la fatica di crescere donna

Per noi il riflusso nel privato è ancora più potenzialmente pericoloso che per i maschi: se i rapporti affettivi diventano il solo centro della nostra esistenza rischiamo di essere trascinate nella spirale della depressione.

dicembre 1980

II mese scorso (Effe novembre 1980) abbiamo discusso i limiti dell’impostazione teorica di una giornalista americana, che in un suo libro assai letto sostiene che le donne soffrono più spesso di depressione perché essendo “biologicamente” più predisposte a stringere legami affettivi sono più vulnerabili alla rottura di questi rapporti.
In questo numero vorrei proseguire l’analisi del libro della Scarf esaminando quello che mi sembra il contributo più notevole del suo lavoro: l’aver individuato, attraverso tutta una serie di interviste a esperti e lunghe conversazioni con donne depresse, quali circostanze ambientali ed interne contribuiscono a scatenare vari tipi di depressione man mano che una donna passa dall’adolescenza alla vecchiaia.
Nell’adolescenza: la Scarf sostiene che per tutte le ragazzine depresse da lei incontrate il problema centrale aveva a. che fare con difficoltà nel differenziarsi e separarsi dalla famiglia d’origine. Ovviamente tutti gli adolescenti incontrano dei problemi nel diminuire l’intensità dell’attaccamento ai genitori e nel trovare un proprio spazio, un proprio mondo fuori dall’ambito familiare.
In un certo senso l’adolescenza è un tempo di lutto e di timori, lutto per il sé bambina che deve venir abbandonato, timori per l’indipendenza che viene agognata ma per la quale ci sente al tempo stesso inadeguate. Da bambini si poteva sempre rivolgersi al papà o alla mamma se non si sapeva cosa fare, nell’adolescenza bisogna aver interiorizzato una parte genitoriale che si può prendere cura di noi, una “voce interna” che ci può consigliare nei momenti difficili, che ci può dare la fiducia che possiamo farcela da sole. Questa capacità di “badare a se stesse” vien di solito sviluppata nell’infanzia attraverso un processo d’identificazione positivo con almeno uno dei genitori da cui ci si è sentiti curati, protetta e amati; Se però ci sono state incomprensioni, distanze, lotte tra la bambina e la madre in modo particolare, se la bambina si è sentita rifiutata l’adolescente può sentirsi del tutto incapace di affrontare la vita futura e cadere nella depressione, e restare incinta o tentare il suicidio. Avere un bambino per una adolescente depressa può essere un modo per ridarsi — attraverso l’amore e le cure che lei spera di dare al bambino — quell’amore e quelle cure che lei sente le sono mancati, e al tempo stesso di dichiararsi, compiendo un atto da “grande”, quell’adulta che teme di non essere.
Tentare il suicidio significa di solito essere ricoverata in ospedale, essere di nuovo accudita, rientrare in un ambiente in cui altri decidono per noi, riavere il permesso di divenire piccole e bisognose.
A volte la depressione nell’adolescenza sopravviene in seguito a un troppo precoce tentativo di raggiungere l’autonomia. La Scarf racconta la storia d’una diciassettenne, che aveva tentato il suicidio. La ragazza aveva chiesto d’essere mandata lontano da casa a studiare a 13 anni per essere indipendente, perché a casa si sentiva trascurata. Il suo sentirsi trascurata, era dipeso in parte dal fatto che il padre, un uomo che nell’infanzia l’aveva spesso coccolata ed accarezzata, quando lei era cominciata a crescere, la aveva molto bruscamente allontanata da sé, rifiutando ogni tipo di contatto fisico. Debra aveva così finito per percepire che il suo sviluppo sessuale era sgradito al padre e anche alla madre, che lei era diventata “diversa”, inamabile: non era più la loro bambina e non poteva venir accettata come una giovane donna. La separazione fisica aveva alleviato la tensione quotidiana, ma il rifiuto percepito da parte dei genitori era stato interiorizzato da Debra come conferma della sua bruttezza, della sua “malvagità” e a poco a poco Debra aveva iniziato quella spirale di mancanza di stima di sé, interazioni negative con altri, riconferma del proprio scarso valore, che spesso sfocia nella depressione. In un altro caso dei genitori avevano costretto la loro timida figlia tredicenne a passare tre mesi in un campeggio estivo, e questa era stata letteralmente pietrificata dal terrore di dover stare senza i genitori, e aveva sviluppato una serie di malattie psicosomatiche per alcuni anni, per arrivare poi ad una vera e propria depressione. In questo caso i genitori avevano spinto fuori casa una bambina non pronta a fare questo passo, che aveva sentito che la madre non la voleva più fra i piedi, perché lei non era cresciuta “come mia madre mi voleva”.
La discrepanza fra il tipo di donna che si vorrebbe essere e quello che si ritiene la madre desidera che una diventi è uno dei motivi di conflitto ricorrenti in queste storie di ragazze adolescenti depresse. Sembra che la depressione sia il modo per uscire da un paradosso insostenibile: “se io sono come tu vuoi che sia, mamma, devo uccidere parti di me; se io non sono come tu vuoi, devo uccidere parti di te, devo ribellarmi, devo negare il valore delle tue scelte”. La maggior parte di noi in maniera più o meno grave, (ormai lo dimostrano anni di analisi femministe, e di libri sull’argomento oltre che la nostra sofferta esperienza individuale) si è trovata a dover far fronte a questo dilemma e ha trovato una specie di compromesso. Alcune adolescenti sembrano troppo spaventate per affrontare da sole questo nodo angoscioso.

Tra i venti e i quaranta anni
Secondo, la Scarf in questo periodo le donne d’oggi affrontano due problematiche, quella di trovarsi un compagno e farsi o non farsi una famiglia e quella di trovarsi un lavoro e inserirsi nel mondo. Mentre alcuni uomini di quest’età si deprimono se non riescono nel secondo scopo, alcune donne diventano depresse se perdono “un altro significativo” se si rompe un rapporto importante, se un matrimonio sfocia in un divorzio, ecc.
Dalle interviste della Scarf emerge che le donne mettono più di “se stesse” in un rapporto^ incluse quelle componenti di aggressività e di competitività che la società ci insegna a non usare per ottenere nostri scopi personali. Una “vera donna” non può essere troppo aggressiva nel suo lavoro, altrimenti diventa “una donna mascolinizzata” ma una donna può essere aggressiva per far avanzare la carriera del marito. E’ permesso cioè a molte donne di concentrare la propria intelligenza, la propria creatività la propria vitalità nel servire lo sviluppo della carriera dell’uomo che amano. Quando si rompe un legame in cui una donna aveva gettato tutta sé stessa, essa si ritrova, come ben esprime questa divorziata a fare i conti con un vuoto interno terribile: «Quello che ho dovuto imparare non era solo che avevo un “me” che poteva sopravvivere alla rottura tra me e Tony, ma che c^ERA UN ME. Non sapevo onestamente,, quando ci siamo separati se c’era qualcosa che ERA ME. Ancora adesso sono un poco timorosa di fare delle cose solo per me, di ottenere un buon risultato nel mio lavoro, di farmi strada. Come se dentro di me ci .fosse una voce ohe mi ripetesse che se non riesco a farmi amare sono un fallimento lo stesso e che se mi butto sul lavoro diventerò poco attraente, poco femminile» (p. 93). Questa divorziata dichiara apertamente che si sarebbe sentita più a suo agio avendo successo attraverso suo marito, cioè comportandosi come aveva visto fare sua madre, anche se razionalmente pensa il contrario: «E’ come ci fosse qui la parte di me che crede che non possa uscire nel mondo e fare le cose che voglio e restare una donna, vera».
Crescere persona sembra essere un’ impresa molto faticosa per noi donne, infatti nel libro della Scarf appare chiaramente che le donne che negli anni dai venti ai trenta si dedicano allo studio’ e alla realizzazione d’una carriera entrano in depressione se intorno ai trenta-trentacinque anni non hanno un rapporto stabile soddisfacente; al contrario quelle che si sono sposate e fatte una famiglia intorno ai trentacinque quarant’anni, con i figli a scuola, si sentono inutili e svuotate e desidererebbero aver continuato o iniziato a lavorare.
Se una donna tenta di fare le due cose insieme, i suoi bisogni possono entrare in collisione con quelli del partner, che può non essere pronto ad impegnarsi in un rapporto, oppure al contrario volere o imporre una convivenza quando la donna avrebbe ancora bisogno di spazio per crescere da sola, oppure ancora sentirsi svilito se la partner ha più successo nel lavoro, o annoiarsi con lei; se dopo qualche anno è rimasta solo la moglie e madre che pur aveva preteso e desiderato che fosse.
La tendenza a incontrare partners i cui stadi di evoluzione sono opposti ai propri, porta naturalmente alla sfiducia nella capacità di stabilire rapporti validi, e dunque a ripetute depressioni in certe donne. Secondo la Scarf queste donne spesso replicano coi partners il primo rapporto insoddisfacente avuto con un padre quasi sempre irraggiungibile. Il bisogno dì confrontarsi ancora con le problematiche rimaste irrisolte nell’infanzia è un impulso sano in tutti noi, poiché soltanto risolvendo in altro modo nodi rimasti insoluti, possiamo liberare dell’energia psichica per altri tipi di crescita. Tuttavia spesso secondo la Scarf alcune donne che hanno un rapporto negativo con il proprio padre tendono a replicare questo rapporto cercando uomini psichicamente simili al padre amato-e-rifiutato.
Inoltre in generale le giovani donne adulte nella nostra società ricevono messaggi conflittuali su come è meglio che siano, su cosa è meglio che facciano, e pertanto questo periodo che sia per gli uomini che per le donne è lo stadio della definizione di sé, delle scelte di lavoro ed affettive, degli impegni politici e sociali diventa per le donne un periodo pieno di confusione e angoscie. Nella sua ricerca la Scarf ha incontrato donne che prendevano la pillola, che erano finite in depressione per aver negato, spesso per compiacere e trattenere un partner amato, il loro desiderio di maternità. Soprattutto ha notato che rispetto a un gruppo simile di uomini, le donne di quest’età sembravano molto più prone ai cambiamenti. Mentre gli uomini di solito studiavano, o si dedicavano a una professione e poi si formavano una famiglia con un andamento più o meno regolare, le donne studiate interrompevano più frequentemente gli studi e poi li riprendevano, oppure lasciavano un ottimo lavoro per seguire un nuovo innamorato; o ancora dopo aver avuto un figlio riprendevano a lavorare ecc.
Pertanto fra i 20 e i 40 noi donne ci troviamo a dover affrontare situazioni nuove e ad assimilare continui cambiamenti di ritmi di vita. Per alcune di noi, i conflitti tra ^queste diverse modalità di vita e di aspirazioni possono condurre all’immobilità e alla depressione. Comunque secondo la ricerca della Scarf è solo dopo che le donne hanno raggiunto una certa stabilità emotiva e certi rapporti interpersonali validi, che si stimano abbastanza per dedicare le proprie energie ad altri progetti. La Scarf nota inoltre che per svilupparsi simultaneamente nel campo del lavoro e dell’amore le donne devono sviluppare simultaneamente due tipi di sé diverse. Per amare e farsi amare una donna affina le sue caratteristiche di espressività, emotività, calore, comprensione empatica, qualità che però nel mondo competitivo del lavoro sono spesso un ostacolo. Qui deve imparare ad essere assertiva, competitiva, controllante, dominante ecc. L’alienazione tra queste diverse parti di sé può divenire troppo forte per alcune donne, e lo stress continuo produce una sensazione di “non riuscire bene” da nessuna parte, di essere una “fallita” nel privato e nel pubblico. Da questo senso di disistima, dal divario tra aspettative e realizzazioni nascono spesso le depressioni di quest’età.
Infine sempre in quest’età alcune donne entrano in depressione dopo il parto, o anche a distanza di mesi da esso. Qui sembrano entrare in gioco una serie di fattori, oltre a quelli ormonali, conflitti con la propria madre, ambivalenze sulla nuova maternità, problemi nel conciliare il ruolo di madre e quello di donna con bisogni sessuali, ecc.

Dai quaranta ai cinquanta
In questo periodo ci sono vari fattori che possono condurre alcune donne alla depressione. Perdere o veder diminuire la propria attraenza scatena in alcune donne la paura di perdere il partner, che l’abbandonerà (come spesso infatti avviene) per una donna più giovane. Vedere i figli crescere, andar via di casa e sposarsi significa per quelle donne che si sono identificate soprattutto nel ruolo di madre, veder cambiare il significato quotidiano della propria esistenza, il sentirsi inutili. Per altre entrare in menopausa, perdere la capacità di generare, scatena ansietà e paure simili a quelle già riscontrate nelle ragazze adolescenti. Anche in questo caso si tratta di padroneggiare un cambiamento che prevede dei distacchi, distacchi dai figli; dà una certa immagine anche fisica di sé, distacco da un passato. Con la differenza che nell’adolescenza le speranze per un futuro mobilitano le energie positive mentre una donna di 50 anni spesso si sente svalutata nel presente e teme una ancora maggiore svalutazione futura. Oltretutto per alcune donne i cambiamenti ormonali della menopausa, come peraltro l’uso di particolari medicinali sembra aggravare la tendenza alla depressione.

Dopo i sessanta
Per molte donne vivere dopo i sessanta anni significa vivere l’esperienza di rimanere vedova. E secondo la Scarf molte donne sono semplicemente impreparate fin dall’infanzia a vivere da sole, a bastare a sé stesse. «Così impreparate infatti che una donna spesso è più pronta a provare sensi di colpa, rabbia e rimproveri diretti contro se stessa, piuttosto che ammettere che è delusa da un rapporto, oppure a idealizzare e vivere nel ricordo di persona morta piuttosto che dover decidere cosa fare di se stessa sola».
In un certo senso l’incapacità di molte di noi donne a pensarci, a viverci e progettarci come esseri autonomi è alla base di molte delle componenti psicologiche della depressione. Separarci da esseri amati sembra essere particolarmente difficile per alcune di noi, sia che la separazione il lasciare la famiglia di origine, un rapporto che non funziona, un figlio che è cresciuto, o il ricordo di un marito morto. Per evitare separazioni secondo la Scarf molte donne sono disposte a sopportare l’intollerabile nei loro rapporti. Se un figlio ci delude, se un rapporto d’amore si spegne invece di affrontare apertamente il problema, preferiamo pensare che la causa delle difficoltà giace nella nostra mancanza di valore, nella nostra inferiorità, bruttezza, incompetenza ecc. Da questa pseudoanalisi nascono i continui sensi di colpa che spesso le donne denunciano. Sensi di colpa che nascondono la rabbia dell’oppressione. Divenire depresse è un modo per scaricare questi sentimenti negativi salvando il legame, evitando in tal modo il male più temuto, l’abbandono.
Mentre la Scarf sostiene che oltre al training ricevuto dalla più tenera infanzia, le donne sono probabilmente biologicamente più predisposte agli attaccamenti, e dunque inesorabilmente in questa società, più prone alla depressione, altre femministe americane contestano queste posizioni. Esse hanno incominciato a lavorare con gruppi di donne depresse in terapia, partendo proprio dai sentimenti di risentimento e rabbia negati che sono spesso presenti nella depressione. Secondo loro molte più donne sono depresse degli uomini, perché molte più donne di uomini in questa società vivono in situazioni di quotidiana oppressione, non riconoscimento e svalutazione. In questi gruppi le donne imparano confrontando le loro storie a scoprire quali sono le fonti dì questa oppressione e capire quali sono i propri bisogni, affrontando quella paura della solitudine, della mancanza d’amore che spesso rende le donne prigioniere di situazioni patogene.
Se vogliamo diventare persone è indispensabile che usciamo dall’abitudine di usare il nostro successo o insuccesso nei rapporti affettivi come solo metro per la definizione del nostro valore, senza tuttavia perdere quella che io almeno percepisco come un nostro immenso patrimonio: la capacità di entrare in sintonia con gli altri, di percepirne i bisogni, di provare empatia per i nostri simili. Occorre che gli uomini sviluppino maggiormente queste caratteristiche e che noi cominciamo ad apprendere a stare anche da sole, senza sentirci sminuite. Dobbiamo deprogrammarci da millenni di condizionamenti, senza divenire simili alla maggior parte dei maschi.
Dobbiamo inventare nuovi modi di vivere che rispettino la nostra diversa capacità di sentire, senza penalizzare, né la nostra maggiore propensione a dare importanza ai rapporti, né la nostra capacità di interessarci alle cose, dì creare nel mondo, dì partecipare ai cambiamenti sociali politici economici.
Invece di finire sempre più spesso depresse, dunque immobilizzate in sentimenti negativi su di noi e sul mondo, potremmo allora usare le nostre grandi energie per migliorare la nostra vita e quella intorno a noi. Per cui, per noi, il riflusso nel privato è ancora più potenzialmente pericoloso che per i maschi, in quanto come ben dimostra il libro della Scarf, è proprio, nel fare del privato, dei nostri rapporti affettivi, il solo centro della nostra esistenza, che noi rischiamo di essere particolarmente trascinate nella disperante spirale della depressione, se come spesso avviene, i nostri rapporti si rivelano deludenti, incompleti. Soprattutto dobbiamo guardarci dal sogno ricorrente, a cui ci hanno perfettamente condizionate, che occorre sempre continuare a cercare l’uomo giusto, il rapporto perfetto. Non è solo da un rapporto che può venire la nostra identità di persone, quella dobbiamo costruircela da sole anche faticosamente in un confronto continuo con le varie forme del reale, e dell’immaginario, quelli dentro e quelli fuori di noi.