la politica contraddittoria

gennaio 1977

ogni giorno, i responsabili politici delle nostre società oscillano tra due possibili soluzioni di cui comunque non sanno valutare i vantaggi e gli svantaggi: da un lato trattenere (o in periodo di recessione rimandare) le donne in casa, dove assumono su di sé quasi gratuitamente il lavoro di riproduzione di produttori, calmano le energie rivoluzionarie dei lavoratori e trasmettono passivamente l’ideologia dominante che è per giunta’contro di loro; d’altro lato, utilizzare a buon conto il potenziale prduttivo che rappresentano le donne (il 50% circa della popolazione) facendo ricorso a loro come si fa con la manodopera straniera.
Esiste una contraddizione che sottintende una esitazione, peraltro percepibile in tutte le decisioini prese dal potere. La soluzione a cui si ricorre per ovviare a questa contraddizione è la seguente: integrare le donne nel mondo della produzione, facendone dei lavoratori sottopagati e mobili, il che aumenta il profitto e rinforza la divisione della classe operaia, ma continuando al tempo stesso a lasciare loro il peso della riproduzione, senza retribuirle per questo loro lavoro.
Prese da questo inganno di pseudo eguaglianza le donne oggi subiscono due forme di ingiustizia e di sfruttamento: da un lato forniscono un lavoro professionale sottopagato e dall’altro continuano a fornire lavoratori alla società senza ricevere un salario.
Le donne forniscono a tutte le società, ma soprattutto alle società sviluppate una tale massa di plusvalore che si può giustamente affermare che queste società non potrebbero sopravvivere e certamente non potrebbero progredire senza questa forma nascosta ma generale di sfruttamento.
Questo duplice sfruttamento non è solamente una verità teorica che si manifesta solo quando la si analizza: è vissuta quotidianamente e duramente dalla grande maggioranza delle donne.