la nostra informazione

come la vediamo, come la viviamo, cosa è? Ne discutiamo in redazione con due compagne di Radio Donna, di Roma, Patrizia De Mei e Marina Rivetta, due ascoltatrici elettrici, Letizia Fabi e Ivana Ti rietti, due compagne della nostra redazione, Maricla Tagliaferri e Marina Virdis, e una nostra collaboratrice, Lisa Poleri.

giugno 1977

Maricla – Ci interessa avviare un dibattito sull’informazione femminista. Vorremmo sentire dalle ascoltatrici di Radio Donna e dalle nostre lettrici le loro esigenze e le loro aspettative nei confronti di un’informazione femminista, come la vedono o come la vorrebbero diversa rispetto al modo maschile di fare informazione, avviare cioè un primo confronto fra chi la fa questa informazione — o almeno ci prova — e chi la fruisce.
Letizia – Vorrei fare un’obiezione di base. Un conto è la comunicazione scritta, un altro è la comunicazione orale, quella radiofonica. Le due forme sono profondamente diverse, anche se i contenuti possono essere simili, non credo che si possano confrontare.
Patrizia – Non vorremmo fare un discorso sul mezzo di comunicazione. La domanda che potremmo fare è questa: dal momento che è cominciato il femminismo e sono cominciati ad uscire dei contenuti specifici, tu che leggi il giornale e continui a sentire la radio, cioè continui a vivere l’informazione maschile, e insieme segui noi, rilevi una differenza fra i due modi di fare informazione o no? In questo numero le compagne di Effe iniziano a parlare della strumentalizzazione del femminismo da parte dei mass media.
Potremo partire da questo: l’informazione sul femminismo e l’informazione femminista. Come sono diverse le informazioni che abbiamo da parte di chi nel femminismo non ci sta e quelle che riceviamo da chi il femminismo lo vive dall’interno.
Esperienze e tentativi di comunicazione fatti da compagne femministe, sono tutto sommato pochissime. O sono esperienze ad un livello di comunicazione interno oppure resta Effe, l’unico giornale a diffusione nazionale e — a Roma — Radio Donna, che è la unica radio quotidiana femminista in tutta Europa. Le altre radio donna delle radio private, hanno una o due ore settimanali di trasmissione. Per quello che dicevo prima, vogliamo chiarire la differenza fra problemi del femminismo e problemi delle donne?
Letizia – Secondo me le barriere sono abbastanza sfumate, la problematica femminista sfuma anche nel femminile. Bisogna intendersi sui termini.
Patrizia – Se tu leggi un settimanale femminile, ci sono molto spesso trattati gli stessi argomenti che trattiamo noi. Ma perché uno lo chiamano femminista e uno femminile?
Marina P. – Se il nostro tema è l’informazione che raggiunge le donne, allora l’informazione femminista è quella fatta da soggetti femministi che operano nel campo dell’informazione per portare certi contenuti alle donne. Dall’altra parte c’è l’informazione borghese, che parla delle donne per essere letta e ascoltata dalle donne ma non ha contenuti femministi. Io, come femminista che lavora dentro un collettivo di donne che fa informazione, evidentemente ricevo l’informazione fatta da altri in un certo modo, perché mi serve per ricostruirla e riproporla. La vedo magari in un modo diverso da chi la legge per indirizzarla verso altre attività.
Marina V. – Secondo me qui non si può fare un’analisi della stampa femminile in contrapposizione alla stampa femminista. Al convegno delle giornaliste a Milano noi di Effe abbiamo proposto l’abolizione della stampa femminile. Allora, parliamone, sì, ma in che maniera?
Abbiamo proposto l’abolizione di questi giornali per una migliore qualità dell’informazione.
Non vogliamo assolutamente giornali che abbiano un pubblico ben individuato e settorializzato, in questo caso le donne. Questa proposta, fatta così e in quella sede, è ovviamente una provocazione. Deve servire da stimolo per un’analisi e un approfondimento del problema, è chiaro che va intesa in modo articolato. Nessuna chiede alle donne che lavorano nei femminili di rinunciare al posto di lavoro. Sostanzialmente non vogliamo l’informazione ghettizzata: questo è il senso. I giornali femminili non fanno altro che avvalorare la divisione sessista a tutti i livelli. Comprando i giornali femminili in genere facciamo un’azione politica ben precisa, prendiamone coscienza.
Maricla – Chi ci segue un minimo di scelta nell’ascolto o nella lettura l’ha fatto, nel senso che percepisce questa famosa differenza di cui dicevamo all’inizio e per un motivo o per l’altra decide di seguirci.
Marina P. – La scelta non parte dalla consapevolezza razionale della scelta, parte al limite dal recepire il linguaggio che esce da Sala Effe della radio nazionale, per esempio, e quello di Radio Donna in un modo diverso.
A Sala Effe c’è sempre l’impressione che dall’altra parte ci siano gli esperti, quindi c’è un tono molto più distaccato tra il pubblico e chi fa la trasmissione, così è più difficile telefonare a Sala Effe: c’è sempre il timore del giudizio di chi riceve la telefonata. A Radio Donna si può telefonare tranquillamente, perché chi risponde si impapera, parla male, ecc..
Ivana – Mica vero, è difficile pure telefonare a Radio Donna.
Marina P. – Magari si preferisce un livello qualitativamente più basso, ma che però ingloba, riesce a coinvolgere molto di più. Poi, una volta coinvolta, la donna che ascolta riesce a seguire un livello di discussione che prima sembrava astratto o estraneo. Questo succede proprio grazie a questo coinvolgimento iniziale.
Maricla – In fondo è lo stesso tipo di meccanismo per cui la donna che si è letta Annabella fino ad un certo punto e prende in mano Effe per la prima volta, non rimane colpita tanto dagli argomenti che trattiamo, quanto dal fatto che sono scritti dalle altre donne.
Anche per Effe scatta il meccanismo che hai chiamato «livello di scelta non cosciente», cioè l’essere coinvolte dal modo stesso di porre l’informazione. Se informazione è comunicazione una differenza si deve percepire; se la percezione è razionale o emotiva personalmente mi interessa poco, almeno a questo livello di discorso.
Marina P. – Il linguaggio parlato è la prima forma di comunicazione e il rapporto verbale è molto più immediato, riesce a toccare livelli più emotivi. I momenti della comunicazione scritta, con il tempo di riflessione che necessariamente richiedono (si impiega più tempo a leggere che ad ascoltare), obbligano a livelli di coscienza più alti. Il leggere ti impone momenti di meditazione, quindi un livello di comunicazione mediato, che si pone su un piano razionale più alto, che evidentemente non hai nel rapporto con la radio.
Letizia – Nella comunicazione orale, proprio per il fatto che è coinvolta la sfera emozionale, molto spesso corri il rischio di un rifiuto o di un ascolto selettivo. Se l’argomento trattato colpisce certi pregiudizi o certi modi di essere, l’ascolto viene tolto e mai più recuperato. Del resto ha delle possibilità molto grosse. Può far emergere potenzialità, capacità, può chiarire esigenze interiori che non sono stimolate dalla lettura, perché gioca molto il fatto stesso della voce.
Ivana – Io con Radio Donna ho preso coscienza, per esempio: prima ero la classica madre di famiglia, spicciavo casa ecc. Poi ho cominciato a sintonizzarmi su Radio Donna, di cui mi avevano parlato. Ascoltando ho cominciato a capire tante cose, a sentire me stessa, prima di tutto.
Ascoltando delle donne che stavano come me, che si erano stufate, e poi anche il vostro modo di parlare, quello che dicevate sul dover pensare a noi stesse, e anche il modo di esprimersi. Però non ho mai telefonato; non mi sono sbloccata su questo. Sto qui stasera perché mio marito era andato a portare una sottoscrizione a Radio Città Futura e ha lasciato il numero di telefono e anche il nome mio. Io speravo che nessuno mi chiamasse, invece mi hanno telefonato le compagne ed è stata una spinta a uscire. L’informazione dei giornali femminili, ti impone un’immagine di donna in un certo modo. Io prima leggevo Intimità e mi piaceva. Rileggendola dopo che sono cambiata mi sono fatta tante di quelle risate!
Letizia – Prima si è parlato dell’abolizione della stampa femminile facendo di ogni erba un fascio, mentre secondo me esistono differenze grosse nel panorama deila stampa femminile. In certe riviste c’è un tentativo di introdurre dei contenuti femministi in modo corretto. Penso alla trasformazione della posta del cuore, per. esempio. Ci sono giornaliste che hanno maturato una coscienza femminista e qualcosa di diverso la dicono. Forse bisognerebbe capire che molte donne vivono in una realtà in cui le cose arrivano di riflesso (o di riflusso), con tempi diversi e in modi diversi. La stampa femminile raggiunge un’infinità di donne, dei contenuti diversi, più avanzati li trasmette, non credete sia positivo?
Marina V. – È ovvio che i giornali femminili sono cambiati. La stampa non fa altro che adeguarsi ai nuovi stan-dards, non ti propone dei nuovi modelli. La donna italiana in cinque anni è profondamente cambiata, sarebbero stupidi a fare Amica come la facevano cinque anni fa. Proprio in questo adeguamento sta l’altro grossissimo pericolo, quello del recupero e perciò la mistificazione dei contenuti femministi. Sui femminili non ci sono cose femministe, ci sono ventate, frasi, comunque ad un livello emancipatorio. I femminili esistono e sopravvivono perché sono dei grandi calderoni di budget pubblicitari, rivolti alla donna consumatrice. Come sappiamo la donna, quando non ha il potere d’acquisto, incide sulla decisione.
Sulla qualità dei giornali femminili, incide poi la considerazione del target. Cioè, prima di fare una rivista, un editore avvia un’indagine di mercato e stabilisce che una certa fetta è scoperta, per esempio le donne di cultura media dai 18 ai 22 anni; così costruisce il giornale in modo da soddisfare quella fetta ben precisa di potenziali lettrici, e così nascono i giornali con la esperta di femminismo ecc. Io mi chiedo: un certo pubblico di donne, quanto è in grado di recepire le notizie «femministe» come vere e buone o come invece mercificazione? Insomma questo è il grosso problema che ponevamo anche noi nel questionario di Effe un anno fa: male o bene, mistificato, filtrato, censurato, è bene che il femminismo arrivi attraverso tutti i tipi di stampa o no? Perché ad un certo punto le cose vengono snaturate.
Marina P. – È vero che c’è il recupero, ed è vero che nella logica di chi fa i giornali c’è il profitto. Però a me viene in mente l’immagine della borghesia che solleva un masso sopra la testa e poi se lo fa cadere sui piedi. Il movimento ha degli strumenti estremamente limitati per propagandare il proprio elaborato, e se avesse avuto solo questi e il silenzio completo dall’altra parte, sarebbe rimasto ristretto a quella avanguardia che prima o poi si sarebbe consumata su se stessa, senza l’impatto con le altre donne. Non è vero che il femminismo è penetrato solo attraverso un’organizzazione di movimento; è vero che il femminismo è un movimento di opinione e quindi ha bisogno di supporti, ha bisogno anche degli strumenti di informazione borghesi.
Non dobbiamo dimenticare che è anche grazie alle giornaliste e alle scrittrici che lavorano in quei giornali, che col tempo sono diventate anche loro femministe e che in parte intaccano dall’interno il potere dell’informazione borghese, che siamo cresciute. Ovviamente i giornali femminili vanno ugualmente attaccati e criticati. Però il problema lo vedrei molto articolato. Da parte nostra bisogna fare in modo di potenziare gli strumenti di elaborazione che sono propri del movimento, per un allargamento dei soggetti che fanno informazione dall’interno del movimento, tenendo presente che dobbiamo avere dei momenti di alleanza con quelle giornaliste che lavorano nei femminili che stanno facendo il nostro tipo di discorso, ma che però evidentemente non possono dire «rinuncio al lavoro» e che perciò sono sottoposte ad un’organizzazione di testata tremenda, burocratizzata, castrante, emarginante per le donne. Loro incominciano ad organizzarsi all’interno delle testate e nell’organizzazione di lotta nascono anche i nuovi contenuti che comunque passano poi attraverso le riviste. Nel momento in cui prendono coscienza di essere donne e di essere colpite per prime da certi bisogni e di avere la necessità di dare ad essi una risposta femminista, di fronte alle lettere delle lettrici non possono più rispondere in modo vecchio. Certo tutto questo può essere un ingabbiamento, ma sta a noi non farlo diventare tale,
Maricla – Io ho molta paura quando sento attaccare a spada tratta i giornali femminili, naturalmente quelli «avanzati», anche se poi in sede di intervento politico questi attacchi sono necessari, perché devi far chiarezza. Bene o male i giornali femminili rientrano nel processo che possiamo chiamare di formazione e diffusione di valori. Per quanto limitatamente, il loro adeguamento a nuovi contenuti contribuisce al cambiamento delle donne perché spesso sono le loro uniche fonti di informazione. Secondo me bisogna rimboccarsi le maniche, non rinchiudersi in torri di purezza ideologica (perché il femminismo non è un’ideologia) e avere pazienza nella nostra lotta. Perché è vero che il femminismo è rivoluzionario ed eversivo — tuttavia prima di diventare coscienza diffusa si deve scontrare coi tempi lunghi dell’inerzia dei valori dominanti e il loro cambiamento. Dobbiamo renderci conto che questi nostri nuovi valori devono passare attraverso tutti i canali possibili: nessun obiettivo è troppo arretrato per il femminismo. Se vogliamo capire se i femminili sono cambiati perché sono cambiate le donne o viceversa, non possiamo non riferirci al fatto che sono legati al mondo della produzione e del consumo. La risposta è che i femminili sono cambiati perché sono cambiate le donne. Dal cambiamento della posta di cui parlava prima Letizia verifichi solo quanto è cambiato il pubblico e quanto il giornale s’è dovuto adeguare. Ma il rapporto è dialettico. Cercherei però adesso di scendere un po’ più nello specifico delle nostre esigenze, di noi che la facciamo questa informazione diversa e di voi che la fruite, per vedere un po’ come possiamo crescere e cambiare noi.
Patrizia – C’è un’enorme differenza fra i problemi che ha una radio e quelli di un giornale. La differenza sostanziale è che voi di Effe avete una verifica
solo dopo che il giornale è uscito (dalle vendite, dalle lettere) noi abbiamo una verifica quotidiana di quanto siamo comprensibili e di qual è il pubblico che ci segue, verifica che ti fa fare a volte dei salti indietro. Mentre per esempio parli di tematiche che sono specifiche del movimento, di cose che riguardano al limite solo le «addette ai lavori», ti telefona una che ti chiede «voi perché vi chiamate compagne, che c’entra, che vuol dire?» e allora tu che sei partita in quarta con delle cose che sicuramente buona parte di chi ascolta non capisce più ricevi l’avviso di frenare e di ricominciare.
Mi sembra di notare un cambiamento di Effe in questi ultimi numeri. Prima sembrava più «scritto da», mentre ora è fatto soprattutto di scritti e documenti dei collettivi, testimonianze di donne, in modo che riuscite a raccogliere sia le voci del femminismo con anni di militanza alle spalle, sia i nuovi collettivi. Questa è un’altra grossa differenza con noi (differenza che poi produce, perché credo che le lettrici siano aumentate). Noi in un certo modo siamo emarginate dal movimento, perché non possiamo parlare sempre ed esclusivamente di problemi interni; a volte facciamo trasmissioni che sono su fatti spiccioli e quotidiani delle donne e lo facciamo proprio perché se no magari quelle che ci telefonano per sfogarsi scriverebbero ai giornali di cui abbiamo parlato prima, o telefonerebbero a 3131, che è un modo che isola le donne, ancora di più, non dà sbocchi.
Il punto forse è che siamo troppo poche a fare informazione, e il nostro pubblico va da chi sceglie di andare a comprare Effe a questa massa indiscriminata di donne che ascoltano la radio, non esiste un livello intermedio di informazione.
Marina V. – C’è da dire che lo sforzo di far parlare il movimento e le donne in prima persona, abbiamo sempre cercato di farlo. La differenza fra prima e adesso è che prima i documenti ci arrivavano o tardi o scritti in modo impubblicabile o spesso non ci arrivavano affatto.
Patrizia – Non c’è da confondere la volontà della redazione con l’effettiva diffusione e importanza che si dà allo strumento: se tu ritieni che lo strumento sia utile il documento glielo mandi, se invece ritieni che sia elitario o altro, il documento non glielo mandi.
Marina V. – Volevo solo dire che non è che prima i documenti c’erano e noi
non li pubblicavamo, dicevo che se Effe è cambiata, vuol dire che è cambiato anche il movimento. Sappiamo benissimo la difficoltà di lavorare, di scrivere le cose, che magari frenava la produzione scritta del movimento; sappiamo anche la diffidenza verso la pubblicazione di certe cose. Ora forse c’è maggior bisogno di comunicazione delle esperienze.
Patrizia – Quanto incide l’informazione perché le cose si muovano?
Marina V. – Io vorrei il quotidiano femminista, il settimanale, il quindicinale, il mensile e le radio in tutta Italia, dobbiamo crescere anche numericamente.
Marina P. – C’è anche un altro problema nodale: lo strumento di informazione come momento di organizzazione, nel senso che secondo me uno strumento di informazione nuovo deve porsi come momento di aggregazione. Questo è importantissimo per il movimento, perché funziona da acceleratore. Ad esempio le casalinghe. Si sollevano i problemi che diceva prima Ivana: riusciamo a mettere in crisi la casalinga, che non ha altri contatti che col marito, i figli, la vicina. Se lo strumento di informazione, che in questo caso è di disgregazione di una coscienza conservatrice, non dà strumenti per superare questa fase di distruzione e per ricostruire una coscienza alternativa la casalinga che abbiamo messo in crisi, muore, nel momento in cui prende coscienza della propria nullità precedente e non trova momenti di aggregazione. Allora che fai? In alcune trasmissioni abbiamo detto proprio questo, che era necessario cominciare ad andare dalla vicina e cominciare a parlare dei problemi comuni.
Lo strumento di informazione deve essere lo stimolo all’aggregazione, alla uscita dall’isolamento, se vogliamo far sì che l’informazione che diamo serva per una crescita reale. E poi soprattutto se non vogliamo che venga gestita da altri mezzi di informazione, che hanno come obiettivo fondamentale anche se non cosciente — oltre al profitto — la disgregazione e l’isolamento delle donne.
Ivana – Be’, però è una questione lunga e difficile. Da quando sono cambiata cerco di parlare di certe cose con una mia amica, della mia età, che fa le stesse cose che facevo io prima, be’, per lei io ho i grilli in testa. Un’altra vicina che prima veniva da me, da quando le faccio certi discorsi non viene più: insomma mi hanno isolato. Io sono quella che c’ha i grilli in testa, quella che va alla manifestazione dell’8 marzo lasciando i figli a casa. Credo che io stessa ho un po’ di confusione in testa e forse non sono molto chiara ih quello che devo dire, devo crescere pure io prima di parlare con le altre. Ancora non faccio parte di nessun collettivo, lo sto cercando nella mia zona. Qualche cosa la devo fare per chi mi sta vicino, mi devo spiegare meglio, così quando gli dico leggiti Effe o senti Radio (Donna mi danno retta; adesso non mi capiscono.
Patrizia – Oggi sull’importanza dell’informazione e degli strumenti che abbiamo mi sento diversa dalla settimana scorsa. In questa settimana ci sono state molte riunioni del movimento romano alla sede di via del Governo Vecchio.
Da un lato è stato bello vedere come si allarga il movimento e come si mobilitano quelle donne che si sono decise ad uscire di casa per andare ad una riunione; dall’altro mi ha fatto riflettere il modo in cui queste donne si sono sentite estranee alla discussione che vi si svolgeva, tutta interna al movimento, comprensibile solo per le militanti da lungo tempo. Se la situazione del movimento è in questo momento così complicata e problematica da recepire per una «nuova», lo strumento di informazione, come si deve comportare rispetto alle riunioni di questo tipo?
Lisa – Non è detto che ti senti male alle assemblee solo perché sei esterna al movimento. L’assemblea in sé è uno strumento insufficiente ed emarginante; o fai le commissioni, i piccoli gruppi ecc., dove riesci — anche come spazio fisico — a parlare con le compagne, perché ti senti meno aggredita, non devi gridare di più, o non puoi aspettarti da un’assemblea la crescita delle donne.
Patrizia – Tu che hai già esperienza di militanza sai che esistono altri spazi o altri tipi di organizzazione per comunicare con le altre donne, ma quelle che arrivano lì perché l’hanno sentito a Radio Donna che c’era, non lo sanno, non vedono altre possibilità di aggregazione; poi una volta lì si spaventano e scappano, forse per sempre.
Lisa – Ma allora non si possono dare queste indicazioni di andare alla tale assemblea prima di sapere con precisione cosa troveranno le donne. Tu sai che ci sono dei modi e dei momenti che escludono di fatto le esterne o le nuove del movimento, allora non puoi mandare allo sbaraglio. È molto meglio stimolare le donne ad andare nei collettivi di quartiere. Patrizia – Ma ti rendi conto che responsabilità politica è fare questo? Significa selezionare prima i momenti di aggregazione delle donne.
Lisa – Ma è ancora più selettivo mandare le donne ad un’assemblea di questo genere.
Marina P. – Io che non ho una pratica vecchia di movimento, onestamente pensavo che sarebbe stata positiva. Tu che fai informazioni ti trovi a dover dare la notizia che il movimento a Roma sta facendo un salto che personalmente ritengo importantissimo: sta creando un punto di riferimento che sia anche un luogo fisico — oltre che politico — di aggregazione di un movimento che è sempre stato la somma di decine di collettivi.
Lisa – Tu sai però che in questa fase ci saranno dei problemi, che verranno fuori la disgregazione e i casini. Non puoi pubblicizzarla a livello di massa prima che delle dinamiche interne non vengono chiarite. Perché chi non ha, per mancanza di pratica precedente, la possibilità di fare un’analisi di quello che sta succedendo è chiaro che non capisce e scappa.
Marina P. – Io mi sento male a sentire questo discorso, perché è lo stesso che si faceva nei gruppi. Le istanze dirigenti dicevano «Questo è un luogo politico in cui si dibatte ad un certo livello, per cui non possono essere fatti degli inviti esterni». Quello che dici significa fare una selezione precedente da parte di una ristretta cerchia dirigente.
Lisa – Sì, ma in questo caso è diverso. La nostra forza principale è quella di essere chiare. Per cui se tu dici «Andate al Governo Vecchio perché è aperto a tutte le donne» in un momento in cui sai che non è ancora così, mistifichi la realtà. Riconosciamo e diciamocelo chiaramente che ci sono persone che sono arrivate al femminismo per strade diverse, così che il livello di dibattito in certe occasioni può risultare alla «nuova» incomprensibile. Questo bisogna dirlo.
Maricla – Rispetto ad una situazione di questo genere, in cui le militanti, quelle che sono al corrente della situazione e possono più o meno prevedere cosa può succedere in una assemblea si trovano a dare l’informazione alle non militanti, in che modo devono darla questa informazione? Che tipo di informazione a tappeto devi dare prima per preparare in qualche modo le donne che inviti ad andare? Oppure devi decidere di non fare nessun lavoro preliminare e scegliere di non dare la notizia? Come si fa a dare una informazione di questo tipo senza fare le addette ai lavori o quelle che selezionano le occasioni di aggregazione adatte alle donne a seconda dell’età, della classe ecc.?
Marina V. – L’informazione la dai, ma articolata, affrontando il problema globalmente, non nascondendoci i problemi che la crescita e la diversificazione del movimento pongono, il problema della violenza delle autonome, ecc.
Marina P. – Per tornare alla selezione delle notizie e al modo di darle. Il non dare una informazione significa dare un’informazione in negativo cioè mettere in evidenza altre cose. Su questo molti collettivi di radio si sono spaccati nel momento dei casini del movimento studentesco: dare o non dare i comunicati degli autonomi, mandare o no la registrazione di assemblee egemonizzate dagli autonomi? Noi che vogliamo fare un lavoro di rottura rispetto ad un’informazione tradizionale cadiamo proprio sulla vecchia maniera di fare informazione, cioè quella di selezionare le notizie in base ad una linea politica. È logico questo, ma che avviene? In questa maniera tendi non ad informare, ma a formare, ad ideologizzare attraverso i contenuti che fai passare rispetto ad un tuo elaborato, ad una tua linea. A mio avviso l’elemento rivoluzionario dell’informazione sta nella capacità di aumentare le possibilità critiche e di conoscenza del fruitore, negando il momento ideologico, cioè negando il momento manipolante. A questo punto tutto quello che accade deve essere dato. Il problema è come trasformare l’ascoltatore in fruitore attivo e critico. Il modo migliore è quello di organizzare dibattiti. In questo Radio Donna è andata avanti molto a livello intuitivo, anche spontaneistico, a volte anche in modo deteriore. Però, cos’ha fatto per esempio in occasione di questa assemblea al Governo Vecchio? Quando è stato occupato dall’MLD abbiamo fatto alcune trasmissioni sulle attività che si svolgevano lì. Poi c’è stata la crisi del-l’MLD rispetto alle istituzioni e rispetto al Partito Radicale; in seguito a questo la sede del Governo Vecchio è stata aperta al movimento. Questo fatto importantissimo tu lo dici per radio (naturalmente bisognerebbe seguire sempre le trasmissioni per capire l’evoluzione delle notizie che vengono date). In occasione dell’assemblea abbiamo detto: andiamo tutte al Governo Vecchio. Per me è giusto, perché dovrei essere una privilegiata solo perché sto al collettivo di Radio Donna e le notizie le vengo a sapere così? Certo a questo punto nascono i problemi, perché in quest’occasione ti poni anche come organizzatore. All’assemblea scoppia il casino, scontri di linea, disaccordi, scazzi, L’organo di informazione ti deve mettere al corrente: è successo questo e questo e vediamo perché. Così dai un’informazione corretta, coinvolgendo tutti i collettivi interessati, perché naturalmente ci saranno opinioni diverse in proposito.
Marina V. – Questo del casino alle assemblee e il relativo terrore delle partecipanti nuove è sempre successo alle nostre riunioni di movimento, è come un modo particolare di crescere fra noi. Secondo me è da attribuire alla crescita del femminismo.
Lisa – Io non dico di selezionare le notizie, ma di darle in modo chiaro. Si sapeva della crisi dell’MLD, che avrebbe generato uno scontro tra vari modi di fare femminismo. Allora prima devi chiarire tutti i problemi, poi apri all’esterno. Il fatto che voi di Radio Donna date le notizie e le indicazioni di comportamento sul vuoto, questo è grave. Chi decide di farlo, Radio Donna parla per l’intero movimento? È un collettivo o un gruppo di collettivi, è la voce del movimento? Questo va chiarito.
Marina P. – Radio Donna è un collettivo e parla come tale.
Patrizia – Nello specifico, fare quello che dice Lisa, cioè parlare a nome dell’intero movimento romano, avrebbe presupposto un incontro di tutti i collettivi che fanno riferimento al Governo Vecchio su come fare informazione verso l’esterno, solo così la notizia avrebbe rispecchiato la voce e la volontà del movimento, cosa che non c’è stata e non c’è ancora. A noi arrivano le telefonate dei collettivi che ti pregano di dare questa o quella notizia. Come facciamo a controllare tutti i comunicati di tutti i collettivi di Roma? Sono sessantuno, come facciamo a stabilire quale comunicato è quello più rappresentativo e i rapporti di ciascun collettivo con gli altri?
Maricla – Del resto questo è un problema che abbiamo anche noi. Come fai a selezionare le notizie e le testimonianze che ti arrivano? Hai scelto la linea di non fare la giornalista del femminismo, hai scelto di far parlare i collettivi, ti arrivano i documenti da tutt’Italia. Come fai a controllarli tutti? Ci sono dei casi precisi in cui ti trovi a dover fare una scelta immediata tra lo stare zitta su una serie di problemi — per paura di non essere sufficientemente rappresentative — come a volte facciamo noi, oppure rischiare di dare un’informazione parziale, rischiare sul vuoto, come dice Luisa. Quando tu hai, come collettivo di informazione, una linea politica, spesso ti trovi di fronte al bivio di usare il modo tradizionale di fare informazione, selettivo, filtrato, ideologizzato, (che in fondo è più semplice) o affrontare tutti i rischi di tentare di costruirla, un’informazione diversa.
Letizia – Nel momento in cui si dà una informazione già la si manipola, non c’è niente da fare, Di fronte a questo 1′ importante è fare opera di controinformazione rispetto ad una informazione di regime. Cercare di fornire notizie al massimo dell’obiettività, però senza l’illusione di poter raggiungere l’obiettività assoluta. Tacere una notizia non mi sembra una scelta possibile, anche se va discusso come e quando farlo.
Patrizia – Inevitabilmente ti schieri da una parte!