per una critica della scienza

«Il fenomeno donna» è un libro “di stimolo per tutte quelle di noi che intendono esplorare la cultura e le scienze date fino ad oggi, in qualità di soggetti politici, portatori di un’alterità critica”, anche se…

maggio 1979

nella bella introduzione che Franca Basaglia Ongaro premette alla riedizione del libretto di Julius Moebius L’inferiorità mentale della donna (Einaudi, 1978), si può leggere: «Dalla seconda metà dell’Ottocento… sono le esigenze della produzione a inglobarla (la donna) nel mercato del lavoro, ma sono queste stesse esigenze a produrre le prime contraddizioni. (…) Una nuova coscienza politica si sta formando fra le classi subalterne, ma anche fra le donne. E’ in questo contesto che si inseriscono le voci di Lombroso (La donna normale e la donna delinquente) e di Moebius, per far fronte alla dilagante insubordinazione della donna che, in modo ancora confuso e disorganico, vuole diventare un soggetto storico-sociale». L’insubordinazione attuale della donna si svolge in una società diversa da quella dell’inizio dell’industrializzazione dell’Ottocento, tuttavia l’ottica usata da Franca Basaglia Ongaro per spiegare le genesi delle ricerche scientifiche sulle donne è metodologicamente la stessa che si potrà usare nel leggere la densa raccolta di studi su // fenomeno donna (Sansoni, 1978). Oggi, in pieno capitalismo avanzato, nessuno studioso si propone di riportare la donna al suo ruolo di riproduttrice e basta, restano solo echi letterari e di costume. La forza lavoro delle donne fa parte dell’ingranaggio che tiene in moto il capitale, e la domanda di questo alla scienza è di contribuire a conoscere, per meglio adattare ad esigenze di produzione, il “fenomeno donna”.

Questa corrispondenza naturalmente non è così esplicita, anzi l’applicazione delle scienze più recenti alla biologia e alla psicologia femminile tiene conto di tutto ciò che l’eco del femminismo ha modificato nel senso comune. Sarà opportuno capire perché nasce proprio adesso, come è portato avanti il discorso delle scienze specifiche e come si può usare questo libro-strumento. In questi anni le ricerche sulla donna hanno continuato a svolgersi più o meno seguendo i ritmi di sviluppo dell’intera scienza di cui erano parte; mi spiego: se ci sono scienze che in un certo momento storico vedono un’accelerazione di sviluppo come è stato il caso, dopo il boom delle scienze esatte, per le scienze biologiche ed in genere umane, questo approfondimento copre in vastità tutto ciò che è in quel preciso settore conoscibile, quindi se la genetica chiarisce i fenomeni più segreti della riproduzione del materiale vivente, implica anche un approfondimento dei costituenti specifici, maschio e femmina nel caso della riproduzione sessuata. Tutto quello che è implicato dalla diversa organizzazione del vivente nei due generi, maschile e femminile, è preso in esame così come è preso in esame ciò che considera l’evoluzione dell’individuo dalla nascita alla morte, e ancora, il fatto di esser parte di un “continuum” evolutivo con le altre specie viventi. La conclusione è che “agli addetti ai lavori” la maggior parte dei dati contenuti nel saggio 77 fenomeno donna, è più o meno nota. Questo quindi è un lavoro che a livello di alta divulgazione piomba solo nel vuoto culturale generico che hanno le donne su se stesse. Chi non è biologa o psicologa, o chi non è antropologa, si trova di fronte ad una summa che si presenta come il “tutto” della scienza su di noi, e difficilmente si può inventare specialista per poter valutare fino in fondo cosa può essere accettabile e cosa è viziato in una tale operazione. Possiamo da un lato domandarci perché ancora oggi, come movimento, ci ritroviamo scoperte di fronte al problema della “naturalità” femminile, perché l’operazione “fenomeno donna”, promossa dal Centro Royaumont per una scienza dell’uomo arrivi in questo vuoto, e possa, chi ha coordinato il lavoro, stabilire dall’Olimpo di Una scienza alleata al potere, che «ognuno è libero ormai di tentare una sua teoria del femminismo, del destino della donna, della condizione femminile: ma d’ora in poi dovrà aver letto e assimilato il fenomeno donna». Dall’altro ci possiamo voltare indietro per vedere che cosa abbiamo smosso in questi ultimi dieci anni e riconoscere che storicamente sarebbe stato difficile, nel momento politico di punta, effettuare già la riflessione sulla nostra natura, proprio perché ciò a cui ci potevamo riferire con “natura della donna” era solo lo stereotipo maschile. Questo è allora un libro “pensato” dopo il primo momento di grossa estensione politica mondiale di un movimento come quello femminista. Arriva in un suo momento di modifiche e di riflessioni (è edito in Francia nel 1978 e tradotto nello stesso anno in Italia), modifiche legate anche alla situazione politica globale e che spesso vengono tradotte dai mass-media come Fine del Femminismo. Oggi, percorrendo trasversalmente diversi settori scientifici sotto il comun denominatore “donna” dagli esperti è indicata la Verità sulla donna e sono fornite soluzioni tecniche per il suo “miglioramento” biologico. La mozione ideologica che sottende questo lavoro è però più complessa e fa parte di un grosso gioco delle parti che da tempo gli scienziati innatisti giocano con gli ambientalisti. E’ necessario fare un passo indietro ed un’altra digressione. Nel 1972 si tiene a Royaumont un importante convegno su “L’Unità dell’uomo – Invarianti biologiche e universali culturali”. L’obiettivo è di trovare «i tratti invarianti dissimulati sotto il disordine dei fatti empirici» che permettano di unificare, in una sorta di bio-antropologia i dati della genetica, degli studi comparati con i primati, le ricerche più recenti della neuropsicologia ed antropologia. Le ricerche sono ad alto livello e l’aspirazione è che il disordine dei fatti empirici (la storia in senso lato) non sia più “d’intralcio”. Le costanti cui ci si richiama spesso sono ipotizzate come genetiche innate. In quest’ottica la scienza è il vero agente rivoluzionario dell’umanità: e la scienza, unita alle tecniche che da essa muovono, che “libera” l’individuo. // fenomeno donna è percorso dalla stessa ideologia oltreché essere articolato sullo stesso schema interdisciplinare. Cambia la posizione di chi presenta e commenta gli interventi: discorsiva e connettiva nelle varie parti tra loro, quella dei curatori della Unità dell’uomo, trasudante commossa riverenza per gli Scienziati e pedagogici ammonimenti alle femministe quella della E. Sullerot ne II fenomeno donna.

L’ideale del biologo molecolare J. Monod, la sua speranza in una società coordinata e determinata in base alle scoperte della scienza (“la più nobile delle attività umane” – f. Monod, 77 caso e la necessità, Mondadori, 1970) è raccolta poco prima della sua morte dalla Sullerot: «Egli era troppo progressista nel pensiero e negli atti per essere ostacolato dai tabù, anche se momentaneamente battezzati da sinistra». Questa partenza determina un pericoloso teorema: se spesso in questi anni abbiamo detto che donne non si nasce lo si diventa (e con questo non alludevamo certo ad un sovvertimento delle leggi di natura ma a sottolineare ciò che chiamavamo il “ruolo”), «alla fine di questo libro ogni lettore avrà compreso che (…): si nasce del tutto donna con un destino fisico programmato in modo differente rispetto a quello dell’uomo e con tutte le conseguenze psicologiche e sociali legate a queste differenze». L’aporia che troviamo in questa affermazione e che coglie lo scopo del lavoro è che se la prima parte della frase è ovvia, lo scivolone che “lega” le conseguenze psicologiche e sociali al destino fisico dimentica alcuni particolari che vanno sotto il termine complessivo di Politica e Società. E’ chiaro che premesso questo taglio ideologico il dibattito tra le diverse posizioni dei partecipanti che segue alle singole ricerche è un minuetto articolato in un tutto fondamentalmente omogeneo, è la riproposizione sotto diverse angolature di un solo discorso non certo di una pluralità di posizioni in dialettica tra loro. Anche nelle scienze in questione, soprattutto in psicologia e antropologia esistono invece posizioni più o meno ufficiali, e di dissenso sugli stessi temi. Curiose e dissidenti come siamo noi femministe avremmo gradito una situazione in cui fossero state presenti anche le voci non perfettamente allineate con l’ideologia scientista di questa sorta di parlamento svizzero. Le tre parti in cui il lavoro è diviso sono: // fenomeno biologico, Gli aspetti psicologici, Gli aspetti sociali, La parte più ambigua è senz’altro la prima; innanzitutto perché è più difficile saper depistare a primavista gli sfondi ideololgici delle ricerche presentate. Infatti se per la psicologia o la sociologia lo stesso linguaggio e l’evidente intreccio con il dato politico è per la maggior parte di noi decodificabile, di fronte al “laboratorio” che spiega, in base ad esperimenti dati, fatti lontani dalla esperienza del profano, strutture cerebrali, dosaggi di endocrinologia, discorsi sui cromosomi, si rischia di più. E’ tuttavia importante fermarsi anche su questa parte dove l’ambiguità è maggiore. E’ infatti sulle magnifiche e progressive sorti delle scienze biologiche fisiologiche, quali l’endocrinologia e la biochimica che si dovrebbe fondare la nostra liberazione. Il discorso pressappoco è questo: se le donne si sono potute ribellare è perché c’è stata la pillola che le ha liberate dalla schiavitù delle maternità non desiderate, oppure l’invenzione dell’allattamento artificiale ed altri esempi del genere. La linea “rivoluzionaria” iniziata da queste innovazioni della scienza legata all’industria chimica non è che l’inizio. Un esempio per chiarire può essere il seguente. Una riflessione sui tempi ciclici della vita delle donne indica una possibile spiegazione evolutiva delle mestruazioni come fenomeno non più limitato a periodi relativi nella vita della donna come doveva probabilmente essere prima dell’epoca agricola, nel periodo arcaico e nomade della caccia e raccolta. La prolungata lattazione (3-4 anni) che ancora oggi si osserva in tribù nomadi, era un contraccettivo naturale e le quattro o cinque gravidanze permettevano una assenza di mestruazioni per periodi prolungati. Essendo oggi radicalmente modificato il ritmo biologico della sessualità femminile (è naturalmente un oggi in senso evoluzionistico, cioè gli ultimi millenni), c’è una sorta di spreco di mestruazioni che, come modifica culturale indotta, può non essere positiva per la donna (vedi ipotesi di maggiore incidenza di cancro uterino e mammario in donne senza gravidanze). Fin qui questo discorso può essere stimolante, anche se è solo una ipotesi. Ma a questo punto la soluzione proposta risiederà in manipolazioni endocrino-logiche o farmaco-chimiche che ripristino una sorta di amenorree ricorrenti. Se siamo dubbiose su tali proposte, come su altre dello stesso tipo, non è in nome di una presunta preferibile naturalità dei nostri processi dal momento che tale naturalità è stata ampiamente mediata dalla cultura fin dai primordi ed è difficile rintracciarla come tale in nessun essere Umano, ma è perché ci domandiamo: 1° da quale pianeta incorrotto verranno questi endocrinologi che dedicheranno le loro ricerche al benessere globale della donna liberata? 2° abbiamo oggi esempi di un tale tipo di dedizione della scienza alla liberazione anche solo del sesso maschile che non siano a vantaggio di una classe dominante? Tra le righe delle discussioni sul controllo della ciclicità forse si coglie un perché della soluzione. Scrive una studiosa «Come datrice dì lavoro, sociologa del lavoro, o più semplicemente in quanto donna (…), io credo che tutti sappiano quanto la sindrome più preoccupante della ciclicità femminile sia proprio la dismenorrea. Il dolore che sopravviene ih questa occasione è la causa maggiore dell’assenteismo dal lavoro e dei disturbi del comportamento» (p. 157). La scienza non sostiene più come al tempo dì Moebius che la donna è fisiologicamente deficiente.

Ciò che oggi interessa sapere è se ci sono le possibilità di una totale Utilizzazione dell’indivìduo donna per il sistema e dove, rispetto alla organizzazione del lavoro, le differenze possono essere compensate se disfunzionali, o supersfruttate in modo differenziale se specifiche e diverse da quelle dell’uomo. Questo secondo caso è quello studiato in un lavoro sulla percezione spaziale differente nei sessi, migliore per la tridimensionalità nell’uomo. In questo caso l’industria non avrà più da muoversi per tentativo ed errore, ma si saprà a priori “ricercare le modalità educative e professionali più adatte ai differenti individui”. L’illuminismo utopistico di queste soluzioni se non si applicasse ad una precisa realtà sociale e politica data è di pel’ sé sbagliato: sviluppare le differenze attitudinali tra gli individui in una società senza discriminazioni di classe o dì sesso è un reale obbiettivo di progresso. Se poi queste differenze attitudinali sono promosse per realizzare un tipo carsi.

dividuo ed utile per la comunità è solo da ricercarsi.

Purtroppo non è la situazione della fase storica che viviamo. Il segno che prende tutto ciò nascendo da questo tipo di società necessariamente cambia e richiama dà vicino le proposte di scuole differenziali per i negri proposte da Jensen ed Heysenk: sfruttare le abilità diverse latenti nelle diverse razze, indirizzare scolasticamente l’ “intelligenza associativa” (valutata in base a tests che rivelano i bianchi superiori per 20 punti circa ai negri) tipica dei bambini negri, lasciando ai bambini bianchi la manipolazione dei concetti astratti cui sono ereditariamente predisposti.

Molti dei dati e degli esperimenti riportati nella seconda parte sarebbero da studiare in profondità, attraverso lavori di confronto e di critica, come nel caso appena riportato. Per la differenza che c’è tra la psicologia e la genetica, trattata nella prima parte, quale settore della biologia che si occupa di ciò che può definirsi “l’ereditarietà”, questa seconda parte pone spunti più problematici, sia pure restando entro i binari che informano tutta l’opera.

La terza parte è scientificamente la più scontata, ma ideologicamente la più chiara e diretta allo scopo. Restano fermi i presupposti che biologizzano qualsiasi tipo di spiegazione sulla condizione della donna nelle società, ma nel passaggio dal cromosoma ai ruoli sociali nei due sessi, risalta l’ipotesi politica che sottende il lavoro.

I saggi sono selezionati nel settore di una antropologia legata alla fisiologia, che utilizza i parallelismi con organizzazioni sociali di altre specie di animali e con i loro ruoli sessuali. Concetti che sono oggetto di un vivace dibattito scientifico all’interno della stessa etologia, sono invece dati per scontati e su di essi si basano molte delle letture che, in nome di un malinteso evoluzionismo, ci spiegano la subordinazione ed altre caratteristiche del nostro ruolo come un retaggio inevitabile.
Risulta tagliata fuori dal discorso la parte dell’antropologia costituita dalle posizioni che sono attualmente in aspra polemica con la biologistica, tali posizioni sono in taluni saggi citate in un contesto che le minimizza o le presenta come “poco scientifiche”. Potranno però essere rintracciate autonomamente da chi legge e vuole approfondire, attraverso le ricche e aggiornate bibliografie di cui ogni intervento è fornito.

II biologismo nell’Ottocento serviva a giustificare l’assetto socioeconomico come l’unico possibile “per natura”. L’ottica usata nell’analizzare il fenomeno da Steven e Hilary Rose (Ideologia delle scienze naturali, Feltrinelli, 1977) si può estendere al biologismo di oggi e allo scopo del lavoro, sia pure non consapevole in tutti gli autori partecipanti. «Questa dimostrazione (biologica) mentre da una parte giustifica la repressione, dall’altra svaluta, divide, demoralizza gli oppressi, contrapponendo alle loro lotte, la razionalità scientifica. Questo ruolo ideologico, al pari delle concomitanti tecnologie, rappresenta oggi la vera funzione del biologismo, non solo a livello sovrastrutturale, ma in ogni dimensione attuale di lotta» (St. e Hilary Rose, op. cit.).
Il enomeno donna proprio per il fatto di presentarsi come compendio di tali posizioni è senz’altro per tutte istruttivo. Confrontarsi con un materiale che non si può ignorare, con cui si discorda, ma che pone molti interrogativi è importante. Sarà, inoltre da considerare come “indicatore” di ciò che si muoverà sulle donne oggetto di studio nel futuro prossimo. Sapendo che, come anche in questo caso il “sulle donne”, sarà presentato da scienza, tecnica, industria come un “per le donne”.