questi buoni vecchi fondamenti del patriarcato

gennaio 1980

In un immenso paese lasciato nell’ignoranza, è difficile osservare le sfumature della degradazione. Le rivelazioni occupano mai più di una piccola colonna di giornale. Il discredito distrugge alle radici le idee nuove. La voce della verità si sente appena nel frastuono della parata. Da noi si parla molto di difesa, ma prima di difendere alcunché, bisognerebbe forse cominciare a salvaguardare le forze vitali della società stessa. Vale a dire: prima la donna che dà la vita, poi i suoi difensori, e non l’inverso. Per dare un’eguaglianza reale alla donna, la società deve pagare il suo lavoro più di quello di un uomo e non di meno. Ma non si tratta di un problema di aritmetica.
Già Gorkij proponeva di computare nel tempo lavorativo di una donna 5 anni per ogni figlio. Più volte sono state avanzate proposte per accordare alle donne una indennità adeguata per ciascun figlio. La Russia sovietica, attraverso i suoi più illustri portavoce, aveva avuto un approccio giusto e obbiettivo con la “questione femminile”. Lenin quando si rivolgeva alle masse, non dimenticava mai le donne. (1) L’esigenza di uguaglianza per tutti gli uomini non poteva escludere la metà dell’umanità.
La rivoluzione non ha provocato solo uno spargimento di sangue, ma anche lo slancio di tutto un popolo. L’entusiasmo degli anni ’20 in Russia è noto e comprensibile. La speranza di tempi nuovi, di relazioni nuove tra gli uomini di una famiglia nuova, era viva dovunque. La rivoluzione russa ha avuto risonanza nel mondo intero: e attraverso di essa il mondo si è trasformato. L’emancipazione della società ha migliorato progressivamente la condizione della donna.
In Russia questo processo si è arrestato al momento del culto della personalità di Stalin…
Ma la guerra ha fatto apparire l’immenso coraggio delle donne, capaci non solo di dare la vita e di nutrire, ma anche di battersi (contro il fascismo). Poi è venuto il momento della ricostruzione del paese e infine il disgelo (dopo la destalinizzazione) degli anni ’60; quando cade la “cortina di ferro”, la tessitrice Fourtsteva entra nel governo e la Tereshkova vola nel cosmo. Si -sarebbe potuti andare più in là (si dice che è la società a determinare la condizione della donna) ma… Margaret Thateher, l’attuale primo ministro della Gran Bretagna è la logica conseguenza di Indirà Gandhi, di Siramavo Bandaranaike e di altre donne al governo nei diversi paesi. Anche se lì si evoca il pericolo della tirannia “multivaginale” (da noi, a Leningrado, a proposito della nuova tendenza, si scrive “il marito avrà paura?”).
Pur tuttavia si rischia. E con ciò? Il rischio è onorevole. Scherzando, ma sintomaticamente, lo scrittore ungherese Moritz afferma; «Solo quando le donne riprenderanno in mano il potere comprenderemo cosa vuol dire “fermezza”. Niente sentimento, niente scherzi; solo le donne possono parlare così fra loro». Si ha paura del potere delle donne, ma vi si ripone la speranza.
Alcune hanno paura del ridicolo, perché il movimento delle donne sarebbe un compromesso, ma l’atto di mettere al mondo dei figli non è di per sé un compromesso? Ciononostante i figli nascono. E la chiesa non vive nel compromesso? E tuttavia l’insegnamento di Cristo trova sempre più adepti. Altri hanno paura che il movimento delle donne sia limitativo e dichiarano che anche gli uomini soffrono e che non ci si deve occupare solo dei problemi delle donne: nessuno però rimprovera a un ginecologo di curare solo le donne, perché sarebbe assurdo negare la specificità. Altre ancora dicono che il movimento delle donne è eccessivo, convengono che esistono sì dei piccoli problemi, ma quando il comunismo sarà realizzato, tutti i problemi, e fra questi anche quelli delle donne, spariranno da soli.
Infine altre arrivano perfino ad accusare le leaders del movimento femminista di pescare nel torbido.
E tuttavia questo movimento, fulcro delle idee attuali, cresce. E la dura indifferenza della maggioranza degli uomini, non fa che contribuire alla sua crescita. Si fa molto rumore intorno alla “salvaguardia dell’uomo” (che muore di alcolismo, tabacco e per eccessi sessuali) e ci si accontenta invece di gettare uno sguardo tranquillo sulle donne che pavimentano le strade e posano le traversine sulla ferrovia. Si ascoltano tranquillamente le oscenità correnti che non sono altro che discriminazioni contro le donne. A nessuno viene in mente di insultare il pane perché ci nutre. Ma insultare la donna, che dà la Vita, con le parole più infamanti: ecco, questo è all’ordine del giorno. E’ il conservatorismo della massa alcolizzata, la sorda animosità contro quella stessa donna che nutre questo organismo unicellulare che cresce, gigantesca ameba senza volontà, ecco quello che frena brutalmente il progresso sociale.
(1) Cfr: V.U. Lenin: L’emancipazione della donna. Ripetutamente ristampato dal dopoguerra.