poesie

maggio 1979

 

donna

Implacabile donna ravviata

ritornata fusa estatica

formata dalla vista

come nessuno ha merito

al maturare di un frutto

Ignoro io stessa

la tua essenza

e il tempo che ti muta

e la lingua che ti intende

ti scruta di percuote

la bocca di questo mattino

che ti versa nel giorno

nella sognatrice essenza

del tuo luogo di pena

Occhi disegnati

Essere donna al calore del giorno

mordere le castagne

frutto del tuo seno

è adorare la vita al suo nascere

E forse ogni sterilità

dona molli ombre

e carne e bruciore di metallo

e fantasmi al tuo grembo

infinita pianura

profonda immaginaria

tremante terra

radura di innocenza

contatto d’inferno

dove anche la tristezza

conta la noia

e inaugura una nuova” ‘speranza

nella tua miseria

Una volta ancora proverai

la leggera limpidezza

una figura orlata di vento

carezzata di silenzio

distesa di assoluto

dissimulato piacere

Prima inventata

guizzante vergine di natura

Tilde Romeo

 

sera

Che deserto questa casa

senza volti!

I giochi dei bimbi sono muti.

Le ore scandite dalla tecnica

indicano

fredde immagini

Mi abbandona

questa giornata piena di avvenire.

Ludovica Cantarutti

 

il nascondiglio

Una mano in tasca:

una manciata di sogni

serrati in silenzio.

Mio testimone, questo silenzio,

corre

con i miei passi e la mia ombra,

come un’anima di carta

allegra in esili fantastici.

C’è un epitaffio senza senso

per il mio silenzio,

un amore incompiuto,

un esilio sicuro.

Le albe livide

bagnate di nuvole

vagano sperdute.

Nessuna traccia

di sentieri battuti,

di coste spumeggianti:

l’arena

bagnata di lacrime

tace al tramonto,

anch’essa solitaria

Ludovica Cantarutti

 

il mio dolore diventa coraggio

Molti giorni passati come l’acqua

e ancor meno

scorsi via senza lasciar traccia

Molte notti strizzando gli occhi

dal dolore

arrabbiate per la solitudine

impaurite dal buio

e dalle mani di un uomo

umiliate dallo splendore del mattino

che sorge

noi così squallide timorose ignoranti

Molti giorni infine a pensare

la storia passata e quella presente

con la testa frastornata più che mai

con le mani nervose più di sempre

donne sole arrabbiate in una gabbia

Molto tempo

continuare a vivere

a pensare il timore

che diventa coraggio

l’ignoranza che diventa

una nuova coscienza

squallore per una nuova e piena vita finalmente nostra.

mio pianto è da battaglia dalle lacrime fioriranno spine e non rose

Voglio spezzarmi senza pietà

voglio accusare ed accusarmi

Scende un fiume

che infrange argini di secoli

argini di schiavitù

Non voglio più tradirmi

né essere rifiutata.

Barbara Fagorzi

 

lungo righe parallele

Un bisogno aspro

tira le mie dita

l’ansia scivola

in una trasmissione di segni

come un riprendere di pienezza

Ora con il distacco inconsapevole

con la lontananza della certezza

richiudi i gusci di una conchiglia

A spirali si volge la mia mente

lungo righe parallele

spezzate dalla certezza

piegate

con dolorosa estensione

si riconciliano

alla quotidiana lotta di vivere

Questo ebbro bisogno di parole

che le urie sulle altre

me le fa accavallare

che fanno sentire chiuso

un periodo di vita

che danno sfogo

allo strappo doloroso

delle mie fantasie

si accavallano come lune turbinanti

come sogni impazziti

Riposo

è giunta l’ora

giunto il fine del lungo ed agile

rettilineo

sta a noi

affrontare i gomiti e le anse

le piene curvature

dei nostri colloqui

Finito l’abbandono

al dolce conoscersi

Ginevra Malagoli

 

immagine di Venezia

O Dio, che sorgi

dai merletti antichi

e ti espandi

nei muschi avidi

e sinuosi,

ci sorridi di onda in onda

fino a quando i lampioni

delle calli

giocano a rimpiattino

sulla soglia dell’aurora.

Poi lasci il tuo odore

di mare e di immensità

al primo sole

di un mattino veneziano.

Ludovica Cantarutti

 

ulrike e le altre

Se anche Ulrike si è uccisa

quanto lenti

i momenti

e crudeli

dovettero caderle

sul petto

e quanto gravide di scherno

dovettero essere

le frasi

che il potere sgocciolava.

Chiedetelo a Petra,

ai tonfi della sua fontana.

(una ragazza sarda ama il mare).

Se anche Ulrike si è uccisa

quanto sforzo

deve aver singhiozzato il suo povero corpo

a contenere la rabbia,

e quanto dovette annaspare

la sua voce per non riuscire più

che ad evocare suoni.

Chiedetelo a Franca,

a Maria Pia Vianale,

cosa vuol dire

lacerarsi le braccia con le unghie.

Se anche Ulrike si è uccisa

quante volte

si sarà rannicchiata sul suo corpo

e quante frasi

stroncate sul nascere non videro la luce.

Chiedetelo a Giorgiana

alla sua morte pallida.

(una ragazza sarda sul selciato

dalle profondità di sé in qualche

modo ancora grida).

Se anche Ulrike si è uccisa quanta disperazione rabbia gioia e ribellione

dovranno esplodere…

Chiedetelo alle donne,

a tutte le donne.

(una ragazza sarda

vuole vivere).

Se anche Ulrike si è uccisa

quanto a lungo dovettero echeggiare

e quanto ciechi

dovettero sbattere sui muri

i fervidi rosarii di violenza

le mani grasse e placide

degli uomini.

Chiedetelo a Rosaria

e l’ampio sguardo freddo

non potrà trafiggere

tutti i suoi carnefici.

(una ragazza sarda

ha un padre).

Se anche Ulrike si è uccisa

in quanti dovettero stancarla

ballandole dentro

nel cervello nell’utero

percorrendole folli

e senza mai pietà

tutte le vene.

(una ragazza sarda

sale sul tetto del suo fabbricato

e si lascia cadere).

Oria

 

come un’uccello

Amore l’esaltazione di un attimo

trovato tra i fiori, un poema lungo

di storie sgretolate tra i sogni,

un soffio sul viso, l’immagine calda

di un giorno infinito, amore l’aria

leggera dentro fredda come la morsa

del mattino, come l’atrocità dell’alba,

amore parole che rotolano

che scivolano

tra le carni, incise come volti sacrali

scolpiti dal cielo, dalla pioggia, amore

come un campo maturo, come

il sole caduto tra le genti

infuocate ammassate nella paura dello

alito di una giovane morte, come

il gioco della tua vecchia canzone

al mio sesso,

sventrato, procreato, amato nel

profumo del proibito nella eccitazione

di un dono senza guardiani senza

spettri, amore incontro tra il mondo

e il mio sorriso curvo sulla

luce di questa notte, agitata, confusa

tra i sogni e il rumore sottile del buio

sospetto, che spia queste paure

cresciute tra le foglie,

tra il scorrere lento delle tue attese,

amore la mente che scivola nell’anima

che sa di essere come una corsa

affannata, come il tuo corpo

acceso dalla vita dai sussulti di questa

estate bianca e sola come le sere

passate a cercarti sui marciapiedi, sulle

strade angosciate affollate di me, di

tutti, di niente, amore una finestra

appannata dal mio respiro spento,

accecato che guarda ingigantisce e

rotola, affonda tra

la rugiada tra i piccoli cristalli

assopiti sulla mia pelle stanca e corre

con il giorno, corre a chiamare,

a soffrire queste ore a parle a lottare

ogni minuto, amore questo piccolo

pezzo di me che traspare questo mostro

che toglie a brandelli la mia vita

marcia e candida, addormentata

tra i colori di questo amore

che non ha nomi, amore che sussulta

ogni istante tra le mie braccia

le mie cosce, tra il mio essere affannato

arrecata al tuo esistere intriso

della solitudine della tua antica forza

del tuo basso potere, amore queste

gocce rosse che sprigiona il mio corpo

questa forza incarnata qui tra i seni,

tra le mani, e nel tuo correre

felice come un cavaliere ubriaco

di noia, di gioia, di favole rattoppate,

amore la tua lingua che scorre

come un fiume tra le mie labbra

che bacia questa rosa recisa trucidata,

che beve questo sacrificio

di me, che si nutre di questa linfa,

di questo mutismo prigioniero,

amore una violenza leggera

come cristallo, antica, sepolta

nel sangue nel cuore come queste

radici che divorano la terra

amore come un uccello che vola, si

innalza, si schianta e si uccide.

Teresa

 

io, donna

Ho spezzato

il pensiero

ridicolo schiocco

o crepitio

funesto)

in grani

preziosi

di sale.

 

E l’Essere

ridonda

dentro il Verbo

ricolmo fino all’orlo

come coppa.

 

E scroscia

e spiccia

e soffia

spumoso

come mosto.

 

Ne intriderò

paziente

la farina minuta

della storia:

a rimpastare

il mondo

Maria Paola Bedini

 

economia politica

Quand’ero bambina,

la mamma, la zia

la nonna efficiente

mi hanno parlato di economia

mi hanno insegnato

o meglio, inculcato

l’insufficiente.

Così, sono anni

che vivo d’affanni

tirando il carretto

con tutto lo slancio

per fare quadrare

in modo corretto

il magro bilancio…

e poi le serate

— ma quante? —

passate

un po’ a districare

la confusa minestra

che avevano in testa

i poveri figli

che cambiavan maestra

tre volte in un anno!

La preoccupazione

del: poi come fanno?

e lì, la lezione

di storia, latino

perché ne sapessero

almeno un pochino

Quand’era di moda

comprare e buttare

per poi ricomprare

in maniera un po’ isterica

mettendosi in coda

a scimmiottare

la gran’America,

a me che restavo

ancora attaccata

alla mia economia

e che ricordavo

la lezione imparata

da mamma e da zia

mi han detto:

«retriva!

sei contro il progresso!

bisogna che impari

la vita di adesso!

non sei progressista!»

Ora dal BOOM,

sfiorando il CRACK

e l’inflazione

siamo passati

alla recessione:

quella politica capitalista

ci ha riportato in un mondo fascista;

ma sia come sia è sempre lo stesso

mi trovo a combattere

la mia economia

in casa ed in piazza

non so dove sbattere,

mi sembro una pazza.

E per non comprare

la carissima carne

potere saltare

bistecche e braciole

so io di capriole

se devo farne!

Non farsi incantare

dalla pubblicità

e saper comprare

per la qualità…

Non farsi incantare

da tutti gli stracci

che dicon di moda

e fare durare

quei due vestitacci

un po’ fuori moda…

Gli anni volati,

i figli cresciuti,

alti e spigati

iscritti al partito

politicizzati

dipingon cartelli

e vanno ai comizi

con questi e con quelli

e strillano: «Basta!»

Poi vengono a casa

e voglion la pasta.

E parlano parlano

di economia

e se ne intendono

ma solo in teoria.

Ed io come nonna,

poi mamma e mia zia

la faccio e maneggio

con queste due mani

da sempre mi batto

per l’oggi e il domani

ma più m’arrabatto

e più è sempre peggio:

se provo a parlare

o a criticare

il mondo fascista

nel quale viviamo

che col troppo lavoro

mi grava le spalle,

mi dicono in coro:

«stai zitta!

su’, andiamo

non dire le balle!

Tu sei qualunquista!

Non sei neanche iscritta

al nostro partito!»

Adesso ho capito:

la vera politica

la fanno loro

anche se solo a parole e parole

per noi, donne sole,

rimane la pratica

rimane il lavoro

e come ieri, oggi e domani

i calli a le mani.

M, Grazia Ombuen

 

i padroni del tempo

I padroni del tempo

hanno mani giganti

per ghermirti le ore

che sarebbero tue

se non ti fossi lasciata incastrare

dai truffaldini contratti

E si inceneriscono i giorni

nelle incombenze inutili

mentre fuori l’estate ritorna

a te sempre più estranea

Giorgia Stecher

 

ansia

Prima ero un’altra

ed il mondo era mio:

ora sono me stessa

ed il mondo è nemico:

là dove scorrevo ruscello

oggi scroscia un gran fiume.

Non chiedermi più

di ritirare le sponde

per potermi saltare.

Domanda piuttosto

se sono felice,

poiché è troppo crudele

perdere tutto

per trovare se stessi,

ed a volte,

anche al cuore del fiume

giunge il silenzio

delle sue rive

Graziella Pesaresi