maternità in positivo

gennaio 1977

sento che adesso, dopo aver tanto parlato di aborto, dopo aver tanto parlato della maternità come costrizione e oppressione, il bisogno è quello di capire cosa significa per noi la maternità.
È difficile, come per tutte le cose, il marxismo ci ha dato gli strumenti per una critica alla realtà deviata, critica del dato storico e culturale, ma non oltre. E adesso invece dobbiamo andare oltre, trovare il Naturale, (se, e in quale misura è possibile nel nostro momento, distinguerlo dal culturale). Che la nostra vita in questa cultura ci abbia fatto introiettare un concetto di maternità falsato, ci è ormai chiaro, ma noi, nel momento in cui di questo prendiamo conscienza, come pensiamo, sentiamo la maternità? Per un certo periodo io mi sono colpevolizzata perché la sentivo secondo canoni che bene o male mi sembravano tipici del cattolicesimo, quindi imposti: ho cercato di scavare più in fondo. Di fatto, anche oggi, la sento in modo molto simile a qualche anno fa, anche se con importanti sfumature diverse, e penso che sia il mio reale modo di pormi: la maternità come sacro, come vita, (maternità in positivo) Sacro nel senso che la sento come la cosa più umana, piena totale che, coscienti, abbiamo della vita, misteriosa segreta avventura del nostro corpo, a cui tutto di noi partecipa, percependo con chiarezza a volte, ma senza capire fino in fondo, questa cosa eppure completamente umana. È così strano questo meccanismo per cui dal piacere ti cresce dentro un’altra vita, che davvero mi sembra impossibile vedere che è così normale essere incinte. Ci avevano imposto la maternità a tutti i costi, ci avevano imposto di fare i figli per gli uomini, per lo stato, perla chiesa, per il marito comunque, ci avevano espropriato della nostra maternità, facendocela vedere come nostra unica possibilità di realizzazione. Sappiamo che noi la viviamo, la vogliamo in un altro modo, ma è nostra, riprendiamocela, è un nostro diritto!. Creare una vita, scegliere che qualcuno da noi esista.
Sento di dover dire queste cose perché sulla visione in negativo, sui condizionamenti di tipo strutturale e culturale, abbiamo pensato molto e, appunto, forse ora c’è bisogno di andare più avanti, oltre il rifiuto, verso il positivo. Al rifiuto ci costringe questa società e il potere maschile, ma non dobbiamo farci fagocitare accettando ancora una volta un altro tipo di imposizione e di ricatto. Dobbiamo dare il nostro ritmo alla nostra lotta, non quello che una società a capitalismo avanzato e in crisi ci impone. Senza essere astoriche dobbiamo essere noi a far marciare i nostri obiettivi. Sento, durante questa lotta, giorno per giorno, sento noi donne come privilegiate, una volta che davvero riuscissimo a vivere liberamente il nostro corpo, la nostra maternità, privilegiate nel rapporto con la natura, con noi stesse, con l’umanità stessa, una volta superati i canoni maschili di interpretazione dell’umano. Abbiamo la possibiltà di essere più vere, più vive, anche attraverso il nostro corpo.