problema energia

“madre terra” non ha più risorse

movimento delle donne e movimento ambientale puntano nella stessa direzione e sono complementari l’uno all’altro. Apriamo un dibattito ed un’analisi su questo importante problema.

ottobre 1977

papaveri giganti, alti come case e un mare d’erba verde da cui spuntano, trasfigurati, i palazzi di Roma; sullo sfondo una nera fila di figurine stilizzate in bicicletta. Visione onirica della metropoli di un’Alice su due ruote? Rivincita della fantasia golosa di colori e movimento, contro il grigiore della città? Niente di tutto questo: soltanto un manifesto, affisso sui muri di Roma, che annunciava per il 28 settembre scorso un corteo-di-protesta-in-bici contro le centrali nucleari. Eppure, a guardare bene, il manifesto chiedeva molto di più della adesione alla lotta anti-nucleare: non era tanto un messaggio contro qualcosa, ma per: per una . città diversa, per un modo di vivere più umano. Dietro la crociata anti-nucleare, che la sera del 28 settembre ha scatenato per le vie di Roma un migliaio di contestatori su due ruote, c’è quindi molto di più di quanto non appaia alla superficie; la richiesta di un modello di sviluppo radicalmente diverso da quello attuale. Un’esigenza che, più o meno coscientemente avvertita dal movimento antinucleare (assai eterogeneo, quindi forzatamente caratterizzato da diversi livelli di consapevolezza), pareva disperdersi come fumo nell’aula di Montecitorio dove per l’appunto il 28 settembre, i parlamentari avevano iniziato a discutere il piano energetico: il dibattito si è trascinato fiaccamente per sei giorni, tra quattro gatti di deputati, per lo più visibilmente annoiati. Un’assenza fisica che denota un’assenza culturale dal dibattito sull’energia tanto più colpevole e assurda quanto più ci si renda conto del peso vitale che il problema energetico riveste. Da questo dibattito siamo state assenti, sia pure per cause diverse, anche noi: le donne, le Kustodi della Kasa, vero e proprio terminal dei consumi energetici (pensate alle lavatrici, frullatori, tostapane e a tutti gli altri gadgets domestici che consumano enormi quantitativi di elettricità). Noi, ohe nell’ossessivo rituale del lavoro domestico, usiamo quotidianamente l’energia elettrica ma non sappiamo né cosa sia, né come e da chi sia prodotta: il flusso di energia che permea le nostre case ci appare come il segno di un potere occulto di cui non abbiamo conoscenza e su cui non abbiamo controllo. Abituate da secoli a considerare scienza e tecnologia, anche a livelli minimali come «affari da uomini», siamo portate a delegare ad esperti — maschi, naturalmente — qualsiasi scelta scientifica e tecnologica.
Ed è un errore: perché scienza e tecnologia non sono neutrali, ma riflettono le caratteristiche del sistema economico e produttivo e «traducono» tali caratteristiche nella nostra vita quotidiana. Andare alla radice del problema energia significa dunque ripercorrere le tappe del nostro sviluppo attuale e, per noi donne, del nostro presente sfruttamento. Capire diventa quindi essenziale per orientare la nostra lotta, per darci obiettivi costruttivi. Sbrogliare la matassa energetica vuol dire darci uno strumento in più per sapere in quale modo, attraverso quali scelte raggiungere il nostro scopo finale di una società che non abbia necessità di sfruttare né l’essere umano — le donne in prima linea — né la natura. Per prima cosa dobbiamo renderci conto che il sistema produttivo attuale — sia quello capitalistico che quello socialista modello Urss — è stato costruito sull’illusoria ipotesi che le risorse della terra, e quindi anche le fonti energetiche, fossero illimitate. In realtà, le sorgenti d’energia a nostra disposizione ‘(carbone, petrolio) sono limitate: la crisi sta in questa contraddizione, cioè nell’impossibilità di uno sviluppo senza limiti sulla base di risorse finite. L’embargo petrolifero non ha «prodotto» la crisi, ma piuttosto l’ha evidenziata, allungando la tetra ombra della Scarsità sull’Opulento occidente. La paura di rimanere senza petrolio — motore primo dell’attuale sviluppo — ha contribuito a far porre la questione in termini semplicistici, facendo ruotare la problematica energetica soltanto intorno all’asse della disponibilità fisica o meno di petrolio. Occorre invece ricordare che, quando si attinge ad una fonte non rinnovabile .(es.: il petrolio) il prezzo sale in modo esponenziale per la legge della diminuzione del profitto. Si ha quindi non tanto una crisi fisica ma economica: quando una materia diventa troppo costosa, infatti, non rimane che consumarne di meno o far ricorso ad altro. La proposta di produrre energia con le centrali nucleari potrebbe sembrare la soluzione ideale: in realtà è una falsa via di uscita perché anche l’uranio è una fonte non rinnovabile e anche in questo caso si ha un’escalation dei prezzi, come dimostra l’esperienza degli Usa, Inoltre i prezzi delle centrali salgono verticalmente perché, per usare una frase dello scienziato americano Barr Commoner, il più prestigioso fautore della energia alternativa, l’industria nucleare si basa su una tecnologia apparentemente avanzata ma in realtà «immatura»: la produzione di energia nucleare comporta infatti una serie di problemi (vedi riquadro) ancora irrisolti e il tentativo di risolverli conduce a rilevanti aumenti dei costi. Oltre ad essere rischiose per la salute umana e per l’ambiente, le centrali, stando agli studi degli scienziati che si oppongono a questa scelta, sono dunque anche non convenienti da un punto di vista economico. Non a caso uno dei rappresentanti di punta del settore energetico statunitense, Saunders Miller, ha ammesso in un suo recente libro che «l’industria energetica statunitense è sull’orlo del collasso»1. Un altro «big» di quest’industria l’ha definita «un gigante con i piedi d’argilla»2. Ma c’è di più: il vertiginoso aumento del prezzo dell’energia, che è la merce primaria del sistema capitalistico perché fa, letteralmente, girare il motore della produzione, è stato il responsabile principale dell’inflazione negli Usa perché l’energia alimenta tutto e l’aumento del suo prezzo rende difficile pianificare gli investimenti. Inoltre l’energia nucleare viene prodotta su larga scala in grossi impianti centralizzati per costruire i quali occorrono forti investimenti di capitale: solo le grandi corporations (o, come in Italia, le industrie statali, la cui lamentevole gestione ci è nota), possono permettersi di produrre energia. D’altro canto, solo l’energia prodotta su larga scala è conveniente economicamente: perché il costo unitario del prodotto diventa sempre minore e la forza lavoro può essere ridotta con il contemporaneo aumento della produttività. Da un lato, dunque, l’industria nucleare è una vorace divoratrice di capitale; dall’altro un’avara produttrice di posti-lavoro. La scelta energetica non è dunque un problema settoriale, ma un’opzione di fondo dal punto di vista economico e sociale, proprio perché la tecnologia non è neutrale ma ha un deciso impatto sulle strutture economiche-sociali dalle quali è a sua volta determinata. La domanda che viene spontanea a questo punto è questa: se il ricorso alle centrali nucleari presenta tali e tanti problemi, qual è l’alternativa? Secondo un numero sempre crescente di scienziati ‘(ma anche secondo la nostra coscienza di come vorremmo vivere e organizzare la società, il che ha un peso uguale se non maggiore .al parere degli esperti), l’alternativa è data da forme di energia rinnovabili e pulite: prima tra tutte quella solare, poi quella dei venti, delle maree, geotermica, idroelettrica. Finora si è pensato al sole come ad una ipotesi suggestiva ma non realizzabile in tempi brevi: benché già ora l’energia solare possa essere utilizzata per il riscaldamento domestico, si è sempre obiettato che, per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, al sole è fuori gioco. Recentissimi rapporti scientifici (tra i quali in particolare quello, datato luglio 1977, della Federai Energy Administration in Usa, reso noto in Italia da Commoner) dicono invece che l’uso dell’energia solare potrà diventare competitivo anche nel settore della produzione di energia elettrica entro cinque anni, mediante l’uso di cellule fotovoltaiche. Rispetto alle centrali nucleari, il ricorso al sole presenta una serie di vantaggi i quali, questo è il fatto più importante, vanno tutti nella direzione di quella diversa società per la quale lottiamo. Tanto per cominciare è un’energia pulita, quindi non contamina l’ambiente; in secondo luogo è «combustibile» rinnovabile, quindi non esposto all’escalation dei prezzi e disponibile ovunque, dato che il sole sorge imparziale su tutti i Paesi; inoltre si tratta di una produzione che non deve essere necessariamente attuata su larga scala, in impianti centralizzati, e poi diffusa: proprio perché il sole è dovunque, la energia solare può essere prodotta da chi ne ha bisogno al momento, nel luogo e nella quantità desiderata. C’è di più: l’industria solare vuol dire migliaia di posti di lavoro. Immaginiamo cosa significherebbe, ad esempio, ridisegnare l’illuminazione stradale sulla base di cellule fotovoltaiche: lavoro per gli architetti che devono disegnare le lampade, per i tecnici che l’installano e così via. Anche l’agricoltura avrebbe benefici notevoli dalla realizzazione dell’industria solare; per una volta tanto, industria e agricoltura non si troverebbero in antagonismo a tutto scapito della prima, più debole. Quanto ai costi iniziali d’investimento, che sinora costituivano l’obiezione più fondata di quelli che relegano l’energia solare nell’utopia, proprio il rapporto della FEA indica che con il costo di due centrali nucleari si potrebbe dare il via ad un’industria solare in grado di operare a prezzi competitivi nel giro di cinque anni.
Proprio perché pulita, quindi in armonia con le esigenze ambientali; rinnovabile, quindi sottratta ai meccanismi dell’escalation del prezzo dei combustibili; decentrata, quindi .passibile di un controllo democratico da parte di tutti (il che significa anche un controllo di tutti sul come e quando e per che cosa produrre energia, cioè sulla produzione in senso globale); producibile su scala ridotta, quindi in grado di creare posti lavoro — appunto per queste ragioni la scelta del sole (e delle altre fonti alternative) potrebbe diventare uno strumento prezioso per costruire un tipo di sviluppo diverso, che abbia nei bisogni umani e non nella necessità di profitto il suo termine di paragone. A ben vedere si tratta di promuovere il passaggio da uno sviluppo di rapina (basato sul conquistare, lo sfruttare, il dominare la natura) ad uno sviluppo di equilibrio, basato su un razionale utilizzo delle risorse per soddisfare i bisogni umani.
È una transizione di enorme portata, inutile nasconderselo: si tratta, per dirla con Erich Fromm, di passare dalla modalità dell’avere, oggi dominante, a quella dell’essere. «La necessità di un cambiamento dell’uomo — scrive Fromm in Avere o essere? non costituisce soltanto un’esigenza etica e religiosa, non è frutto unicamente di un’aspirazione psicologica derivante dalla natura patogena del nostro attuale carattere sociale, ma è anche la condizione per la mera sopravvivenza della specie umana. Per la prima volta nella storia, la sopravvivenza fisica della specie umana dipende dalla radicale trasformazione del cuore umano. D’altro canto una trasformazione del cuore umano è possibile solo a patto che si verifichino mutamenti economici e sociali di drastica entità, tali da offrire al cuore umano l’occasione per mutare e il coraggio e l’ampiezza di prospettive per farlo». Tra questi mutamenti, Fromm colloca come primario la liberazione della donna: finché metà dell’umanità sarà oppressa, non ci sarà una società più umana. Liberando se stessa, dunque, la donna libera oltre che la società intera, anche la natura. Movimento delle donne e. movimento ambientale (quest’ultimo inteso da noi in un’accezione totalmente priva di connotati reazionari o misticheggianti) puntano quindi nella stessa direzione e sono complementari l’uno all’altro. Le donne — per ragioni storiche, ma che affondano le radici nella biologia femminile capace di dare la vita — si sono da sempre dedicate al mantenimento della vita attraverso la fitta trama delle loro occupazioni quotidiane (non a caso l’agricoltura è stata invenzione delle donne). Il loro rapporto con la natura è più equilibrato di quello degli uomini, segnato dal desiderio di dominio e di sfruttamento, proprio perché le donne nel loro quotidiano mantenimento dei processi vitali hanno acquisito un profondo rispetto e una conoscenza intima (non scientifica, ma come adesione globale) di tali processi. Non voglio affatto dire che la Donna è Natura e l’Uomo è Cultura, perpetuando un mito che si è tradotto in un alibi per ridurci in stato di inferiorità; ma, dato che la cultura dominante è stata ed è quella maschile caratterizzata da un rapporto negativo con la natura, la donna è sfuggita in maggior misura alla necessità di instaurare questo tipo di rapporti, proprio perché emarginata. In questo caso l’emarginazione ha contribuito a salvarne l’umanità, a non farla sentire scissa dalla natura, come è capitato all’uomo. Il movimento per la difesa dell’ambiente e quello delle donne hanno quindi una comunanza di valori: rispetto per ciò che vive, rifiuto dello sfruttamento sugli esseri viventi, umani e non, negazione quindi del potere come strumento di dominio sugli altri e ricerca di armonia nel rapporto con la natura e le persone.
La stessa mano che distrugge le acque, gli alberi, gli animali, opprime le donne. Per secoli la risposta della natura e delle donne è stata identica: un passivo subire. La differenza è che la natura, priva di coscienza, non ha scelta e non può ribellarsi; le donne sì e lo faranno anche per la natura.
Grazia Francescato
1 – 2: Barry Commoner «La povertà del potere» Garzanti 1977.

 

manifestazione ecologica dei SS settembre a roma
Abbiamo rispolverato il sole, la gioia, la natura e le biciclette contro le centrali nucleari. Perché sentiamo che è, forse, poco pratico ma bello trovare il tempo di fare un giro in bicicletta, una volta tanto, protagoniste dei nostri pensieri noi e le cose che esistono da sempre; che ci portiamo appresso nel nostro «progredire» per poterci sentire semplici folk naifs la domenica mattina, magari al prato con i figli per giocarci insieme. Anche se il giorno prima si è fatto il discorso della struttura familiare, che non va più… va bene, poi cercheremo una alternativa. Anche se cerchiamo un’alternativa alla struttura familiare per star bene insieme, per scambiare, per viverci, contemporaneamente potremmo trovare un atomo sotto il sedere nostro e dei nostri figli -la domenica mattina al prato.
Potremmo sempre pensare che in fondo questa vita è solo un breve periodo di transizione, nel quale siamo (rappresentati anche da un corpo, ma che ci servirà per poco tempo.
Perché poi un domani sarà importante la nostra anima in un mondo di gioia; perciò se ci capitasse di essere contaminati dall’inalazione di uno dei radionucleidi che compongono l’atomo, il plutonio 239, non sarebbe poi un gran male.
Anna Spinazzola

 

appello contro la caccia e per la difesa dell’ambiente
Un appello perché la caccia venga sospesa almeno per cinque anni è stato lanciato dal Pondo Mondiale della Natura, Italia Nostra, Lega per la protezione degli uccelli e da un gruppo di scienziati. Il gruppo Ambiente di Effe, cosciente dei danni che la caccia indiscriminata provoca alla fauna e all’ambiente naturale, si è associato alla richiesta e ha promosso una raccolta di firme tra le donne. Le lettrici che vogliono aderire all’appello possono mandare il loro nomiativo a Gruppo Ambiente c/o Effe – p.zza Campo Marzio, 7 – 00168 Roma.

 

parliamo di energia nucleare
Le centrali nucleari producono il calore necessario alla conversione in energia elettrica «bruciando» materiali fossili {principalmente uranio semplice o arricchito) invece che combustibili fossili (carbone o petrolio).
Questa combustione non è altro che una esplosione atomica controllata in cui i nuclei di uranio, bombardati da un flusso di neutroni, si scindono in una reazione a catena, producendo altissime temperature (2300 gradi e più).
Il luogo in cui avviene la fissione del combustibile nucleare è una stanza corazzata per due o tre metri da materiali vari, che fanno da schermo alla fuoriuscita delle particelle (raggi gamma, neutroni). Uno dei punti più delicati del reattore nucleare è l’impianto di raffreddamento che ha il compito di far circolare fra le barre di uranio o di altro combustibile fossile vari tipi di sostanza, con il duplice obiettivo di convogliare il calore all’acqua dei generatori a turbina che producono l’elettricità e di mantenere la temperatura entro limiti di sicurezza. A seconda del sistema di raffreddamento usato, i reattori nucleari si distinguono in ‘reattori ad acqua leggera, pesante, a gas o a sodio fuso. I reattori del futuro, ancora in fase sperimentale, sono i cosiddetti «bredeers» (autofertilizzanti) al contrario di quelli che usano solo uranio e che hanno un’autonomia di 25-30 anni, questi ultimi garantiscono una produzione energetica «quasi infinita» perché riproducono da sé il combustibile. I problemi connessi all’uso dell’energia nucleare sono molteplici: possibilità di incidenti, {anche se statisticamente improbabili) difficoltà di eliminazione delle scorie radioattive, rischi legati al trasporto dei materiali fossili, possibilità di «colpi di mano» di gruppi di terroristi (il plutonio, ricordiamolo, è così tossico che un solo milionesimo di plutonio nel polmone produce il cancro, mentre bastano due kg per produrre una bomba atomica micidiale). Benché i sostenitori dell’atomo assicurino che le centrali sono costruite con immensa attenzione ai problemi della sicurezza e forniscano, basandosi su una serie di studi, il più celebre dei quali è il rapporto Ramussen del MIT, cifre rassicuranti {la catastrofe più grossa avrebbe la stessa probabilità di verificarsi che un quartiere urbano di essere distrutto da un meteorite) molti ricercatori sono convinti che questi problemi siano lungi dall’essere risolti e vedono nella «via nucleare» un’opzione carica di minacce. Per questo molti scienziati e associazioni naturalistiche hanno chiesto una moratoria perché l’opinione pubblica possa essere messa al corrente dei pericoli connessi alla scelta nucleare e discutere le possibili alternative. Il compromesso nucleare – Approvando la costruzione di 8 centrali (ad uranio) il parlamento italiano ha scelto il «compromesso nucleare» : il piano presentato dal governo prevedeva infatti la costruzione di 20 centrali entro il 1985. L’opposizione alle centrali nucleari ( in parlamento rappresentata soprattutto da Psi, radicali e demoproletari, mentre il Pei ha scelto una moderata opzione nucleare) è riuscita a far scendere il numero ad otto, per mille MW ciascuna. Tuttavia il problema energetico in Italia è lungi dall’essere risolto: intanto i costi di costruzione sono rilevanti {1.500-2.000 miliardi di lire per ogni centrale), i brevetti sono di proprietà delle multinazionali Westinghouse e General Electric {che negli Usa, dove l’industria nucleare traballa perché economicamente non conveniente, si trovano in difficoltà e quindi vedono nell’ordinazione italiana una boccata d’ossigeno) per cui scarsi vantaggi avrebbe l’industria italiana; l’Italia non ha uranio {ce ne vogliono 25-30 tonnellate all’anno per impianto) per cui sarà_ costretta ad importarlo da una gamma di fornitori assai più ristretta di quella che attualmente ci vende il petrolio, con il rischio quindi di passare dalla dipendenza dal petrolio a quella dell’uranio. Ce n’è abbastanza per capire perché «il rospo nucleare» sia stato ingoiato con difficoltà anche da quei partiti {come il Tei) favorevoli ad un moderato ricorso all’atomo. Rimane poi del tutto aperto il problema di redigere un vero e proprio piano energetico, che miri da un lato al risparmio della energia, dall’altro al reperimento di fonti alternate (in Italia soprattutto quella solare, geotermica e idroelettrica).