ipotesi di lavoro su un testo

luglio 1979

“Tutto si compra. E’ già stato comprato da tempo. E’ già stato anche detto. E poi? In quale mercato questo sia avvenuto è difficile da stabilire, Macellum si chiamava in certi luoghi”. In una operazione dolorosa, ambigua, perché chiarificatrice e insieme sfuggente, Maria Schiavo percorre | le mille facce del macellum, cioè del luogo retto dalle regole della valutazione e dello scambio, il luogo in cui da sempre soprattutto le donne perdono la loro possibilità di esistenza di per sé: “Che qualcuno ti abbia destinata ad abbellirgli la vita?”. Percorrendo i luoghi e i tempi del macellum ci aggiriamo tra un materiale di scavo caotico, confuso, a volte farraginoso, uno scavo il cui materiale non è ancora classificato; ma ognuno dei reperti è affascinante, allude a valori, a connessioni, rimanda ad un mondo complesso, suggerendo significati che appaiono e scompaiono al tempo stesso. Questa è l’immagine che il libro nel suo complesso ci ha suscitato.

Il mercato ha lasciato rovine in chi scrive ed anche dentro di noi; insieme rivisitiamo la nostra necropoli interna, annullando la dimensione del tempo e rompendo i confini della Storia. E’ un rifiuto della Storia che ci è stata trasmessa, della Storia che finisce; è il tentativo di cogliere nella Storia le permanenze, non la ricerca delle cause del divenire schiava, ma la sorpresa nel riconoscere le corde, tese e ancora vive, della condizione di schiava, che percorrono la Storia. Ritroviamo le tracce, “… quei fili più o meno segreti tra passato e presente… Una memoria antica, parzialmente inerte, che sicuramente ci accompagna”. (Che siano in questa memoria sepolta anche la consuetudine, fin dall’antichità, di “esporre” le .bambine o le innumerevoli donne morte di parto e per febbre puerperale? (1) Che ci sia ancora il dubbio di non essere ammesse all’ esistenza?)

Dall’opera di scavo emerge chiara la materialità del macellum; «nel primato del dare e avere del macellum… i rapporti uomo-donna erano quelli in cui il delirio dello scambio raggiungeva la sua fase, per così dire orgiastica, dove il donò per una donna era, doveva essere, il dono originario di sé”. E contemporaneamente affiora l’interrogativo se sia possibile sfuggire alle regole del macellum; “la ribelle distorsione, il salto della regola, il macellum sconquassato da cui riaffiora la salsedine del mare, e che mostra ora che è possibile ridiventare altro, non servire a qualcosa, non appartenere. Questo io vedo nelle rovine. Sprazzi refrigeranti di vita altra. Queste cose mi dice la Sibilla di Cuma, non le cose che tramanda la tradizione del macellum. Le rovine mi creano visioni sul futuro. Ma non sul futuro già accaduto. Per questo ho bisogno di costruirmi un linguaggio visionario”. E come visioni, in una successione senza tempo, appaiono figure femminili scelte dalla biblioteca mentale della scrittrice, non cristallizzazioni scritte, culturalmente trasmesse, legate dai fili cronologici della Storia, ma parti vive di lei, di noi.

E’ il tentativo di cogliere il possibile legame segreto tra accumulazione scritta e accumulazione vivente, l’incontro tra la giovane Enza di Palermo che si aggira per le strade della Magione e Diotima di Mantinea, tra Cordelia e Maria Maddalena, tra Adriana, Luce e Divina. Le metafore, i personaggi incarnati sono anche i tramiti per esprimere la molteplicità dei livelli di senso, tentativi di uscire dal macellum; la fragile Cordelia, divenuta preda dello sguardo di Don Giovanni, non potrà sottrarsi alla morte. Le Sante, per porsi al di sopra del Macellum, toccano la profondità dell’ignoranza, per sposare Dio, Maria Maddalena (Antigone) sorella amante del Cristo (fratello) “di fronte al sangue negativamente politico, quello dei sacrifici, degli attentati, delle decapitazioni, delle guerre, delle condanne, delle croci…, il sangue riconosciuto, il sangue esplosivo…, sentiva uscire da sé un sangue (mestruale) che non faceva vittime e non si faceva vittima, e ne era felice… Non che le fosse estranea l’esperienza dell’ingiustizia, della violenza e dell’altrui morte. Non si riteneva separata o innocente rispetto a queste cose, Ma la colpiva ora questo familiare, al quale non aveva mai pensato prima in questi termini… .Né sacrificio, né morte, né resurrezione”.

E dopo i tentativi di uscire dal macellum, i tentativi d’ amore: la Gran Madre, mescolanza di riti antichissimi, suggerisce gli interrogativi: “E’ possibile una maternità che vada oltre la deposizione materiale?… E’ possibile la Maternità?”. Ma questa domanda riconduce ad una più urgente: «E’ possibile l’amore?”. Si può u-scire dai rapporti di valutazione e quindi di morte?, si può ricercare una timida possibilità d’amore?

(1) Cjr. Sarah Pomeroy: Donne in Atene e In Roma, Einaudi, 1978. Adrienne Rich: Nato di donna, Garzanti, 197S. L.F. Celine: Il Doc-tor Semmelweis, Adelphi, 1975.