“prima le donne e i bambini”

Così si usava dire fino a poco tempo fa in segno di riguardo verso strati sociali “deboli”. L’ipocrisia di quest’espressione è stata rivelata pienamente dalla disumana tragedia del sud: anche nella morte e nella distruzione prima le donne e i bambini. Una proposta operativa: un servizio psicologico d’emergenza.

dicembre 1980

Quest’editoriale lo scriviamo mentre giungono le prime notizie del terribile disastro che ha colpito il sud: un terremoto di violenza e estensione inaudite che ha dato forfait alle strutture dello Stato. Per anni abbiamo messo in luce come movimento e come donne singole l’inadeguatezza, l’approssimazione, la profonda estraneità di apparati e istituzioni ai bisogni espressi dalle donne, strato sociale peculiarmente debole tra altri strati sociali deboli. La nostra protesta non è stata senza echi, ha contribuito — insieme ad altri avvenimenti — a modificare esigenze, costumi, attese, anche leggi, elevando il livello di maturità politica generale. Ma lo spettacolo che in questi giorni stanno offrendo i pubblici poteri fa impallidire ogni critica e supera le immaginazioni più fervide: lo stato centralizzato dei prefetti, del burocraticismo paralizzante non solo non riesce a soddisfare i bisogni della gente — che sarebbe pretendere troppa perspicacia — neppure le urgenti necessità, quell’emergenza che ogni Stato che si proclami civile dovrebbe essere attrezzato a fronteggiare. Abbiamo visto sfilare davanti al teleschermo facce attonite di donne e di bambini che chiedevano aiuto, che ancora a 48 ore dal terremoto avevano avuto solo la solidarietà generosa e senza mezzi dei sopravvissuti, dei vicini, della gente qualsiasi. Per la prima volta la grande, stampa e i telecronisti d’assalto (qualcuno con dubbio gusto ha anche costruito il suo pezzo di colore sulla lotta tra la vita e la morte del custode di un cimitero) scoprivano paesi — dai nomi dimenticati, sconosciuti alla stragrande maggioranza della gente — che l’emigrazione degli ultimi trent’anni ha finito di vuotare delle forze-lavoro giovani e trasformato in appendici superflue di uno Stato che ha altrove i suoi centri e la sua vitalità economica e sociale: paesi di vedove bianche, di donne, di bambini.
La grande stampa nazionale, finanziata dalla grande industria, ha aperto una sottoscrizione pro-terremotati che sta raccogliendo cifre ragguardevoli; tutto ciò sarebbe lodevole e nobile, se non fosse
anche il tentativo di sottrarsi a un giudizio, pagando in ritardo e inadeguatamente pesantissimi debiti. Perché le responsabilità che la grande industria ha nel sud non sono meno gravi di quelle dello Stato: responsabilità di un’industrializzazione indiscriminata e selvaggia che ha ridotto il territorio un deserto o un colabrodo, complice la latitanza dei poteri legislativi e esecutivi, spogliato di energie un sud “povero” per gonfiare un nord “ricco”‘, alimentato tensioni sociali e squilibri, impinguato pericolosamente le fasce di emarginazione urbana. Ma di queste degenerazioni, dell’ingovernabilità delle nostre città — il cuore dello Stato — si è parlato e si parla sulla stampa nazionale. Ci è voluto un terremoto per scoprire che esistono paesi interi di donne, i cui mariti e figli sono emigrati, e di bambini affidati per antica consuetudine alla loro custodia. «Prima le donne e i bambini» usava dire fino a poco tempo fa per mostrare riguardo verso questi strati «deboli». L’ipocrisia di questa espressione l’ha rivelata pienamente la disumana tragedia del sud: anche nella morte e nella distruzione prima le donne e i bambini. Queste amarissime considerazioni vogliamo che non siano senza seguito, che abbiano un’eco concreta di solidarietà operativa per i vivi.
Adesso soprattutto si tratta di non lasciare le donne del Sud ancora una volta sole di fronte al nuovo carico di sofferenze che il terremoto ha prodotto. Oltre agli indispensabili aiuti materiali, occorre creare immediatamente un servizio psicologico d’emergenza che svolga funzioni di:
a) consulenza ai coordinatori degli interventi a favore dei terremotati in modo che essi tengano conto delle implicazioni psicologiche delle loro decisioni burocratiche e coinvolgano nei processi decisionali i terremotati stessi. In televisione l’altra sera un generale parlando del problema degli alloggi invernali sosteneva che sarebbe stato bene mandare bambini ed anziani negli alberghi del Salernitano, facendo restare gli adulti nelle roulottes. Ci sembra che questo tipo di iniziativa non possa essere adottata in tutti i casi, perché per certi bambini che hanno già perso un genitore, ad esempio, essere separati anche dall’altro, di notte, costituirebbe una situazione probabilmente produttrice di nuovo stress psicologico;
b) sostegno psicologico a donne (in modo particolare a quelle incinte) che si trovano in uno stato di stress acuto per evitare l’insorgere di depressioni psichiche gravi (o di parti prematuri). Da molte ricerche sappiamo che le donne, in quanto più legate degli uomini al mondo dei rapporti, sono più vulnerabili alla perdita delle persone amate. In questo caso, poi per i ritardi dell’intervento pubblico, alcune donne hanno dovuto affrontare l’insostenibile: assistere impotenti all’agonia dei propri figli o congiunti, sepolti sotto le macerie, e pertanto sì trovano in uno stato di “emergenza psicologica”;
c) programmazione di interventi singoli e di piccolo gruppo con i bambini terremotati per aiutarli ad esprimere le loro paure e i loro Vissuti attraverso attività di animazione, drammatizzazione, ecc.
d) consulenza per problemi di affidamento familiare e/o extra familiare di bambini rimasti orfani;
e) sostegno psicologico a chiunque debilitato dagli eventi si senta vicino ad un crollo psicofisico;
f) elaborazione di programmi d’intervento a medio e lungo termine che tengano conto del bisogno dei terremotati di non perdere anche quel tessuto di legami interpersonali che dava loro un senso di appartenenza ad una comunità ben definita.
In questo servizio potrebbero confluire le centinaia di disoccupate/i o sottoccupate/i (psicologi assistenti sociali animatori culturali) residenti nel Sud, che appositamente addestrati potrebbero svolgere un utile lavoro. La giusta rabbia delle donne del Sud non può aspettare i tempi lunghi dello Stato, pertanto riteniamo che organizzazioni come i sindacati, l’Arci, l’UDI potrebbero farsi carico di questa iniziativa, che noi come Effe intendiamo proporre.