Nuova effe: perché?

maggio 1980

Questo numero ha una nuova veste tipografica più economica. Alcune di voi ci hanno scritto di non poter mandare altro denaro né sottoscrivere nuovi abbonamenti per le crescenti difficoltà economiche: noi vi chiediamo solo di comprare Effe, di richiederla dove non arriva per disfunzioni della distribuzione, perché questo è già un modo di sostenerci. Intanto la riduzione dei costi tipografici prevista con il nuovo formato ci consentirà di uscire con regolarità nei prossimi mesi e di affrontare con maggiore respiro la stanchezza del mercato, saturo di testate e insidiato dalla competitività dei mass-media visivi: i dati di diffusione delle piccole testate sia dei quotidiani che dei periodici sono allarmanti, noi resistiamo ancora ma dobbiamo attrezzarci al peggio. Anche perché il clima non ci pare dei più sereni ed è messa in discussione la stessa possibilità di fare informazione. La grave sentenza emessa dalla magistratura romana contro un giornalista e il direttore del quotidiano “Il Messaggero” pone inquietanti problemi sul futuro non soltanto dell’informazione ma delle stesse libertà costituzionali individuali e collettive. Subordinati a questo problema grave e generale, che ci riguarda in quanto donne che occupiamo un nostro spazio culturale e politico al quale teniamo molto, ci sono i problemi legati al nostro ruolo di informazione. Un mensile di donne, che per la sua natura periodica seleziona e non insegue la cronaca, oggi può vivere significativamente se continua a essere un luogo di produzione, discussione, elaborazione autonomo di donne che però non vogliono né possono eludere un rapporto fecondo e circolare con le realtà tutta e la cultura che sono marcate prevalentemente dal “maschile”. Sappiamo — e lo abbiamo detto — che la “politica” è in crisi nel senso che sono in crisi ormai da tempo le forme storiche che l’hanno rappresentata (partiti etc.) e le nuove forme che in questi ultimi anni l’hanno espressa (movimenti, nuove aggregazioni segnate dal ’68): questo dato ineludibile che le donne hanno contribuito a mettere in luce è però un “punto di partenza” per la nostra riflessione non un punto di arrivo. Questo significa che per tentare di capire ciò che succede in noi e fuori di noi il settarismo giova poco, anzi occorre il massimo di disponibilità, di libertà di giudizio, di apertura mentale. Nuovi bisogni emergono confusamente ed è difficile analizzarli con le vecchie categorie di interpretazione. Per questo siamo consapevoli che accanto alle positive trasformazioni avvenute in questi anni vadano valutati anche dei rischi. Uno è che esauritosi il rapporto movimenti-istituzioni che ha caratterizzato l’ultimo decennio riprenda il sopravvento una vecchia prassi politica consolidata che per incapacità di comprendere nuove esigenze e bisogni li elude o ne deforma il segno. Molte donne del movimento oggi si sono inserite o reinserite in strutture istituzionali preesistenti (partiti, sindacati, organismi di massa): il problema è per loro di non perdere la specificità della loro presenza, di non farsi appiattire da una struttura schiacciante. Altre tentano di crearsi un proprio spazio istituzionale in ambiti culturali o professionali collettivi. Anche in questo caso ci sono dei rischi che è bene esplicitare. Le modificazioni dì atteggiamenti e comportamenti, del senso comune, che l’ondata del femminismo ha lasciato dietro di sé, hanno per così dire imposto le donne all’attenzione generale ma ne stanno facendo delle curiose figure di marginali-interne. Vivere di un’istituzione e in un’istituzione che si è creata con le proprie forze (è il caso del centro culturale V. Woolf ma della stessa Effe o di altri spazi simili) può trasformarsi in un ghetto dorato, in una forma di marginalità istituzionalizzata. E’ probabilmente per questo, per non subire la frustrazione della marginalità, che molte donne hanno ripreso a lavorare in gruppi misti (anche politici). Ma proprio per questo oggi è più che mai necessario un dibattito-riflessione che stimoli una politicità nuova della presenza delle donne, del loro essere specifico all’interno di un generale processo di ricerca e di trasformazione. Se Effe continuerà a vivere lo potrà all’interno di questo dibattito che cercheremo di stimolare in tutti i modi: con inchieste, documenti, elaborazioni, discussioni alle quali invitiamo a partecipare tutte le donne che vi sono interessate. Se poi questo non accadrà, perché ci saranno venuti meno il sostegno e l’attenzione delle altre donne, vuol dire che la realtà è così mutata sotto i nostri occhi e tanto rapidamente da superare ogni pur modesta capacità dì analisi.