la domenica

aprile 1981

Ovunque io sia, qualunque cosa io faccia riconosco quando è domenica. Esistono odori, grigiori, una nausea, un’ ansietà tipicamente domenicali. Forse questa percezione così precisa dei sei giorni alle proprie spalle, che è piuttosto diffusa, è legata al bioritmo. Il nostro corpo sa che il sonno della notte è diverso qualitativamente da quello del giorno così come sa che la domenica è giorno di riposo e di noia, sorgente d’infelicità e destino contro cui poco si può.
Il sacrario della domenica è la famiglia. Forse in questo giorno alcuni buoni cattolici inconsciamente frequentano le chiese e gli stadi per strappare qualche ora alla convivenza familiare. Perché così tragica la domenica casalinga? Nel mondo del lavoro ogni nostra emozione è un di più, pagata anch’essa a fine mese con lo stipendio. Ogni risata “in servizio” dà una piacevole sensazione di furto permesso.
Il collega resta un estraneo, un altro che non deve entrare nel proprio mondo intimo. Questo sconosciuto, al cui fianco si lavora per ore, non avendone l’autorizzazione, non entra in quella nostra realtà con cui dovere fare i conti ma direttamente nell’immaginario. Se la sua presenza è sgradevole il fatto non ci riempie di sensi di colpa, di conflitti e lacerazioni ma si può trasformare in pettegolezzo sociale e consentito. Con lui la lite non porta al divorzio, viene dimenticata e poi ripetuta all’infinito. Non sono obbligata ad essere per lui uno stimolo, non sono un’immagine consolatrice, sono in sua compagnia per tutt’altre ragioni, neppure l’ho scelto. I nostri rapporti possono essere tesi oppure straordinariamente rilassanti, in ogni caso non gli appartengo.
La domenica si cambia musica. Si passa dall’estraneità, dalla superficialità dei rapporti interpersonali settimanali al banco di prova della resistenza dei nostri affetti profondi. Per molti ciò costituisce una vera catastrofe. Nel mondo di superficie si finge, ci si maschera, si fa insieme ed improvvisamente si sparisce. Nel mondo delle ‘cose serie ogni gesto è solenne e viene registrato dagli interessati nel suo ordine causa-effetto. Nasce il dovere di dare un significato al proprio tempo libero che la prima volta, nell’alba del linguaggio, è stato definito libero proprio da qualsiasi dovere. Trovare uno scopo comune alla” libertà: è un nonsenso ma ogni membro della famiglia si carica di aspettative in tal senso nei confronti degli altri componenti. In questo rifugio del privato (la famiglia) si sperimenta la scontentezza dovuta alla presenza fisica degli altri sia pure amati. Questa sgradevole colpa ci riempie di un’irritante buona volontà, di un volere porre riparo che non immunizza da rancori. Il coniuge in solitudine è nobilitante e letterariamente consacrato.
L’affetto per sua costituzione non è stimolante, si cerca di renderlo tale attraverso il litigio ma ahimè il trucco viene subito svelato e della lite si rintraccia la sua falsa origine.
La famiglia è il luogo elettivo di ogni impossibilità e non le si dovrebbe fare anche il torto di concederle la domenica. Il nostro cuore borbotta ma la famiglia è il luogo della fedeltà, il nostro tempo libero vorrebbe essere nulla o gioco ma la famiglia è ciò che lo censura. La propria ‘serenità viene regalata agli altri, i terribili estranei, come un dono, in famiglia si paga la propria scontentezza con un’ulteriore autopunizione, spesso i soldi spesi per la “casa” sono il prezzo con cui si è disposti a pagare la propria infelicità che però viene usata come ricatto e minaccia. In casa propria non c’è posto per indovinelli, non si possono travestire le proprie normali depressioni. E’ un’abitazione di tristi verità che, come luci troppo forti, fanno male agli occhi.
Troppe domeniche insieme hanno la forza di affondare qualunque relazione seria.