india: la lunga strada della emancipazione

«sono stata in India due volte. Quello che mi ha fatto tornare è stata la voglia di conoscere meglio le donne: colorate, belle, fiere della loro vanità, inanellate spesso anche nella miseria più nera, a volte ironiche verso sé e me che le osservavo; a gruppi, piene di bambini. Ci siamo sorrise, toccate, ( curiose a vicenda della nostra diversità. Ci siamo parlate, a volte a gesti, ridendo spesso di gusto perché non ci capivamo».

settembre 1977

Durante il mio ultimo viaggio ho avuto vari colloqui con la segretaria di Delhi del movimento delle donne indiane: il National Federation of Indian Women. Il pezzo che segue cerca di delineare le battaglie che il movimento sta portando avanti per la liberazione della donna.
Ho ridotto al minimo gli accenni ai condizionamenti religiosi e culturali perché nella realtà socio-religiosa indiana la religione e la tradizione occupano tale importanza che un’analisi approfondita avrebbe bisogno di molto più spazio.
«Noi non siamo femministe, cara amica italiana: nel nostro Paese noi combattiamo contro la fame, non contro gli uomini».
Delhi, dicembre ’76: con queste parole, in realtà non troppo incoraggianti, inizia il mio colloquio con Wimla Farroqui, segretaria del «National Federation of Indian Women». Organizzazione basata sul principio dell’elezione e quindi della delega e della dirigenza, il NFIW è riuscito a raggiungere e a organizzare le donne nelle strade, nei quartieri, e in alcune regioni, pur con moltissime difficoltà anche nei villaggi, senza l’appoggio diretto e la dipendenza dai partiti.
Anche se all’inizio Wimla era restia a darmi una «collocazione politica» del NFIW, e ancor meno disposta a cercare paralleli col movimento femminista europeo (cosa che, al contrario, per me era molto importante), ho potuto capire, dalle sue parole, che di fatto il NFIW si colloca, pur con una certa autonomia, nell’ambito della sinistra: nelle sue fila molte sono le donne del partito comunista, del partito socialista, dell’ala sinistra del partito del congresso; nel suo statuto leggiamo, oltre agli «obbiettivi strettamente riguardanti le donne», classici richiami al problema della fame, della pace nel mondo, della democrazia; nella sua pur breve storia molte sono state le sue prese di posizione a favore dell’indipendenza del Vietnam, contro il golpe cileno e nella sua strategia si pone anche la risoluzione del problema della fame. «Il nostro problema e nello stesso tempo il nostro obbiettivo — chiarisce la compagna — è far prendere coscienza alle donne togliendole dalle superstizioni e dall’ignoranza, principali ostacoli alla loro emancipazione e al progresso del Paese. Solo tramite la costruzione di embrioni organizzati di donne, nelle strade, nei villaggi, solo attraverso la piena responsabilizzazione e coscienza di sé le donne, e non noi per loro, potranno lottare in prima persona, a partire dai propri bisogni». Questo, a detta di Wimla Farroqui, il principale problema e M più importante obiettivo del NFIW.
Ci sono comunque alcuni obiettivi-base su cui il movimento nasce, cresce e cerca un contatto con le donne.
Ad esempio, un problema molto sentito è quello della dote: Indirà Gandhi ha abolito, con una legge già nel 1961 l’obbligo della dote per le ragazze. Ma questa legge, così come molte altre che tendono a dare una patina di occidentalismo e di «civilizzazione» al Paese, non sono affatto rispettate dalle consuetudini. La religione induista, il peso enorme della tradizione sono così radicate nella vita di tutti i giorni, che, anche per la dote, una legge non è certo bastata ad abolirla.
«Per noi — mi dice la mia amica indiana — la dote è un affronto alla donna; anche se è stata abolita, in realtà molte ragazze, soprattutto quelle delle caste più basse, si sposano solo se ce l’hanno. A volte, quando la ragazza non è molto ricca, il padre dello sposo può acconsentire al matrimonio, a condizione però che sottostia umilmente-al suo volere». Soprattutto nelle caste più basse infatti le famiglie sono ancora le «Joint families» patriarcali e la giovane moglie deve sottostare, oltre che alla volontà del marito, anche a quella del suocero. Il NFIW, come forma di lotta, spinge le proprie aderenti a celebrare, nella forma più clamorosa, matrimoni senza dote, «Attualmente Indirà Gandhi ha abolito tutte le leggi che discriminavano le donne: ma le donne sono sempre discriminate, nella famiglia allargata come nella coppia, come nel lavoro». Il lavoro: è un problema grossissimo per l’India : infatti le scelte del governo di Indirà hanno prodotto una pauperizzazione sempre maggiore di vastissimi strati della popolazione e creato una crescente disoccupazione: attualmente si calcolano più di 15 milioni di disoccupati. È chiaro che la donna è quella maggiormente esclusa, soprattutto da posti di lavoro relativamente privilegiati come il pubblico impiego. Il NFIW ha cercato, con molta fatica, di creare centri di vendita di stoffe, tessuti e altri prodotti fatti dalle donne. «Ma — dice Wimla — noi vogliamo essere occupate a tutti gli effetti, come i cittadini uomini». «È per questo — continua — che tutte le donne si devono battere per l’applicazione, da parte del governo, di leggi che possano contribuire alla loro emancipazione». Mi domando, un po’ allibita, come si possa credere ancora che Indirà Gandhi (le recenti elezioni lo hanno dimostrato), possa «concedere» leggi che «emancipino» le donne, e se le leggi, da sole, possano bastare a togliere la donna induista dalle superstizioni, dai condizionamenti, che l’hanno oppressa, non diversamente dalle sue sorelle europee, per millenni. Ma pecco d’ingenuità: sarebbe infatti un errore credere che questa organizzazione non abbia di fatto una linea politica, sia rispetto allo specifico problema della condizione della donna, sia rispetto alle scelte politiche generali che ha, fino al suo crollo, portato avanti il governo di Indirà. Cercherò, tramite l’analisi di alcuni dei più significativi obbiettivi del NFIW e un veloce resoconto delle battaglie condotte di farne emergere la linea politica, che probabilmente dato il tipo di struttura che è il NFIW, può, a un primo approccio, sfuggire. Il NFIW infatti, come ho accennato all’inizio, non è un movimento di massa ma una federazione con una sua struttura: il congresso, i comitati regionali, il comitato esecutivo; è tuttavia organizzato anche nei quartieri e in alcuni villaggi: è quindi di fatto un’organizzazione di massa (tenendo presente comunque che i livelli di partecipazione politica in India sono alquanto bassi). Questa sua struttura burocratica, ma nello stesso tempo questo suo radicamento tra le donne, crea una reale sfasatura tra la sua strategia e gli obbiettivi di lotta più immediati. Il NFIW (lo si legge anche nel rapporto del suo 9° congresso nazionale tenutosi a Jullundur nello scorso ottobre) richiede alle donne lo sforzo per l’applicazione del 20 Point Programme (programma governativo per lo sviluppo della nazione) per dare loro la possibilità di -«una vera eguaglianza nella società», richiedendo il loro attivo coinvolgimento per la difesa della pace, della democrazia e la ricostruzione del Paese. Questo è quanto; per bocca del comitato esecutivo, è stato dichiarato in occasione della giornata internazionale della donna, l’8 marzo 76. Scorrendo brevemente il resoconto delle lotte degli ultimi anni, notiamo tutt’altro tipo di obbiettivi e metodi di lotta anche molto duri: ci sono state numerosissime marce di donne contro il rialzo dei prezzi e spesso le dimostranti sono state violentemente caricate dalla polizia, come a Calcutta nel 74; c’è la richiesta di cibi a poco prezzo in appositi negozi governativi delle città; sono stati infine adottati metodi di lotta fantasiosi e dirompenti: alcune donne a Bombay hanno «regalato» al Ministro degli Approvvigionamenti Alimentari Statali, durante un «sit-in» davanti all’ufficio governativo, un sacco pieno delle pagliuzze e degli scarti con cui venivano «tagliate» le razioni giornaliere di riso e di grano, destinate alle caste più povere.
Anche se non filogovernativo, il NFIW ha finora rischiato di mancare di un’analisi attenta della politica governativa e delle ultime scelte in campo economico di Indirà Gandhi, scelte che di fatto hanno reso impossibile l’applicazione non solo di quest’ultimo programma di sviluppo, ma di qualsiasi provvedimento economico atto a migliorare le condizioni delle masse.
Il NFIW denuncia una grossa carenza di ospedali, come elemento di freno alla tutela della salute della donna; lamenta una disoccupazione di massa che colpisce soprattutto le donne, come elemento di freno alla loro emancipazione economica, ma un’analisi approfondita sulle reali possibilità di raggiungere questi obbiettivi con mezzi che non siano semplici denun-cie, e nell’attuale assetto sociale ed economico, manca totalmente. Forse a ragion veduta, per l’esigenza di tenere unito un movimento che, benché apparentemente indipendente dai partiti, non può non risentire dell’area politica in cui si colloca; partito comunista, partito socialista, partito del congresso. Grosse mobilitazioni sono state fatte dal NFIW anche per l’alfabetizzazione delle donne; la segretaria del movimento durante gli incontri che ho avuto con lei ha sottolineato spessissimo che le donne indiane devono prendere coscienza; e che il primo passo per liberarsi oltre che dalla povertà anche dall’ignoranza e dalle superstizioni è imparare a leggere. Questa campagna, fatta dalle donne del movimento che sanno leggere, per le donne analfabete (in India lo è il 70% della popolazione) non si possono certo liquidare dicendo che sono opere delle dame di San Vincenzo; a condizione però che si collochino in una prospettiva di liberazione e non di fittizia emancipazione. Sono state portate avanti altre battaglie su contenuti molto importanti: sono state le donne a infrangere le barriere tra le caste e a sfidare la tradizione sposandosi con uomini di altre caste (naturalmente più basse!!). E una presa di coscienza di sé come persona, come corpo violato, c’è stata: grandi cortei contro atti di violenza e rapimenti di donne hanno percorso in questi ultimi anni molte città. Ma rispetto a queste battaglie, che tendono effettivamente a rivendicare una nuova dignità per la donna, non vi è mai una chiara indicazione rispetto ai metodi di lotta e alla più generale ottica politica in cui si collocano, e che rischiano sempre di essere appiattite.
Ho cercato di chiarire questo mio dubbio con Wimla Farroqui: una donna molto aperta, giornalista di un quotidiano comunista, che parla apertamente della propria sessualità, del proprio bisogno di affermarsi come donna, che capisce fin troppo lucidamente, con una freddezza quasi inglese, lo stacco che c’è fra sé e le masse, mia non ho avuto risposta. Ho avuto l’impressione che in molti obbiettivi anche avanzati quali ho citato prima, obbiettivi di presa di coscienza delle donne come donne, come essere subalterno al marito, alla famiglia patriarcale, alla società maschile, non vi sia l’intenzione di sviluppare e di sviscerare, in un momento successivo, tutto il carattere eversivo, pur riconoscendo l’esistenza della specifica oppressione dell’uomo sulla donna. Mentre su alcuni di questi obbiettivi in Europa il movimento femminista ha sviluppato un’analisi, una presa di coscienza, e pratiche di lotta ben al di là della semplice rivendicazione degli obiettivi stessi. Un discorso veramente a parte va fatto rispetto alla contraccezione e all’aborto, L’aborto è libero, gratuito, assistito, e fatto per aspirazione; Wimla mi prende in giro quando le chiedo se le donne hanno delle resistenze morali all’aborto. «Noi non siamo cattolici, né le donne induiste né le donne mussulmane considerano un trauma o un crimine abortire. È però difficile per le donne (soprattutto nelle caste più basse) abortiscano perché vogliono malti figli, e questo non solo e non tanto perché siano ancora legate al concetto patriarcale di famiglia quanto perché — dicono — la mortalità infantile è così alta che per avere la garanzia di un figlio vivo ci vogliono almeno 5 o 6 gravidanze! E se poi abortisco — dicono — o 1 figli mi muoiono da piccoli, da vecchia rimango sola, chi mi mantiene? Il ragionamento è tremendo: ma ce da dire che in quella realtà è orrendamente logico. Nell’antica famiglia patriarcale almeno un posto per i vecchi c’era: nella società attuale non c’è bisogno di essere esperti di politica economica per capire che non sarà certo il governo a garantire l’assistenza in vecchiaia: meglio poter contare sui figli!
Il problema della contraccezione (io piuttosto direi della sterilizzazione) è ormai diventato uno scandalo mondiale: il governo, e in particolare quel personaggio untuoso che è il figlio della Gandhi, Sanjay, tramite numerosissimi centri di Family Planning, ha sterilizzato a forza milioni di uomini, e inizialmente anche molte donne, accreditando completamente ogni tentativo di pratica contraccettiva.
Il NFIW dichiara che è impossibile praticarla tramite mezzi che responsabilizzino la donna e si limita a convincere alla sterilizzazione le coppie con più di due figli, spiegando anche che la sterilizzazione non rende impotenti (il governo non si è preso certo la briga di spiegarlo). Vimla dichiara che per ora, per le masse, è assolutamente improponibile l’uso di contraccettivi quali la pillola, la spirale, il diaframma, che esigono da parte della donna la responsabilizzazione, la coscienza e conoscenza di sé, della tecnica e della scienza. Questa posizione del NFIW mi ha lasciato veramente sconvolta: mi è stato fatto rilevare che l’uso della pillola (il • NFIW ha tentato di pubblicizzarla) dà per scontato che le superstizioni e la ignoranza siano state superate; l’uso della spirale dà per scontato che quando la si deve togliere, dopo alcuni anni, la donna possa andare all’ospedale o dal dottore; in India invece, la maggioranza delle donne vive in villaggi senza comunicazioni con le strade di normale viabilità, e senza acqua; molti villaggi possono venire addirittura cancellati da un monsone troppo forte. Il NFIW ha cercato, tramite donne-medico, di assicurare controllo e assistenza al parto delle donne dei villaggi: molti parti avvengono in condizioni igieniche spaventose con tassi altissimi di mortalità per la madre e per il bambino. Come dice Wimla è una vittoria importantissima contro la morte per molte donne; ma non mi sembra che basti.
A questo punto si incrina in me l’enorme voglia che avevo di capire una realtà così diversa, perché sono molto arrabbiata e non so più con chi mi devo arrabbiare, se col NFIW, se con Indirà Gandhi, se con la «fame in India»; si incrina però anche la mia sicurezza, in realtà un po’ «eurocentrica», che presa di coscienza sia solo e ovunque: piccoli gruppi di autocoscienza, self-help, rifiuto della coppia. A proposito di coppia: i rapporti prematrimoniali in India sono pressoché inesistenti: non esistono affatto nei villaggi e tra le caste più basse e una ragazza-madre non è socialmente accettabile neppure tra i «paria», mi dice con tranquillità la compagna indiana, e aggiunge anche che verso questo problema ci sono ancora molte resistenze. Mi lascia capire che i problemi di «sopravvivenza» che loro stanno affrontando le sembrano più importanti e che di questi aspetti «culturali» e secondari se ne riparlerà quando tutti i bambini avranno da mangiare e le donne non moriranno più di parto. Il NFIW rinuncia così a parlare della sessualità, anche se, mi dice Vimla, «Io sono favorevole ai rapporti prematrimoniali e so benissimo come fare per non rimanere incinta: ma qui siamo a Delhi, io sono laica e comunista: Delhi non è l’India e io non sono le donne indiane».
Comincio a non poter più usare i miei metri di misura, le mie chiavi interpretative non entrano più: è troppo diverso, evidentemente, essere donna qui, essere analfabeta e affamata, mentre io sono una femminista in giro da sola per il mondo; riesco soltanto a capire che, in una corsa sfrenata come quella che «la signora Gandhi» e il suo apparato hanno finora condotto verso la rispettabilità e il consenso delle grandi potenze non si può andare tanto per il sottile e il femminismo, come nuova coscienza di sé, appare un lusso, persino allo stesso movimento delle donne.

I principali ostacoli
all’emancipazione della
donna sono l’ignoranza
e la superstizione che
permettono la sopravvivenza
di tradizioni opprimenti.

Sono state tuttavia
le donne ad infrangere
le barriere tra le caste
e a cominciare a sposarsi
con uomini di caste diverse.