, percorrevano l’Europa orchestrando terribili scherzi e spruzzando con pistole ad acqua chiunque incontrassero. Centinaia di persone mascherate da Superman si intestardivano a fornire aiuto, con inesistenti super-poteri, a chi non ne aveva affatto bisogno. L’UBA, l’Unione Bambini Autonomi di recente fondazione, sorta sulle ceneri dell’UNICEF, organizzò un’imponente maratona su pattini a rotelle dalle Alpi alle Piramidi, per partecipare alla quale oltre il 90 per cento dei ragazzini in grado di fare pipì da soli fuggì di casa, Il papa decise di donare i suoi beni ai poveri; ma, fatto ancora più strano, non si trovò nessuno che volesse accettarli. I maschi adulti, per un improvviso sviluppo delle ghiandole mammarie, cominciarono ad allattare i neonati, e formarono migliaia di collettivi per rivendicare l’apertura di baby-parking in ogni posto di lavoro. Si costituirono innumerevoli partiti politici, dalla liberazione delle api dalla schiavitù del miele al riciclaggio delle cabine telefoniche, ormai inservibili, come discoteche monoposto.
Così, a poco a poco, tutti si abituarono a vivere in un sistema asistematico, in convulso cambiamento, imprevedibile ed illogico. Lentamente, la sicurezza significò non essere sicuri di nulla. Ognuno si adattò ad una consueta, normale follia. Si rimisero anzi in funzione i manicomi per rinchiudervi i sani di mente, giudicati socialmente pericolosi. Oggi nessuno ricorda più, poiché la follia ha una memoria breve, quel giorno che il mondo impazzì.