dialogo

l’amore mi ha anche graffiato

Camilla Cederna ci parla della sua vita, del suo rapporto con gli uomini, del suo lavoro di giornalista

giugno 1979

“ho scritto sui reparti celere, sui colonnelli greci,sul neonazismo, sulla morte di sharo tate, e cosi via, ben prima del ’68”

Milano maggio 1979

«Il conte Calvi di Bergòlo sfida a duello il giornalista Camillo Cederna, così dicevano i giornali perché io avevo scritto che il nobil uomo insegnava equitazione nel suo esilio di Alessandria d’Egitto e l’accusa di lavorare era per lui un’onta da lavare col sangue… Un’altra volta nel giro di via Capuccio, sai la borghesia nera, una sposa, a cui nessuno aveva detto niente, torna dal viaggio di nozze urlando di dolore con la pancia fra le mani; visita del ginecologo di famiglia e veloce la diagnosi: semisfondamento dell’ombelico. Capisci? Il mostro si era accanito per venti giorni contro l’ombelico. Non avevano detto niente neanche a lui».

Sfilano i ricordi tutti sfaccettati a riflettere i lampi della sua ironia. Vuole divertirmi e ha forse paura che l’intervista, che le ho chiesto “personale”, scivoli nell’intimismo. Oppure è infastidita alla sciagurata ipotesi di sentirsi chiedere: «Ti consideri emancipata o liberata?». «Cosa pensi del femminismo di oggi?». E mette le mani avanti con un sorriso timido:

«Non mi chiederai le cose del femminismo, ohe non so niente…».

Cara Camilla, la tua immagine sociale è quella di una donna che non inciampa mai: sei bella, sei intelligente e sei brava; hai successo e amore e sei anche per bene… «Cosa vuol dire perbene, ohe non ho mai scopato per arrivare?».

Non solo questo, ma anche che non hai fatto le mille porcherie possibili di questo nostro mestiere, che non hai ceduto alle mode, che non hai tradito te stessa, che hai scritto e vissuto come di volta in volta ti era naturale. Ecco, questa immagine trionfale, senza crepe né cicatrici, fino a che punto ti appartiene? Non sei un po’ troppo vincente?

« No, questo no, ma sono stata molto fortunata». Allora parliamo un po’ della tua vita e vediamo che Camilla viene fuori.

«Il personaggio centrale è stata la mamma; era una donna straordinaria,’ironica, curiosa, si dichiarava cattolica, ma anticlericale, in casa riceveva gli eroi del modernismo, leggeva molto. Irrequieta,’ era costretta, con mio padre e quattro figli, a fare una vita diversa da quella che in fondo avrebbe voluto. Lui era un chimico industriale e si occupava del cotonificio Cederna; ci voleva molto bene; disegnava per noi libri con fiori, funghi e animali, ma era un tipo solitario, capace di stare pomeriggi interi a guardare i francobolli o di stare zitto per 15 giorni. Era lunatico e, a modo suo, aveva una grande durezza. Credo che mia madre, così estroversa e allegra, ne abbia sofferto anche se certamente si sono molto amati. Quando mio padre è morto, io avevo una ventina d’anni, la mamma ha ritrovato con me la sua giovinezza. I miei fratelli si erano sposati e io e lei da allora abbiamo vissuto sempre insieme fino alla fine, fino a quasi sette anni fa. Viaggiava, mi veniva dietro dappertutto, era pazza per le cose che succedevano; la nostra casa era sempre piena di gente e lei amava i miei amici e anche loro le volevano bene perché era una vecchietta piena di grazia con \ suoi grandi occhi curiosi… si poteva parlare di tutto con lei, di tutto tranne che di sesso. Non potevo raccontarle le mie storie; lei certamente sapeva e tollerava, ma in silenzio mi chiedeva il silenzio». Non ha mai cercato di farti sposare? «Diverse volte mi parlava bene di questo o di quello, dicendomi che comunque da un matrimonio non si può avere tutto e che anche lei aveva fatto le sue belle rinunce, però che forse… eccetera. Allora si svolgeva fra noi all’incirca sempre lo stesso dialogo; “Ti piacerebbe che divorziassi subito dopo?”. “Non si può mica divorziare…”. “Ecco allora lo ucciderei”. Di fronte a questa alternativa si rassegnava».

Perché eri sicura che sarebbe finita così miseramente? «Non ho mai trovato l’uomo giusto; a un certo punto c’era un ingegnere… mi sentivo incastrata, io lo sapevo come sarebbe finita — adesso la sua voce non sorride più e lo sguardo privo della consueta ironia è straordinariamente dolce e intenso — sarei stata da donna di un uomo e io questa dipendenza totale, assoluta non l’ho mai sentita. E poi non si può andare d’accordo in tutto, non esiste nessuno che possa capire ogni moto del cuore e della mente…».

Allora l’uomo giusto non l’hai trovato perché non esiste? «…e piano piano mi sono accorta di non desiderare la convivenza e che volevo sentirmi sola». Non ti è mai capitato, nemmeno nei momenti magici di una storia, dì “quella” storia, di desiderare una vita insieme?

«Mi è capitato eccome, ma era impossibile, si trattava di persona non sposatale e io non volevo fare troppo pasticci; e allora io e il mio innato ottimismo ci convincevamo che era meglio così, Ripensandoci oggi mi rendo conto che è andata bene».

Ti ha mai creato problemi, in passato, essere sempre ufficialmente spaiata in uri mondo di coppie? «Mai avuto problemi ad andare da sola nei posti; salivo fieramente da sola gli scaloni, magari fra due Tiepolo alle pareti, e mi annunciavano: la signorina Cederna. Crederai mica che non la vedevo la miseria di quelle coppie ubriache, coi mariti pederasti, le mogli ohe cambiavano amante ogni sera e che quando non si odiavano era in genere perché non si conoscevano. E poi si acquista dignità lavorando e non correndo dietro al marito -fedifrago o al fidanzato stanco. Io spingo molto le mie amiche ad imparare a stare da sole. Glielo dfco sempre che la solitudine non è una maledizione. E queste sciocche ohe invece piuttosto si cercano degli uomini orrendi, volgari che vedono magari di nascosto dalle due alle tre di notte. E pensare che se riuscissero a starsene da sole, calme e tranquille, prima o poi vivrebbero delle storie meravigliose…». Che cosa rappresenta l’amore nella tua vita? «Una parte molto importante, molto stimolante; forse è un po’ brutto da dire ma è vero, è stato nutriente l’amore per me. Dagli uomini della mia vita ho sempre preso qualcosa. Così se devo fare un bilancio, non è certamente negativo. Anche perché, al di là di quei due amori veramente importanti, ho avuto delle storie allegre divertenti, sai le avventure amichevoli… Le scopate che si fanno ridendo sono le più belle!». E oggi?

«Dei ragazzi, che mi vergogno a dire quanti anni hanno meno di me, si innamorano, mi vogliono bene; ti sembrerà incredibile ma è così». E tu?

«Sono più distaccata; c’è un momento in cui si raggiunge un equilibrio diverso che ti consente di prendere il meglio dell’amore. Il passato spesso ti ha fatto soffrire, ma è ormai dentro di te come esperienza tutto sommato positiva. Adesso non si impazzisce più. Non si impazzisce più ma si soffre sempre; soffri anche di farlo soffrire. Soffri per gli amori di una volta e per quelli di oggi. Perché quando l’amore c’è stato, c’è per sempre, diventa una parte della tua vita. Anche se sbiadisce non smette più di vivere dentro di te. E per esempio se un giorno sai che quella persona è morta, il dolore viene fuori forte e stai male e ti accorgi di come, in qualche strano modo, quell’amore non fosse mai finito.

Che cosa dici alle ragazze che hanno paura di compiere trent’anni?

«Quelle sciocche non sanno cos’è la vita; credono di essere vecchie e di aver capito tutto perché hanno avuto un matrimonio e un divorzio e magari un paio di figli o di avere vagato in quella tremenda promiscuità… che invece la vita la cancella. Bisogna dirgli ohe * le donne invece durano molto a lungo se appena hanno qualcosa dentro, se si mantengono un minimo gradevoli. Il meglio viene dopo i trent’anni».

Si, ma qualche volta, appunto dopo quell’età, quando ci si ritrova sole, hai qualche .volta l’impressione di essere tagliata fuori ‘dall’amore, che puoi essere e fare molte belle cose ma che..,

«Sciocchezze. Certo anch’io sono stata cinque anni senza scopare. Cosa vuol dire; succede di non incontrare la persona giusta. Ma prima o poi ricapita e la tua età è proprio la migliore, ma anche dopo, verso i 40, 45…». E i figli?

«Mi è capitato di volere un figlio, molto. Ma era impossibile. E se avessi oggi un figlio adulto credo che mi ucciderei. Meglio così».

Non le chiedo perché. E’ probabile che Camilla abbia desiderato un figlio da uno di quegli uomini “non sposabili” come dice lei. E fino a pochi anni fa non esistevano quasi le donne che deliberatamente mettevano al mondo un figlio da sole. E poi Camilla questo mi sembra in fondo il suo grande segreto — si arrende alla vita senza pretendere che la vita si arrenda a lei. Ha conosciuto di volta in volta il tracciato del suo destino e l’ha seguito con saggezza, con quanto tormento non lo dirà mai. Tutto non si può avere, ma si può essere se stessi. Adesso la luce del giorno è diventata tenue in questo grande soggiorno e lei sembra ancora più minuta con uno dei suoi gatti sulle ginocchia:,

«Se tu sapessi come sto bene da sola, quando la ragazza se ne va alle tre e mezzo e io mi metto a lavorare a quella scrivania o sto qui a leggere…». E la vecchiaia?

«E’ una stupenda stagione della vita, peccato ohe duri così poco…».

Parliamo del tuo lavoro. Come hai fatto a ribellarti al tuo ruolo di osservatrice del costume, di «columnist» mondana, per trasformarti in giornalista d’assalto?

«Non c’è mai stata una frattura fra le due cose. Perché accanto al costume io ho sempre fatto anche servizi e inchieste sul sociale: ho scritto sui reparti celere, sui colonnelli greci, sul neonazismo, sulla morte di Sharon Tate, e così via ben prima del ’68. Ma nel ’68 — ti ricordi com’era Milano — sempre piena di celerini e di manifestanti e chi scappava di qua e chi scappava di là. Mi sono incuriosita della polizia; pensa che andavo davanti a loro alle manifestazioni col taccuino per segnare i particolari delle divise: paramento, paraculo, paraciccio… Sì, la polizia mi interessava, ero una frequentatrice delle conferenze stampa della Questura, conoscevo quei funzionari e quando è scoppiata la bomba in piazza Fontana sapevo già che sarebbe finita male e sentivo che dovevo occuparmi di questo e scrivere di Pinelli e di Valpreda. Sentivo che Milano era ferita e che quel periodo dovevo viverlo qui. Così ho rifiutato di andare in giro a fare altri servizi. Intanto la mia indignazione cresceva e funzionava come un concime, così dopo la strage di Stato c’è stata la diossina, la Lockheed, Leone…».

Quando avevi cominciato a lavorare? «Nel ’45 a l’Europeo e ci sono stata 11 anni. Ho cominciato facendo le didascalie, poi ho avuto quella rubrica “signore e signori” che era di cronaca mondana e io per divertirmi ho inventato la famosa contessa Raoul Pelletin de Belimy ohe cacciavo in tutte le situazioni con le unghie dipinte di nero, la’ bella veletta e il marito conte antropologo sempre in viaggio, Non esisteva, ma sai com’è dopo un po’ la conoscevano tutti e un bel giorno, in un articolo mondano di Indro Montanelli da Riccione trovo scritto che c’era anche la nota contessa…». E allora?

«Allora l’ho fatta morire, in Pakistan, col marito, durante un viaggio di studi. Divertente è stato anche andare a quella farsa di matrimonio di Maria Pia di Savoia, dove fingendomi marchesa sono riuscita ad introdurmi surrettiziamente ai ricevimenti più esclusivi, ohe non hai idea. Per non parlar della cerimonia nuziale con gli studenti Coimbri che stendevano un tappeto d’onore sotto i piedi della principessa sgomenta e. poi lo tiravano via troppo in fretta facendola inciampare ad ogni passo, come ubriaca». E all'”Espresso”?

«All’Espresso ho cominciato con lo pseudonimo “Sofia e Carolina” e facevo delle cose pazze come un’intero articolo sulle camicie da notte, dilungandomi sul noto modello col buco…». Col buco?

«Col buco dove tu pensi, per non doversi mostrare nude al marito e compiere lo stesso l’operazione coniugale; e tutto intorno all’orlo c’era la nota scritta graziosamente ricamata “Non lo fo pel piacer mio ma per dar dei figli a Dio».

Quanti processi hai adesso per il caso Leone? «Per ora 5; 4 per diffamazione a Varese e uno per vilipendio al Capo dello Stato a Milano». Qual è la molla della tua vita, il motivo profondo, quello che ti ha fatto passare i momenti più bui? «La curiosità — la risposta arriva come una fucilata — la curiosità di vedere come va a finire e poi la simpatia e l’affetto che sento intorno a me. E anche la voglia di indignarmi e protestare».

Me ne vado, Camilla deve nutrire i suoi gatti e farsi bella per uscire.

L’indomani mi telefona: «Marina? Ieri ti ho detto di come l’amore per me sia stato nutriente. Ecco è vero, ma vorrei dirti che non è solo questo. Mi ha anche graffiato, sì spesso mi ha graffiato anche profondamente e mi sono rimasti i segni».