prostituzione

un rapporto impossibile

un breve panorama dei libri scritti da donne sulla prostituzione.

settembre 1979

Kate Milieu, parlando di Prostituzione, scritto nel 1970, disse che ciò che accadde in quell’occasione fu sulle prime angosciante; ‘‘mi pareva di annegarci dentro». Prostituzione, Quartetto per voci femminili, fu pubblicato per la prima volta nel 1971 e uscì tradotto da Einaudi nel 1975, La prefazione (dell’autrice) testimonia l’impatto traumatico al tema, la difficoltà della trascrizione del linguaggio parlato della prostituta al linguaggio scritto, e la scelta finale della Millett di dar voce anche a se stessa come non prostituta. ‘‘Sebbene abbia provato per mesi uno strano disagio per la mia inadeguatezza, non essendo mai stata una prostituta nel senso che generalmente si dà a questo termine, alla fine sono riuscita a non soccombere alla tentazione della colpa di classe e non ho cancellato dal testo la mia voce, o quella di Liz Sehenider, la mia collaboratrice”. Kate Millett, assume dunque la prostituzione come “paradigma”, come “centro stesso della condizione sociale delle donne”, non diversamente, del resto, da altre voci del movimento delle donne degli anni ’70 (vedi a questo riguardo Effe giugno 1978, dove sono contenute varie testimonianze delle prese di posizione del M.F. in Francia, in America ed in Inghilterra) e questo atteggiamento metodologico appare come l’unico possibile per affrontare uno dei temi meno affrontabili dal movimento delle donne, In Francia, dopo lo sciopero delle prostitute nel 1975 escono alcuni libri tra i quali citiamo La dérobade, Vita e rabbia di una prostituta parigina, di Jeanne Cordelier, La partagée di Barbara e Chistine de Corninch (quest’ultimo ed de Minuit, 1977). La dérobade, tradotto in italiano e pubblicato da Bompiani nel 1978, è la storia, raccontata dalla stessa protagonista, di una prostituta parigina, Sophie, che è arrivata ad un certo punto della sua vita al rifiuto della professione, a la dérobade. Anche in questo libro la prostituzione è una condizione di tutte le donne, che in casa o fuori casa, sul lavoro in ufficio, o per la strada a “battere”, sono costrette a vendersi. Dal punto di vista delle teorie la prostituzione resta il “continem te nero” per il movimento: questa in sintesi invece la tesi di Gabriella Caramore che introduce un altro lavoro francese >sulla prostituzione, Folles femmes de leur corps (Prostituzione, Savelli, 1979) di Judith Belladonna. L’autrice ‘è ancora una ex: ex prostituta, ex squillo, ex … che poi diventata psicoanalista, rilegge la prostituzione come Guattari legge la follia. La prostituta è come il folle di Guattari e 1’ analisi della Belladonna ricalca esplicitamente e puntualmente quella dell’autore dell’Antiedipo. Questo libro costituisce un interessante fonte di documentazione sulla prostituzione nei tempi: la prostituzione come prodotto del capitale, “istituita come servizio sessuale collettivo e marginale”, all’interno del milieu (la mala) viene ripercorsa a partire dalla lettura dell’antico testamento fino ai regolamenti di Luigi XIV e a quelli dei nostri giorni. Non mancano le testimonianze, né le citazioni dei documenti. Chi voglia trovare tuttavia la storia completa della prostituzione la potrà in gran parte rintracciare, non dalle parole delle prostitute, ma degli archivi di polizia. Il libro ha una sua parte orale, trascritta, da voci di prostitute, voci che non rispondono all’ interrogativo che cosa sia fare ed essere prostituta: piacere, repulsione, rifiuto, accettazione? O vocazione? La vocazione è in qualche modo la tesi di un libro italiano, // manuale dell’allegra battona, pubblicato anonimo da Mazzotta. In uno dei capitoli finali del libro viene infatti affermato che è impossibile che la donna diventi prostituta per motivi economici, cosa ritenuta riduttiva per una “spiegazione” della prostituzione. Se si può rintracciare una ambivalenza (se vogliamo chiamarla così) nella “scelta” del mestiere, tuttavia il libro ha un sapore vagamente falsato, il linguaggio usato dalla prostituta rimane come appiccicato ad uno stereotipo di nuovo tipo, una prostituta “emancipata” si potrebbe dire. Vi si critica anche uno dei pochi libri italiani scritto da una anonima prostituta e raccolto poi da Zavattini (Senza partente, Bompiani, 1976), una testimonianza forse strappalacrime come direbbe l’anonima del manuale di cui sopra, ma comunque una delle tante voci del mondo della prostituzione che non vuole dare un’immagine di sé fissata in stereotipi di qualunque tipo. Invece questa battona del manuale sembra più un uomo, troppo sicura in questo suo trattare furbescamente il “pollo” (cliente) e il protettore, come se fossero tranquillamente loro oggetto di piacere e non lei. E dà un’immagine tanto emancipatoria quanto falsa del mondo della prostituzione e della possibilità che la prostituta ha di sopravvivere all’interno di esso come una donna che si è liberamente scelta un lavoro com’è un altro.