biennale

le donne a Venezia

della controversa Mostra del cinema si è parlato fin troppo. Delle donne presenti un po’ meno. Passiamo in rassegna i film più significativi.

settembre 1979

di questa edizione 1979 della Biennale di Venezia-Cinema, biennale di amore e morte, di suicidi assassini e incesto (il grande protagonista della manifestazione) ci sarebbe piaciuto parlare più a lungo. Per ora ci limiteremo a segnalare la presenza alla manifestazione di alcuni prodotti firmati da donne, che — per la loro diversità di forme e contenuti, di scelte linguistiche ed espressive —possono contribuire all’approfondimento del dibattito sulla possibilità e sull’ esistenza di un “linguaggio femminile” nel cinema.

A Venezia abbiamo trovato la conferma di quanto sia necessario mantenere aperto il più possibile tale campo di ricerca e -magari rifondarlo su nuove basi.

In Le Navire Night di Margherite Duras sembra sia proprio questa ricerca ad evidenziarsi: il bisogno di andare sempre più a fondo nella verifica delle possibilità del raccontare, del dire attraverso immagini ed il rendersi conto che queste possibilità si stanno esaurendo — nell’avanguardia come nello standard hollywoodiano. “Ho cominciato a girare il film il 31 luglio 1978, di lunedì. Nel giro di una sera e di una notte ho abbandonato il Night. (…) Mi ero completamente sbagliata. Il decoupage era sbagliato. Non solo: ero estranea al film. Si trattava di un fallimento totale (…) Cinema, finito. Avrei ricominciato a scrivere libri, sarei tornata al terrificante lavoro lasciato dieci anni prima” . Ma poi la Duras decide di girare il fallimento del film. Ed il film “è uscito dalla morte”. “Ho visto il disastro del film, quindi ho visto il film” . Brevemente la storia: un uomo di 28 anni, in un momento di noia, decide di servirsi delle linee telefoniche non assegnate, usate a Parigi, ogni notte da centinaia di persone. “Le utilizza. Incontra lei” (1). Ed è l’inizio di una storia al limite della follia, che andrà avanti per anni senza che i due si incontrino, si vedano mai. Tra le autrici alla loro opera prima un cenno particolare va ad Assia Djebar, algerina, scrittrice, con il suo La Nouba des femmes du Moni Chenoua. Premiato al Festival di Cartagine, a Venezia ha vinto uno dei premi della Critica Internazionale. Il film, intelligentemente giocato tra documentario e “fiction”, ci racconta di una giovane algerina “emancipata” che inizia una sorta di viaggio tra le donne che, nel suo paese, hanno partecipato attivamente alla guerra di liberazione e che, finita la lotta, sono tornate al loro ruolo tradizionale. Quello che l’autrice vorrebbe provocare con il suo film è un dibattito sulla condizione delle donne nel suo paese. In tal senso va letta anche la precisa scelta produttiva, la televisione algerina: l’unico modo per raggiungere il maggior numero di donne possibile; “il pubblico cinematografico è ancora essenzialmente maschile”.

Improvviso di Edith Bruck (Italia) è il tentativo di spiegare in chiave “socio-psicologica” il perché un bambino può uccidere (o-il come si può uccidere un bambino). Purtroppo dobbiamo dire che il film non ci ha entusiasmato. Forse la costrizione in tempi di lavorazione molto stretti non ha facilitato le soluzioni cinematografiche, le scelte espressive di questa scrittrice alla sua prima esperienza cinematografica. La Bruck sta ora lavorando al secondo film tratto dal suo romanzo Transit.

Cinema di Liana Eliava, russa, è un omaggio al cinema delle origini attraverso la storia del protagonista, Sosiko, che si butta con entusiasmo in questa nuova esperienza, in una Russia degli inizi del secolo. Il film per la sua correttezza formale sembra essere un saggio di fine d’anno in un centro di studi cinematografici: una rigorosa opera di ricostruzione di quello che fu l’avvento del cinema, un bozzetto d’epoca riletto alla luce dei nostri giorni. Sull’ultimo numero di Effe abbiamo parlato del cinema d’animazione e, con molto piacere, abbiamo assistito alle proiezioni dei cartoons di alcune autrici americane.

Un flusso idi grafie femminili: Kathy Rose (The Doodlers, Scarabocchi), Margaret Bailey Doogan (Screw che vuol dire vite, ma in gergo sta per scopata, chiavata, e i disegni cercano di rappresentare le varie associazioni che una donna può elaborare a partire da quel termine), Linda Heller (Album, crescere donna in una famiglia “nucleare” e sopravvivere sviluppando il senso dell’umorismo), Sara Petty (Furies dove viene usata una tecnica inusitata nel disegno animato: macchie di carboncino e pastello che sembrano due gatti in movimento), tutte queste autrici, ed altre ancora andrebbero citate, ci hanno fatto recuperare un po’ di quel “piacere visivo” frustrato in questa nuova edizione Biennale Cinema 1979.

Presente alla Mostra anche l’autrice americana Shirley Clarke con la ripresa di un saggio di accademia di danza Four Journeys into Mistic time, Il film con l’uso di effetti speciali mette in risalto le possibili combinazioni tra i movimenti del corpo nella danza e i “trucchi” del cinema. Sembra che in America il “film sulla danza” stia diventando un filone con un suo preciso spazio commerciale.

(1) M. Duras: L’aurora e il Night.

(2) Assia Djebar nel corso della conferenza stampa seguita alla proiezione del film.