creatività

la politica di pandora

«ma che è artista?
una domanda fatta con tutte le buone giustificazioni del caso, ma anche prigioniera di tutte le vischiosità politiche e maschili che implica».

gennaio 1978

la vicenda di Donne/immagine/creatività è quella dell’impegno politico femminista di un gruppo di artiste (su questa parola c’è bisogno di ritornare) che non da oggi pongono e si pongono il problema di adeguare e di attrezzare la condizione del loro specifico lavoro ai significati, alle difficoltà, alle prospettive del movimento. Per far «politica», da un lato, per non distruggere nel politico il loro specifico. E non è un caso che i due «termini» rechino il segno femminile e maschile.
Ci sono state tappe del nostro lavoro: diverse e legate alla diversità dei nostri segni, delle, nostre storie e legate alla volontà (e/o volontà bisogno) di stare insieme, volontà di costruire una pratica politica femminile; pratica politica costruita con il nostro linguaggio privo di separatezze che risultano comunque ghettizzanti anche se a gradi di alta gratificazione, ma sempre carica di tutta la nostra diversità e della scoperta vissuta della nostra storia di donne e dei segni che essa porta. Ci siamo trovate fra le donne per parlare il linguaggio (e del linguaggio) delle donne.
Siamo state l’otto marzo alla Galleria Vanvitelli (senza galleristi, senza mercanti, senza padroni e senza critici) per far politica coi segni delle donne. Bene: abbiamo marcato una tappa della lotta che ci appartiene; abbiamo anche verificato non solo le difficoltà complessive di questa lotta ma anche quelle specifiche, interne ai modi del nostro operare, interne alle nostre forme di coscienza ed al nostro far politica da donne e coi segni ed il linguaggio che ci siamo dati e costruiti. Quale linguaggio? il linguaggio creativo delle donne e il linguaggio artistico che è il nostro lavoro. Ebbene, abbiamo imparato quanto ci costi sottrarre questa categoria «dell’artistico» ad un uso «storico», perché non maschile, e restituirla tutta intera intera, come noi la viviamo, alla realtà creativa delle donne, alla storia creativa delle donne. E sappiamo quanto sia difficile fare questo senza impoverire questa categoria, senza affogarla in una pratica di consumismo e/o consumarla in un uso ancora una volta integrato «storico» e maschile.
Quali difficoltà abbiamo incontrato? Certamente una e non secondaria: sentire e anche sulle labbra delle nostre compagne, una domanda: ma chi è artista? e anche sentire gradi meno generici e meno «ingenui» di questa domanda: chi è professionale in questo settore? e certo si trattava di una domanda fatta all’interno della battaglia delle donne; per fare politica delle donne. Una domanda fatta con tutte le buone giustificazioni del caso, ma anche prigioniera di tutte le vischiosità politiche e maschili che essa stessa implica. Noi pensiamo che questa sia una difficoltà ed un confronto che ci riguarda e come movimento e come specifico con cui operiamo dentro il movimento. Per questo tentiamo una risposta: senza nessuna voglia di sistematizzare niente ma per essere nel movimento con la nostra esperienza e il nostro specifico. Infatti pensiamo che il dato della professionalità sia una categoria storica, una chiave di lettura delle condizioni delle pratiche sociali, un sistema di distinzioni che appartiene all’ordine che noi vogliamo cambiare.
E diciamo questo senza nessuna enfasi ma senza accettare alcuna riduzione della nostra valenza politica di donne. Parliamo di una storia e di un ordine che si sono già imbattuti nei loro sistemi  critici e certamente noi pensiamo alla critica di classe dell’ordine capitalistico esistente e quindi alla critica di classe di questa condizione della professionalità, così come essa si configura negli equilibri del capitalismo avanzato; in altre parole a come questa condizione professionale sia stata già espropriata, parcellizzata frantumata dalle strutture costrittive, dai codici di comportamento della formazione economico-sociale del capitalismo avanzato. Pensiamo che questo dato riguardi ogni condizione professionale e sappiamo che su questo c’è una critica di classe. Ma c’è di più: c’è una critica del movimento; e secondo noi funziona ed è necessario e possibile che funzioni come coscienza dei bisogni e delle «ragioni» del movimento; e non per fermarsi a questi momenti di autocoscienza, ma anche per essere consapevolezza del rapporto del movimento col «politico», del nostro esser donne, col «politico». Certo, per cambiare questo «politico», e cambiare i codici e le regole delle sue pratiche, condizioni, istituzioni «storiche»; e quindi anche il valore, il segno della categoria della professionalità.
Noi pensiamo, senza appiattire questa categoria, di rivederla, rivisitarla come un momento non sopprimibile della pratica politica femminile; e far questo per restituirla ad un rapporto serrato con quella creatività che ci appartiene come donne, appartiene alla nostra storia ed è il segno della nostra professionalità. Noi pensiamo che ci sia un nodo di questo problema: nessuno, e nel pieno rispetto dei codici che ci costringono al doppio lavoro, ai nostri ruoli angelici, agli aborti neri, alla storia di violenza subita che non da oggi viviamo, nessuno si sogna, dicevamo, di negare che c’è un nesso convalidato tra il dato della professionalità e quello della creatività artistica e non solo artistica; ma che rapporto è? è un rapporto di riconoscimento apprezzato, codificato, solo dopo che è intervenuta, e lo fa sempre puntualmente, la meccanica delle sistemazioni dei ruoli sociali; un rapporto che appartiene alla storia ed alla cultura ufficiale in buona sostanza ai maschi. È un rapporto che nel nostro settore specifico si convalida dopo che è intervenuta (e questo nel migliore delle ipotesi) la critica d’arte; non solo ad assegnare riconoscimenti ma a stravolgere il nostro discorso diretto; ad impedire alla creatività artistica delle donne di esprimere tutto intero il suo segno politico. È questo il rapporto che vogliamo mettere in discussione, e non spezzarne i codici «storico-maschili» ma per costruire, restituire la professionalità dell’artista, della donna artista alle condizioni autentiche, sofferte, vissute della creatività femminile. È questo rapporto vischioso, alienante, difficile a superare anche per molte nostre compagne; e fare ciò per partire dalla condizione generale della creatività femminile e andare verso una professionalità non appiattita, non ridotta ad esercizio dilettantistico; questa eventualità sarebbe una grossa vittoria della struttura che ci opprime. Noi vogliamo fondare una nuova professionalità collegata alle ragioni e alla natura, queste sì storiche senza virgolette, della creatività femminile. E questa è per noi del gruppo: Donne/ immagine/creatività una professionalità politica; per far cosa? Per lottare insieme alle donne per mettere a disposizione delle donne il nostro specifico, per costruire con loro, e, certamente anche attraverso il segno e le capacità significanti che ci appartengono come nuova professionalità, un sistema di impegni, di comprensione, di comunicazioni, di scelte, di lotte. Per noi il problema è stringere un nuovo nesso femminile (ma non tanto nuovo) fra questi termini; professionalità, condizione creativa della donna, politica. Non ci pare facile ma ci pare il nostro impegno.