lavoro e metodologia del lavoro

gennaio 1977

la programmazione del lavoro ha visto partecipi (è quello che più ci premeva) anche i bambini ed i genitori. Soprattutto i bambini ci hanno dato indicazioni preziose, consigli, riferimenti di ogni genere. Questo coinvolgimento si spiega alla luce di taluni errori, commessi precedentemente, che proprio loro hanno messo in evidenza.
La novità di essere coinvolti in un piano di lavoro da organizzare insieme, non ha destato inizialmente eccessivi entusiasmi; questo anche perché i ragazzi tendono a rifiutare ogni momento che li richiami alla realtà scolastica, da loro vissuta come situazione oppressiva. Questo momento di rifiuto è stato poi superato chiarendo bene i fini del lavoro stesso; per cui alla fine dell’incontro eravamo tutti daccordo che il nostro obiettivo era quello di «giocare» con il libro di testo. Giocare con loro, studiare come loro (tanto che una compagna ha portato i suoi vecchi libri di testo delle elementari, ed i bambini i loro), di assumere sempre un atteggiamento paritario di fronte al problema.
D’altra parte i tempi della programmazione sono stati decisi in maniera non ferrea, e ciò perché non ci interessa un efficientismo programmato; ci interessa piuttosto che i bambini non siano posti di fronte a scadenze imminenti; che maturi, secondo i propri tempi, un discorso di analisi nei confronti culturali che gli vengono proprinati. Si è quindi deciso di riunirsi periodicamente ogni quindici giorni per analizzare il lavoro svolto e da svolgere: abbiamo infatti pensato che la verifica continua di ciò che facevamo e la presenza costante dei bambini anche a queste riunioni fossero di estrema importanza, le sole che potessero qualificare qualitativamente e quantitativamente il lavoro. Inoltre di comune accordo è stato deciso di fare delle riunioni di metodologia alla fine di ogni giornata di animazione. A queste riunioni, dalla struttura aperta, hanno partecipato anche i collaboratori esterni dei quali abbiamo sempre tenuto presente critiche, contributi e proposte. Il coinvolgimento degli osservatori esterni soprattutto ci ha permesso di porre in atto quello che da anni andiamo ripetendo: il nostro «no» all’operatore socio-culturale come «esperto».