più brava di un uomo

marzo 1979

capita che le sciatrici azzurre (Quario, Giordani, Gatta) vadano più forte dei loro colleghi maschi, allora i giornali intitolano così i loro pezzi: «la valanga, azzurra ha cambiato sesso». Capita che una saltatrice in alto, Sara Simeoni, (sulla scena sportiva da molti anni) migliori il record mondiale di tale specialità (2,01) e la curiosità della stampa si accentri sul “suo essere donna”. Capita che una brava giocatrice di basket, Mabel Bocchi, rivendichi per le donne lo stesso trattamento riservato ai giocatori maschi, ed eccole affibbiato il termine di “liberata e emancipata”. Ci si domanda il perché di tanta attenzione sul tema della donna anche nel mondo sportivo. Forse che prima le donne non vincevano? Certo che vincevano, solo che per la stampa, la televisione e la radio, non erano donne. Se Paola Pigni vinceva nel mezzofondo era perché si allenava “con sacro furore” e “pioggia o non pioggia, ogni mattina macinava di corsa km. fino all’ufficio”. Se Novella Calligaris, unica italiana che nel nuoto riusciva a tener testa ad avversarie tedesche e americane, vinceva, era perché “ragazzina strana e capricciosa”. Se Antonella Ragno, schermitrice, seppe vincere il titolo olimpionico di fioretto, fu perché era “una matura e posata signora”, e la maturità, si sa, è categoria universale priva di alcuna connotazione di sesso. In poche parole, erano esseri assessuati a cui il caso e circostanze di forma favorevoli, avevano permesso di salire alla ribalta sportiva.

Anni di lotte e di battaglie femministe hanno fatto sì che anche un mondo così tradizionalmente chiuso e patriarcale, come quello sportivo, sia oggi costretto a correggere il tiro (anche se questo non vuol dire riuscire a centrare il bersaglio). E quindi ad ammettere una realtà femminile anche all’interno della pratica sportiva (agonistica e non). E come questa presenza femminile abbia valori e caratteristiche di partenza diverse da quella maschile. Se non altro, perché si sviluppa dopo che per secoli si è cercato di atrofizzare il corpo della donna nelle quattro mura domestiche, occludendole (apertamente e non apertamente, direttamente o indirettamente) qualsiasi altro modo di gestirlo e di esprimerlo. Retaggio della vecchia mentalità e la celebre, e mai troppo esecrata frase, “brava come un uomo”, che commenta la buona prestazione non solo di una atleta ma anche di una qualsiasi praticante domenicale. A noi togliere questa frase dal dizionario perché “fuori uso”. L’attività sportiva femminile non ha bisogno di trovare la sua legittimazione nel continuo confronto con quella maschile.