poesie

marzo 1980

alla madre
Mamma, mi hai amata con tristezza
perché femmina, specchio della tua negazione
Io ho implorato il tuo amore,
senza parole, come i cani che attendono
sul tappeto e raminghi spariscono
sempre più spesso, a portare
il loro dolore per i sentieri,
a dirlo alla luna, nelle chiare
notti di fanciullezza inerme.

Sei stata la pena della mia vita
perché con pena ti ho amata
dalla distanza che ho preso per cercarti.
Con pena ho pianto la tua esistenza
quando non c’eri più, con rabbia.

Non posso riscattare la tua vita,
ma se tu oggi potessi sentirmi
ti direi che mi appresto
a un rito d’amore sul tuo letto,
che ricordo con tenera gioia
quell’unica volta che ti vidi
suonare sorridente un pezzo
d’operetta di Strauss, con una
vecchia mandòla impolverata.

a leningrado, una notte bianca
Sai, mamma,
l’ascoltavo come una favola
la storia che mi raccontavi
della bisavola strappata bambina schiava
dagli spazi aperti di Circassìa
adottata figlia e sposa

dal beduino civilizzato
e morta fra gli aranceti dell’isola,
di malinconia.

Quel pianto non è mai cessato:
è tornato nelle mie solitudini
sprofondate in lontananze ignote
ha segnato le intermittenze
dei miei approdi impossibili
mi coglie ora,
nella dolcezza inquieta di questi fiumi
nell’ombra di lillà dei canali
dove vorrei lasciare le mie ansie.

a lilli quercia che quella sera, a Viterbo, chiedeva
Mi chiedi, amica,
che sentimento ho adesso
degli anni trascorsi sotto questo
cielo — che a me pareva nordico —
su queste strade di boschi e di
laghi, ma non so dire l’arcano.

Mi davano tremore all’anima
la Palanzana col suo ciuffo verde,
d’inverno,
le torri snelle nel sole
e minacciose sulle case
il camminare nei vicoli selciati
e l’apparire del largo delle piazze
con nomi d’altri tempi.
Avevo malinconìe d’esule
e felicità di vita nuova
I vostri volti le vostre voci
sono nella mia storia.

è la casa sul fiume
E’ la casa sul fiume
l’apparizione che muove
la mia nostalgia in spenti
mattini imprigionati di tedio.
Assonnata sospende le finestre
in grigi vapori d’acque
e racconta di passaggi di zattere
notturno batter di remi
e storie di fuggiaschi.

Qui un sogno mi nasce
scivolando veloce,
ma temeraria lo riprendo

ho cercato i tuoi occhi
Ho cercato i tuoi occhi
in questa stazione del Sud
evanescente nelle sfilacciature del cielo
ho teso la mano
per un gesto immaginario ma antico
nuovo nel sentimento della ricerca
impotente a dirti
come le consonanze siano impossibili
finché sarò trapassata
da quest’alito caldo di gelsomino
che si sciala nell’aria
con allegria tragica.

vorrei essere un barbone
Vorrei essere un barbone
e vivere nella malinconìa
di stazioni di metrò
puzzolenti di piscio e di sudore
fra voci roche e note di chitarra.
Sputare in faccia al mondo
con seria noncuranza del cappello sudicio,
non avere voglia di compagnia
non desiderare di farcela
dire bastardo al passante
che non lascia le cento lire.
meriggio
L’acqua cheta
la mimosa colorita
chiara sulla luce del fiume;
la linfa inquieta
i platani sotto il cielo
assopito del meriggio.
Vieni, non temere la vita:
eterna è solo la morte.