riusciranno i nostri eroi a perdere il loro ruolo?

il maschio scopre l’autocoscienza, finora è stato lui a porre i modelli di “fare cultura”, ma non riesce a giocare se le regole le
inventiamo noi.

maggio 1977

quali sono le motivazioni che spingono i maschi ad aggregarsi in gruppi di soli uomini per praticare qualcosa di analogo all’autocoscienza femminista? È desiderio reale, come dicono, di distruggere in se stessi il “ruolo del maschio”, o è addirittura un momento di aggregazione difensiva nei confronti delle donne?
Innanzitutto mi sembra di notare da parte maschile un certo timore di restare indietro e una certa gelosia di una pratica che non è stata inventata da loro, ma dalle donne. Non a caso i gruppi di autocoscienza maschile trovano notevoli difficoltà a ingranare: finora sono stati i maschi a porre i modelli del “fare cultura” e non riescono a giocare se le regole le inventiamo noi. Di qui la loro necessità di recuperare al più presto uno strumento aggregante come l’autocoscienza, che veniva prima tanto criticata, soprattutto per la chiusura. Adesso il maschio “autocosciente” cerca di mettersi alla pari. La donna vuole uscire dal suo ruolo? Anche lui, anche lui! Esistono però delle differenze: noi ci accostiamo all’autocoscienza con tutto l’entusiasmo che una classe oppressa vede in uno strumento di liberazione.
Viceversa gli uomini sono classe al potere. Non esiste tra i maschi quella gioia di autosputtanamento, di quando si dice: ragazze, finora ho avuto questo ruolo, ma adesso ho capito che io sono un’altra cosa.
Questa felicità non si rintraccia nell’autocoscienza maschile. Ed è logico: se il ruolo della donna è di sottomissione, e abbandonarlo porta solo benefici, il ruolo del maschio implica comando, e abbandonarlo implica, dal punto di vista maschile, una perdita.
Se esiste un braccio di ferro tra due classi contrapposte (e non dimentichiamo che la richiesta di lavoro da parte delle donne mette effettivamente in competizione a livello di sopravvivenza economica i maschi e le femmine), cosa significa da parte di una di queste classi proclamare improvvisamente di voler abdicare?
Come mai tutta questa disponibilità a perdere il proprio ruolo?
Le concessioni che il potere fa sono un incentivo al suo capovolgimento o un assestamento con funzione sedativa? Senza troppo generalizzare, ci siamo accorte che i maschi che si avvicinano all’autocoscienza sono, dal punto di vista maschile (non certo dal nostro), maschi di seconda categoria. Mi spiego. Molto spesso i loro discorsi vertono, non tanto a chiarire i loro meccanismi di potere nei confronti delle donne, quanto su recriminazioni sull’egemonia che i maschi più repressivi esercitano su di loro. Lamentano cioè l’esistenza del “papà cattivo”, più che riconoscersi potenziali (e magari effettivi) detentori di potere. Questo rende dubbia la supposta alleanza con le nostre istanze femministe.
“Più che i rapporti con le donne, mi interessa chiarire i rapporti con gli altri uomini. Mi sento in competizione con loro e questo mi mette in difficoltà”. Questa dichiarazione testuale di un anarchico (uno che i meccanismi di potere dovrebbe riconoscerli a fiuto) dimostra che se il rapporto di competizione si fosse risolto a suo favore, se cioè lui fosse diventato un maschio leader, non avrebbe avuto problemi di sorta.
La disponibilità a mettersi in discussione gli viene quindi suo malgrado, e non senza essere carica di complessi di inferiorità nei confronti di un ruolo che deve essere distrutto senza rimpianti.
Dobbiamo tener presente che come rivoluzione non è un relax per padroni affaticati in competizione tra loro, così autocoscienza non è una terapia equilibratrice per maschi in contraddizione.
Non voglio che in virtù di una dichiarata disponibilità all’autocoscienza passi il grosso bluff del maschio femminista, con cui magari ci si sente in colpa, perché “è diverso dagli altri”. Forse che il maschio rivoluzionario non ha sempre guardato con sospetto il maschio borghese? Forse che non gli ha sempre imposto il postulato: “parteciperà alle nostre lotte quando avrà rinunciato a tutti i privilegi della propria classe”?
E non si tratta qui di instaurare dello stalinismo femminista, quanto della necessità di non confondere la pratica di autocoscienza, che è servita a molte di noi per iniziare a sciogliere i nodi della nostra oppressione, con una terapia accomodante o, peggio, con un momento in cui una classe detentrice di potere (i maschi) si raccoglie per farsi coraggio.
Quanto segue è scritto secondo quello che una donna vorrebbe che un maschio dicesse. Nessun maschio ci si è riconosciuto. (A noi invece è sempre stato imposto di riconoscerci nella cultura maschile, fatta secondo quello che i maschi vorrebbero che la donna fosse).