creatività

mostra o mostro?

l’Assessorato alla Condizione Femminile e l’Assessorato alla Cultura dì Venezia stanno preparando un convegno internazionale sulla donna ed hanno interpellato i collettivi femministi della città. Questo è un problema serio…

febbraio 1978

le compagne delle altre regioni hanno chiesto informazioni sulla proposta ai collettivi femministi da parte degli assessorati alla Condizione femminile (PCI) e alla Cultura (idem) di Venezia di partecipazione all’allestimento di un convegno internazionale sulla donna, in appoggio alla già avviata mostra internazionale sui manifesti delle donne, (curata dal grafico di Paese Sera, spesa prevista: 20 milioni) indetta, quest’ultima, dalla giunta di sinistra del Comune di Venezia e prevista per marzo. L’informazione diventa un momento di riflessione sui nostri rapporti con le istituzioni.

Divide et impera o semplice difficoltà di reperimento dei collettivi?
Al collettivo femminista sulla cultura, l’anno scorso avevamo profetizzato, Cassandre da sempre, (ma basta essere sintomatologiche?) che le istituzioni avrebbero avviato iniziative culturali sulla/sopra la donna. C’era un grosso margine di sospetto,’ dato dal terrore di diventare un fiore all’occhiello per la giunta di sinistra, dove gli addetti ai lavori in campo culturale, e non solo, sono e restano maschi. Non è un caso che nell’organico della Biennale dello scorso anno risultino solo quattro donne e che la mostra sui manifesti delle donne sia- stata curata da un grafico di Paese Sera, che ne farà probabilmente il manifesto (sic): una «cura» con fattura finale. A chi il dissenso, a chi la donna. Per l’organizzazione del «convegno» gli assessorati hanno chiesto un incontro col Coordinamento femminista, col Salario al Lavoro Domestico e con Donne in Lotta, anzi, con singole persone degli stessi.
Divide et impera, o semplice difficoltà di reperimento, dato che i collettivi non sempre hanno un recapito collettivo? La Casa della Donna di Mestre è stata sgomberata dalla polizia, e questa può essere una risposta. Per l’insufficiente informazione interna, poi, le compagne che si erano occupate in specifico del problema non sono state chiamate ma allora, cosa li facciamo a fare i coordinamenti cittadini? All’iniziativa del comune aderisce solo il Coordinamento. O meglio, il Coordinamento dice alle contattate di sbrigarsela «a livello personale» (anni di
femminismo per arrivare a questo). Non potrei giurare che non esistano non aderiscono. Chi aderisce si costituisce in commissioni che stenderanno le proposte di progetto per il convegno.
Analogamente incerta è la presenza di Salario e Donne in Lotta (a Venezia comunque il Salario al Lavoro Domestico si è scisso in Autonomia Femminista da una parte e Salario dall’altra) divisioni politiche: la commissione per il settore stampa femminile e femminista viene chiamato «le PSI», ma sembra abbiano abbandonato il campo e saranno rimpiazzate; per il settore letteratura e città, invece, misto PCI, DP e/o femminista. I due progetti sono stati presentati dall’Assessora alla Condizione Femminile alla Consulta Femminile (momento paraistituzionale in cui sono rappresentate varie organizzazioni femminili, partitiche e non) del Comune di Venezia. La Consulta li ha approvati, criticando però a sua volta il fatto di essere stata interpellata dopo i collettivi femministi e l’UDI. Per la fine di gennaio è prevista la delibera per lo stanziamento fondi pro mostra-convegno da parte del Comune.

«L’operaio della Montedison e il Marchese De Sade» un tema interessante
Le donne partecipanti alle commissioni per l’organizzazione del convegno hanno finora dato una collaborazione che si limita alla stesura-proposta dei temi del convegno, senza minimamente trattare altre modalità di partecipazione. Ne è uscita un’operazione transtematica (Donna &…) abbastanza inflazionata, meglio di un calcio sui denti, comunque inoffensiva, dato il contesto in cui nasce. Propongo un convegno su «L’operaio della Montedison e il Marchese De Sade», operazione che promette interessanti reazioni.
In realtà, le varie fasi di un’operazione convegno si articolano, grosso modo, in: proposta, organizzazione del materiale, assunzione personale (se il convegno si svolge in ambito istituzionale), distribuzione degli inviti; stesura manifesti, firma del lavoro ed eventuale incasso.
Fermarsi solo alla proposta significa svendere le elaborazioni femministe, dopo aver sfogliato le prime annate di Effe e l’ultima annata di Amica. Per essere, o diventare, soggetti politici non basta fermarsi alla proposta, ma è necessario averne la gestione. Ne abbiamo la forza contrattuale, o perlomeno quella dell’astensione. Pensiamo davvero sia più importante il prodotto finito di un’opera, sia essa quadro o convegno, e i suoi contenuti, del processo di produzione che l’ha prodotta? La stessa pubblicità ci insegna che ogni contenuto, almeno nella sua enunciazione (ben diversa dalla realizzazione), può essere recuperato. Liiiberati dallo sporco fatica con cera Pupù!

Come svendere le elaborazioni femministe: consigli utili
Eccoci ancora poste, anziché come lavoratrici, come tuttofare: quando un assessorato decide di muoversi in una . qualche nuova direzione, chiama dei tecnici (vedi grafico di Paese Sera) o usufruisce dei tecnici che già ha a disposizione. Questi tecnici che danno il loro contributo pratico e teorico sono maschi retribuiti. Perché le donne che stanno tecnicamente avviando la mostra convegno non hanno una retribuzione analoga? 0 l’assessorato alla C.F. che a molte appare come contentino ghettizzante con funzione di recupero, è l’assessorato povero del comune di Venezia, appunto perché femminile? O ha fondi solo per «veri» tecnici, e non per tecniche?
Se poi le donne che aderiscono hanno tempo di prestare gratuitamente la propria opera, avendo già un lavoro, è bene ricordino l’esercito di disoccupate che tra il babysitteraggio, il casalingato e il marciapiede non ha tempo per passatempi gratificanti. Se invece si risponde che le donne che partecipano ai lavori danno il loro contributo «politico», va specificato di che politica si tratta: non esiste il femminismo solo per colmare i vuoti della doppia militanza partitica. D’altra parte non è detto che l’ordine delle proposte venga accettato, in totale non purgato: il tutto resta a discrezione della controparte, se gliene si è lasciata la discrezionalità. La donna propone, il comune dispone. Cito l’esempio che segue in quanto esperienza acquisita di un precedente rapporto fallimentare con le istituzioni. Lo scorso 8 marzo l’Assessorato alla C.F. aveva fatto intravedere possibilità di finanziamenti per le iniziative delle donne, e le compagne hanno perso tempo a stabilire contatti con grande dispersione di forze. In quel periodo il collettivo femminista di un liceo di Mestre (ragazze sui 17 anni) ci aveva chiesto lo spettacolo teatrale di tutte donne che avevamo pronto. Ci avevano offerto di essere pagate, perché il consiglio di quartiere di Viale San Marco aveva fatto sapere alle ragazze che erano libere di scegliere come destinare i fondi stanziati dal comune per l’8 marzo. Siccome venivamo chiamate da un collettivo femminista, avevamo deciso di non farci pagare, ritenendo che eventuali fondi sarebbero andati alle attività del collettivo stesso.
Radio donna aveva già annunciato lo spettacolo, noi avevamo diffuso la voce, le ragazze del collettivo avevano già distribuito i volantini per pubblicizzare la cosa. Arriviamo sul luogo della rappresentazione: chiuso. Cos’era successo? Di tutto quello che le ragazze avevano proposto, erano stati accettati solo alcuni film e non erano neanche state avvertite dell’esclusione della parte più scomoda del programma (lo spettacolo era «Anno zero: aborto fallito»). E questo è politico.

Il quartiere non aveva chiesto lo spazio per noi!
Quindi, il quartiere non aveva chiesto lo spazio per noi. Ci siamo fatte un bianco e siamo tornate a casa. Non eravamo comprese nell’iniziativa di quindici giorni sulla donna, che, con l’alibi femminista, si era articolata in una serie di dibattiti «parla l’esperto», di film di registi maschi e di commedie del Goldoni. Bisogna dire però che la censura non è stata attuata dall’assessorato in prima persona, ma dallo stesso consiglio di quartiere, di cui l’assessorato ha raccolto le proposte superstiti, assieme a quelle ancora più involute di quartieri in cui non c’era la presenza femminista. Il meccanismo viene applicato a tutti i gruppi di base; vantaggi: informazione diretta e recupero istantaneo.
Analoga ma differente è stata l’esperienza dei collettivi omosessuali che a Parma hanno accettato l’idea dell’assessorato alla cultura su una settimana di teatro omosessuale: tutto sulle loro spalle, e il merito all’assessorato. Forse il primo caso non si ripeterà, data l’inoffensività del programma presentato dalle commissioni ( il cui valore di diffusione di contenuti peraltro diluiti è innegabile), ma dobbiamo ricordare che ci stiamo offrendo, anziché come forza contrattuale, come manovalanza non retribuita e come alibi. Vogliamo continuare a fare da muse ispiratrici a chi organizza, censura, invita, firma e incassa sulle nostre proposte? Saremo gli angeli del comune? Se, ancora, come mi ha risposto Anna Palma Gasparini, assessora alla CF..

Le donne non sanno scrivere, disegnare, organizzare le mostre e i dibattiti?
«Bisogna creare nuove forze di partecipazione e di democrazia all’interno delle istituzioni»; mi chiedo perché l’iniziativa si sia ristretta così al vertice, e non sia piuttosto partita dai/ nei quartieri, sollecitata da apposito personale femminile organizzato in cooperative, in modo da far emergere le esigenze di zona, in base alle quali poi è ragionevole richiedere spazi per dibattiti, presenze, film e strumenti per elaborare cultura, in loco: iniziativa meno altisonante di una mostra convegno internazionale, ma più concreta.
Si è parlato anche, e la cosa finora non ha avuto smentita, della possibile e «necessaria» presenza di tecnici maschi anche nel convegno, oltre che nella mostra manifesti: forse che le donne non sanno scrivere, disegnare, organizzare le mostre e i dibattiti, le rassegne e i convegni, attaccare le spine, usare le luci, il pennello, la cinepresa, il video-tape, l’informazione? (era una domanda retorica). L’assunzione di personale femminile è il minimo che ci si può aspettare da una mostra-convegno sulla donna. Quindi, le addette all’allestimento della mostra vanno cercate nelle liste delle disoccupate: non c’è iniziativa elettorale più convincente, non c’è allargamento della partecipazione più sicuro. Queste donne: gli dai una mano, e si prendono il braccio. E perché no? Il braccio: siamo noi.