tra il dire e il fare

Alla domanda se ritenevano possibile per loro vivere un esperienza omosessuale un gruppo di studentesse ha voluto rispondere con questo documento-riflessione elaborato collettivamente.

aprile 1981

Il problema dell’omosessualità femminile, sollevato nelle interviste a madri note e non apparse nel numero precedente di Effe, ci ha spirato a riflettere come «figlie» di donne che per ragioni generazionali e culturali sentiamo molto diverse da noi. Ma dopo i primi sorrisi di sufficienza a proposito delle risposte di alcune madri, abbiamo cominciato a interrogarci insieme e ci siamo accorte con sgomento che di fronte a un simile argomento eravamo impreparate, tra di noi non ne avevamo mai parlato o perché in. qualche modo lo consideravamo un tabù o più egoisticamente perché non ci sembrava che ci riguardasse personalmente. Nella nostra scuola, con i nostri compagni «politicizzati» le discussioni da qualche «inno sono incentrate sulla necessità ormai per le donne di occuparsi di politica generale: dopo si potrà parlare di certi problemi, ci sono le priorità.
Siamo convinte che il momento è grave, che c’è bisogno di politicità rispetto alla tendenza all’evasione di tanti, ma in qualche modo questo discorso non ci convince del tutto. C’è una fascia di problemi che coinvolge anche tanti, giovani e segna la loro vita (droga, omosessualità ecc.) e di cui bisogna parlare se non vogliamo dimenticarci che non esistiamo solo noi e che forse per altri il bisogno di politicità si esprime in forme diverse dalle nostre, magari con rotture violente anche di tipo suicida come può essere la scelta della droga, per rifiuto di questo schifo di vita. Abbiamo molto discusso tra noi di tutto questo e dei problemi sollevati dalle interviste, nel corso di un monte-ore anche con qualche insegnante donna: avevamo opinioni differenti su alcuni punti della questione «omosessualità» ma su altri eravamo d’accordo e abbiamo trovato un terreno di confronto e di incontro.
Ancora una volta ci è sembrato che alla domanda sulla possibilità o meno di vivere un’esperienza omosessuale potessimo rispondere adeguatamente cercando nei meandri della nostra sessualità e nel modo piuttosto ambiguo in cui viviamo quest’ultima. Ne è risultato che in apparenza le donne sarebbero tendenzialmenite più inclini degli uomini ad affrontare questo tipo di esperienza per molteplici motivi. Vediamone alcuni.
Le donne esprimono la loro affettività verso una persona del loro stesso più liberamente e non la nascondono a differenze degli uomini, i quali ai preoccupano di limitare i loro atteggiamenti espansivi in nome di quell’ipotetico valore che è la virilità. Appartenere allo stesso sesso, vivere le stesse esperienze, avere gli stessi ideali crea tra le donne una solidarietà che ben difficilmente possono dire di aver raggiunto gli uomini, schiavi dei loro stessi pregiudizi. Almeno questo si riscontra in inchieste e testimonianze sulla sessualità femminile negli Stati Uniti. A questo proposito la scrittrice Nancy Friday afferma in un suo libro sulle fantasie sessuali maschili che la cosa che più spaventa gli uomini è la loro tendenza all’omosessualità; al contrario, anche le donne eterosessuali e più legate alla morale tradizionalista ammettono di aver avuto fantasie lesbiche e di non sentirsi per questo motivo né colpevoli né minacciate nella loro identità sessuale.
Naturalmente il passo della fantasia alla realtà è ben lungo e diverso, come dimostrano anche le risposte delle donne raccolte da Effe. Quali le ragioni, secondo noi?
Intanto, la società maschile ha elaborato una serie di valori e di marchingegni per sottomettere le donne, togliendo loro fiducia in se stesse, identità, ruolo sociale rilevante. In questa società esistono solo gli uomini, e quindi solo la omosessualità maschile che è riconosciuta bene o male, vuoi per schernirla nel peggiore dei oasi vuoi per considerarla una stravaganza magari da artisti; la figura della lesbica continua a non esistere e a non essere considerata anche se rappresenta e interessa una buona parte di donne. Pensiamo sia noto che esiste una omosessualità latente, che tutti abbiamo e che manifestiamo in misura diversa a seconda di come recepiamo i condizionamenti culturali e ambientali — e che sviluppiamo anche in rapporto a questi — e un’omosessualità attiva che interessa invece soltanto alcune persone. La prima si manifesta soprattutto durante l’infanzia, quando i bambini non avvertono ancora una rigida distinzione dei ruoli sessuali e nell’adolescenza, dove alla pulsione sessuale più forte ai aggiunge il desiderio di conoscenza del proprio corpo.
Questa omosessualità latente e attiva è negata dagli adulti con i quali abbiamo rapporti’, in genere, ma è accettata tra noi, nel nostro gruppo di studio, almeno l’omosessualità latente; nel resto di questa scuola, tra le altre forse è diverso: molte sono legate alla morale cattolica o tradizionale, hanno problemi con la sessualità. Molti di noi, invece, ricordano con piacere l’esperienza con «l’amica del cuore», che implica un grande coinvolgimento passionale con un fondo di omosessualità (appunto quella latente). E sempre durante l’adolescenza avviene la decisione dell’orientamento sessuale; cosicché la ragazza lesbica sii trova a dover scegliere, con molta difficoltà, tra il mostrarlo apertamente, suscitando con questa sua scelta reazioni di rifiuto da parte della famiglia, e più in generale della società, e l’adattarsi invece al «suo» ruolo che è funzionale all’organizzazione maschile della società. Per il modo in cui questa società è strutturata, se una donna mostra dell’affetto per un’altra donna o se ha dell’attrazione fisica per lei incontra difficoltà, a partire dalla famiglia; quindi spesso sii reprime e fa una scelta obbligata.
Inoltre proprio per la struttura maschile che la società ha, fondata sulla famiglia patriarcale in cui è ben definita la posizione di potere dell’uomo da una parte e quella di sottomissione della donna dall’altro, l’omosessualità è vista come una minaccia a questa istituzione millenaria, particolarmente ramo-sessualità femminile in quanto verrebbe a mancare il ruolo «debole» su cui si fonda la forza del più «forte».
Gruppo condizione femminile e aborto 30° Liceo Scientifico – Centocelle
a cura di Maria Stella Conte e Mimma De Leo